Como aún soy principiante en este maravilloso idioma que es el italiano, aportaré mi experiencia en Italia en la lengua castellana dando alguna pincelada en italiano ...
Dovevo imparare l'taliano!
Marco era di Riccione, viveva a Coriano, accanto a Rimini, Valentino di Tavullia. Stessa aria, stessa voglia di strapazzare curve e rettilinei, quel pezzo di Romagna che nel biberon mette benzina. Marco veniva preso in giro: parli come Rossi, hai i riccioli come aveva Rossi, fai lo spiritoso come Rossi. Una fotocopia, che metteva allegria. Un ragazzino che tutti sgridavano, anche alla Honda, come ha detto il vicepresidente, ma per simpatia, per incitarlo a fare meglio, perché puntavano su di lui. L'erede di Rossi.
Quel ragazzo che quando si toglieva il casco aveva i capelli arruffati e sudati. E che è morto senza casco, slacciato da un colpo involontario.
—Pure oggi abbiamo mangiato —interrumpía la nonna y señalaba el café.
—Sì, pure oggi abbiamo mangiato — repetía alguna voz en el fondo, quizás en la cocina.
Finalmente, era zio Armando quien cerraba cualquier intento de discusión y levantaba la sesión pronunciando las palabras mágicas de cada domingo:
—Tarallucci e vino.
Ésa es la segunda maravilla a la quería referirme hoy. Tarallucci e vino. Los taralli —una suerte de rosquilleta torcida, pero mucho más sólida y especiada— mojados en vino. No se trataba de una nueva invitación a la comida, sino de que zio Armando usaba la expresión para señalar que todo había transcurrido bien, felizmente.
Se refería a una felicidad máxima, terrenal y sublime al mismo tiempo, la del goce de estar en la mesa conversando en familia y comer tarallucci e vino mientras el tiempo pasa, el tarallo se ablanda y el vino humedece sus poros y nuestras papilas.
Tarallucci e vino. Si los delanteros no se hubieran lesionado, el equipo no habría descendido a la Serie C y yo me habría quedado en sus sabores para siempre.
Slavko Zupcic
Molto spesso ai miei studenti faccio vedere video con canzoni italiane degli anni ’60. A parte alcune eccezioni, preferisco i video di Celentano, Mina, Modugno ecc...
L’anno scorso, a fine anno scolastico, invitai a lezione un amante della cultura italiana e lui ci parlò dell’Italia degli anni '60, di Pasolini, di un paese colto, arrabbiato, affascinante e con tanta voglia di tutto…
Allora capii che i video con cui bombardo, spesso (ovviamente, non sempre) i miei alunni rispecchiano un paese in cui sono cresciuta che è diretto erede di quella visione che si ha dai filmati: educato, colto, simpatico, divertente senza essere volgare, sempre con la battuta pronta e bello, anzi bellissimo.
C’era una volta, quindi, un paese educato, gentile, dall’ambiente ospitale, dove il turista straniero era coccolato e vezzeggiato dagli italiani, che ne attendevano tutto l'anno l'arrivo. Probabilmente la realtà non sarà stata esattamente quella raccontata dal cinema di quegli anni, ma il Belpaese era rinomato tra gli stranieri proprio per la calorosità del popolo italiano, oltre che per il clima e le bellezze naturali.
E c’era una volta sempre lo stesso paese noto al mondo per la sua gloriosa storia di arte e di cultura, dove, però, nel tempo si sono andate consolidando delle usanze incomprensibili agli stessi cittadini, o meglio alla maggioranza di essi, che hanno portato, in tutti gli ambiti e a tutti i livelli, una rassegnazione che se non si era figli di…, se non si era presentati da… e se si aveva fiducia solo nelle doti professionali non si riusciva a raggiungere nessun obiettivo.
