giovedì 10 gennaio 2008

Un testamento italiano

(foto da internet)

Per moltissimi anni il nome Agnelli è stato in Italia sinonimo di potere: un potere forte, discusso, a volte amato altre odiato, ma è sempre stato un potere, inossidabile con il trascorrere del tempo. Tutto poteva cambiare, ma gli Agnelli e la loro Fiat erano sempre in vetta, simbolo del capitalismo italiano.
Gli Agnelli sono stati per moltissimo tempo la vera famiglia reale italiana, molto più dei Savoia (anche perché gli Agnelli sono sempre stati in Italia, mentre i Savoia sono stati mandati via).
Adesso si assiste al loro declino, come famiglia-simbolo: da un lato perché non c’è più l’Avvocato, personaggio carismatico, e dall'altro perché il peso dell'automobile sulla società e sull'economia non è più quello di una volta. Ma per tutto il secolo precedente hanno avuto sull'Italia un'influenza straordinaria.

Gli Agnelli non hanno mai espresso un presidente, o un personaggio politico di rilievo, ma di fatto sono la famiglia che più di ogni altra ha fatto l'Italia. Se L’Italia è diventato un paese industrialmente moderno, in gran parte si deve proprio alle decisioni e agli impulsi che sono arrivati da Torino. Grazie alla Fiat l'Italia divenne un Paese "occidentale", consumistico-automobilistico. La crescita dell'industria dell'auto si trascinò dietro il resto del Paese: centinaia di migliaia di contadini del Sud salirono sui treni per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord. Fu il "miracolo economico" degli anni Cinquanta e Sessanta, e che nel giro di appena due decenni trasformò l'Italia da paese sostanzialmente agricolo in una potenza industriale.

(foto da internet)
Ma gli Agnelli non sono stati soltanto legati all'economia, sono stati soprattutto un emblema di successo e ricchezza. Per molti anni Gianni Agnelli, classe 1921, nipote del fondatore della dinastia, e fino al marzo del 1996 presidente della Fiat, è stato una specie di mito per tutti i giovani in carriera. Ogni suo comportamento, ogni suo gesto venivano copiati; le sue manie diventavano mode da imitare, come quella di portare l'orologio sopra il polsino della camicia o il vezzo di portare la cravatta sopra il maglione. Ma, soprattutto, Gianni Agnelli, sposato con una principessa napoletana Marella Caracciolo, ha sempre colpito gli italiani perché, in un paese che si era lasciato alle spalle secoli di miseria contadina, le rovine del fascismo e della guerra, viveva come e meglio di un re.
Sempre in viaggio, per gli spostamenti usava solo i suoi jet personali; dal tetto dei suoi uffici a Torino saliva in elicottero e scendeva direttamente sulle piste da sci delle Alpi. Grande appassionato di calcio, possedeva una delle migliori squadre italiane: la Juventus, ancora oggi chiamata "la signora del calcio", per la sua classe e il suo stile. Aveva fatto la guerra in Russia, in Africa e in Tunisia. È stato uno dei più famosi collezionisti d'arte del mondo. Aveva i suoi consulenti, ma alla fine era lui a decidere con colpi di testa.
Il peso di Gianni Agnelli in Italia è sempre stato tale che quando si pensò, negli anni Settanta, di dare vita a governi con dentro anche i comunisti, si disse che l'unico modo per tranquillizzare gli americani sarebbe stato quello di avere il presidente della Fiat come ministro degli Esteri, in qualità di garante della lealtà occidentale e atlantica del Paese.
Gli Agnelli, in teoria, non hanno mai governato direttamente l'Italia, ma, in pratica, sì che lo hanno fatto e, soprattutto a partire dagli anni Sessanta hanno avuto un'influenza fortissima su tutte le vicende economiche, sociali e politiche.