Per gli ingenui, sarebbe arrivato, alla soglia dell’eta adulta il monito dei genitori, sotto veste di “consiglio”, che ricordava a quei giovani che sarebbe stato meglio abbandonare le proprie velleità: il sacrificio di pagare anni di tasse universitarie o vivere di una miserrima borsa di studio valeva al massimo l’ottenimento di un posto da precario, visto che il sistema della casta, in realtà, non sarebbe mai stato finalizzato alla creazione di un’economia in crescita, ma semplicemente al mantenimento del privilegio.
Allora, noi chiodini, ci siamo chiesti cos’è che realmente affascina dell’Italia. Nella scorsa primavera, la stampa inglese, almeno per una volta, rese merito all’Italia con una classifica, una scelta ragionata fatta dal quotidiano britannico The Independent, in cui si elencavano quindici tipicità italiane «esportate», per le quali l'Italia è apprezzata (o comunque conosciuta, se il motivo della fama non è positivo) nel mondo. L'articolo, è una sorta di lista commentata, che spazia da Claudia Cardinale e Federico Fellini a Roberto Baggio e Caruso, passando per «il dolce far niente», le auto (non solo Fiat e Ferrari, ma anche Maserati, Lamborghini e Bugatti), e i gondolieri veneziani (anche se servirsi di loro costa un occhio della testa).
Come dimenticare, poi, Francesco Petrarca o Dante , Giacomo Casanova o Leonardo da Vinci, il gelato (inventato dalla famiglia fiorentina dei Medici) o il latino (sarà anche «una lingua morta», che però, ha ancora molte espressioni attuali: p.es.: «annus horribilis», «ad hoc»)? Insomma in questa classifica c’è di tutto: dai soliti e forse inevitabili stereotipi alla gloria del passato, dall’Antica Roma al cinema, alla canzone, al calcio. E se si è dimenticato qualcosa, gli attenti lettori hanno segnalato la gastronomia, il Vaticano, Antonio Gramsci e Machiavelli, la Ducati, il bunga bunga e il Duomo di Milano.
Con l'ambizione di non cadere negli stereotipi, dal nostro Chiodo ci farebbe piacere aprire uno spazio intitolato: “L’italia vista da…”, in cui ci potete raccontare la vostra esperienza con questo paese così affascinante e complicato…, e lo potrete fare nella lingua in cui preferite: italiano, castigliano, catalano, inglese, tedesco, russo, cinese ecc.
La rubrica “L’Italia vista da…” andrà on-line il venerdì e cominceremo venerdì prossimo. Scriveteci a italianosagunt@gmail.com e pubblicheremo con sommo piacere il vostro punto di vista, affinché questa rubrica possa essere arricchente per tutti.
«Andiamo a passeggio: ho voglia di una cazzata siciliana e poi voglio vedere se trovo un bel paglio di scarpe». Salta all’occhio, anche a uno straniero, che questa frase è grammaticalmente scorretta. Eppure non è strano vederla scritta nella bistrattata, e sempre più barbara, lingua di Dante.
Tutti questi strafalcioni sembrano essere gli inconvenienti della comunicazione al tempo di Facebook, quelli che il linguista Stefano Bartezzaghi mette al centro del suo pungente e spassoso saggio "Come dire" (edito da Mondadori), che va inteso non solo come l'abusato tormentone per prendere tempo nei momenti di afasia, ma anche in senso letterale, come un galateo e bon-ton della parola.
Nell'era della comunicazione globale anche il rischio di dimostrare la propria ignoranza cresce a vista d'occhio. Su Facebook è nato un gruppo che si chiama "Scartare corteggiatori e potenziali amanti per gli errori di grammatica", che mette in fila perle come queste: "E' nel mio carattere: quando qualcosa non va, io sodomizzo", piuttosto che "Ho un nuovo paglio di scarpe" e "Come stai? Sempre l'ostesso".
E ancora: i ristoranti sfoggiano leziosi menù lunghi come romanzi, in cui il budino è una "formella di biancolatte con pioggia di cacao forte, stille di caramello e ribes nero", o tradotti male ("dessert: la cazzata siciliana").