Ma se hanno fatto l'Italia di ieri, tutto fa pensare che non faranno quella di domani.
Nel 1899, Giovanni Agnelli, nonno dell’Avvocato, è un ex ufficiale di cavalleria (figlio di un proprietario terriero di piccola nobiltà) con qualche soldo e molto fiuto capisce che ci può essere un grande futuro nelle automobili. Con altri ventinove soci fonda una società che poi si chiamerà "Fabbrica Italiana Automobili Torino", abbreviata in Fiat. Il periodo di splendore la dinastia Agnelli lo vive con l’Avvocato, ma le dolenti note cominceranno con i problemi per l'eredità. nipoti. La successione generazionale non è stata possibile, perché che l'Avvocato e Marella hanno avuto due figli: Edoardo, morto suicida (si gettò da un ponte dell'autostrada Torino-Savona), e Margherita, che ha avuto cinque figli. Proprio mentre la Fiat cominciava ad accusare qualche difficoltà, negli anni Novanta, Gianni Agnelli teme che senza un successore, si rischia di disperdere il controllo di tutto l'impero fra i circa 200 nipoti. La sua risposta a questi problemi è di tipo monarchico. Prima del suo ultimo intervento, il controllo dell'impero si basava sull'IFI, la finanziaria cui facevano capo i pacchetti azionari di tutte le varie società, Fiat compresa. E L'IFI aveva due tipi di azioni: le ordinarie, con diritto di voto, e le privilegiate, senza diritto di voto. Le azioni ordinarie potevano essere possedute solo da membri della famiglia. Il pubblico poteva comprare solo le azioni privilegiate, che però non davano diritto di voto. All'inizio degli anni Novanta, l'Avvocato decise di rendere questo controllo ancora più stretto. Fondò la "Giovanni Agnelli & C.", una società in accomandita: un tipo di società che è, nel diritto moderno, la cosa più simile alla monarchia assoluta. In pratica, gli azionisti di questa società nominano cinque amministratori, e poi non hanno più alcun diritto. In pratica, la "Giovanni Agnelli & C." è una società il cui vertice si autoriproduce e che non deve mai rendere conto ai propri azionisti di quello che fa.


(foto da http://www.repubblica.it/)

Sistemata questa questione, l'Avvocato passò alla scelta del successore. La scelta cadde su Giovanni Alberto (detto Giovannino) Agnelli, il primo figlio del fratello Umberto (nato dal suo matrimonio con Antonella Bechi Piaggio, della famiglia che inventò lo scooter Vespa). Giovannino era giovane, aveva studiato in America in un collegio militare, in Italia aveva fatto il servizio militare nei carabinieri e aveva anche fatto l'operaio (sotto falso nome) in una fabbrica Fiat. Giovannino, giovane, bello e simpatico a tutti, lavoratore, purtroppo si portava dietro un po' della sfortuna degli Agnelli. A soli 33 anni venne colpito da una rarissima forma di tumore e nel giro di pochi mesi morì (dicembre 1997). Per la famiglia di Torino ancora dolore e incertezza. Giovannino era morto: sembrava che non ci fosse più un erede e il futuro dell'auto appariva incerto. In questo clima, l'Avvocato Agnelli non perse tempo e a sorpresa nominò come rappresentante della famiglia nel consiglio di amministrazione della Fiat John Jacob, detto Jachi, il figlio maggiore di sua figlia Margherita. Oggi, a cinque anni di distanza dalla sua morte, ancora si discute il suo testamento, la querelle non dà pace e trascina gli eredi in tribunale.


Tratto da L'Avvocato di Giuseppe Turani, Edizioni Sperling&Kupfer

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Buon giorno Giuli
Ancora mi stupisce l'impero che quest'uomo sollevò dal nulla, ma le altre generazione vah! Montezzemolo se la cava, ma l'ultimo rampollo(a) ahime!
Saluti
Alberto

Anonimo ha detto...

Com’è possibile che ancora oggi le famiglie smisero di parlare per cosa tanto sporca com’è il denaro? È probabile che tutto quello che ci piacerebbe fare possibilemente lo faremmo ma, con chi? Che prezzo ha la gente? I nostri fratelli, figli, cugini, amici... Non so molto bene se loro sarebbero disposti a lasciarsi comprare. Neanche so se sarebbe capace di mettergli una taglia. Non so quanti euro costa un sorriso dei miei nipoti quando gioco con loro ai pirati, lo sguardo della mia mamma di fronte ai quadri di Sorolla oppure la compagnia delle mie amiche sempre che ho bisogno di loro. Che prezzo hanno?