Una curiosità: persino dar il nome a un figlio sarebbe per l'autore "uno dei contributi alla lingua nazionale più importanti che un cittadino medio può dare". Ebbene, se nel boom economico andava il nome con un sound di prestigio, tipo Massimiliano e Sebastiano, l'esotismo dei Settanta ha prodotto Katia e Samantha fino agli odierni Kevin, Ariel e, il più bello, Maikol(sì, scritto proprio così). In realtà, è tutto sintetizzato nei nomi di una delle più celebri famiglie italiane, gli Agnelli. Il capostipite era Giovanni, poi Gianni e John, che, a sua volta, i suoi figli l'ha chiamati Leone e Oceano.
Noi, invece, rimaniamo legati alla tradizione e ci vogliamo chiamare Ugo!
In occasione del 50° anniversario di Colazione da Tiffany di Blake Edwards, che torna sul grande schermo restaurata, e in contemporanea con il Festival Internazionale del Film di Roma, per la prima volta la capitale celebra Audrey Hepburn con una mostra-omaggio per celebrare i i 25 anni vissuti dall'attrice nella città eterna: "Audrey a Roma. Esterno giorno" al Museo dell'Ara Pacis, dal 26 ottobre al 4 dicembre 2011. L'assessore capitolino alla Cultura e al Centro Storico Dino Gasperini che ha presentato la mostra ha detto: «Appassionata visitatrice, frequentatrice di salotti, madre di famiglia la Hepburn ha goduto la città nella sua dimensione di persona ed era giusto quindi che finalmente Roma a quella grande persona prima ancora che grande diva dedicasse il suo omaggio». In 25 anni Audrey ha condiviso con Roma momenti cruciali della sua carriera artistica, da Vacanze romane e Guerra e pace a La storia di una monaca e nella capitale ha vissuto molti anni di vita familiare, a stretto contatto con la città e con i suoi abitanti.
La mostra è curata dal secondo figlio di Audrey Hepburn, Luca Dotti. Una selezione di scatti inediti, quasi rubati ripercorreranno il personale ricordo del rapporto tra l'attrice e Roma. Un video esclusivo rivelerà momenti della vita privata lontana dalle scene. Le immagini della mostra saranno accompagnate da alcuni abiti e accessori da Givenchy a Valentino, insieme ai tanti abiti che rappresentano il modo di vestire di quel periodo e gli abiti indossati dalla Hepburn nella vita di tutti i giorni.
I tre percorsi tematici percorrono il «Lavoro sul set» trenta film di cui tre a Roma: Vacanze romane di William Wyler consacrò l'attrice alla fama mondiale e fece della Vespa un simbolo per il mondo intero. Guerra e pace di King Vidor è ancora oggi considerato come uno dei più grandi kolossal storici, e l'attrice recitò con il marito Mel Ferrer nel suo primo film a colori. La storia di una monaca di Fred Zinnemann osannato da critici e pubblico, regalò alla Hepburn il suo ruolo prediletto.
La sezione «Sotto i riflettori» presenta le prime, le serate di gala, le premiazioni ufficiali. Mentre «Lontano dalle scene» è il percorso che riguarda l'attrice nel suo ruolo di mamma e moglie, una volta abbandonato quasi del tutto il cinema, dimostrando che si può essere una grande star anche solo passeggiando per strada, portando a spasso il cane, facendo la spesa, comprando il giornale a braccetto con il marito, per mano ai figli, dal fioraio o facendo shopping.
Un tributo alla grande star nella "sua" Roma che servirà a raccogliere fondi per il progetto di lotta alla malnutrizione infantile sostenuto dal Club Amici di Audrey per UNICEF, a cui la stessa Audrey ha dedicato una parte importantissima della sua vita in qualità di Ambasciatrice di buona volontà. L'integrazione nel prezzo del biglietto, infatti, sarà interamente devoluta in beneficenza all'UNICEF.