mercoledì 28 marzo 2018

Quando l'Italia scoprì il gazpacho

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(foto da internet)

Forse è difficile, per lo spettatore di oggi, capire l'effetto di novità che rappresentò trent'anni fa l'arrivo di Donne sull'orlo di una crisi di nervi. Il film uscì in Spagna il 23 marzo 1988 e in Italia passò la prima volta alla Mostra di Venezia di quell'anno. Il quasi quarantenne Almodóvar, al suo settimo lungometraggio, cominciava a essere noto nei festival internazionali, ma fu questo il film che lo fece scoprire in tutto il mondo, fino alla nomination agli Oscar. Si parlava di un remake hollywoodiano prodotto da Jane Fonda, poi una decina d'anni fa di una serie tv prodotta dalla Fox, e non sono mancati gli adattamenti teatrali, anche perché il film si svolge quasi tutto in interni.

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(foto da internet)

Il suo cinema segnava la rinascita in fondo gioiosa della Spagna, e di Madrid in particolare, dopo la fine del franchismo (il primo corto del regista risale a tre anni dopo la morte del dittatore). Ma qui Almodóvar faceva due operazioni in più, rispetto ai film precedenti. Se in precedenza i suoi lavori avevano una forza di provocazione diretta e uno stile, almeno agli inizi, sporco e caciarone (Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio), qui sceglie, fin dai titoli di testa con foto rétro sulle note di Soy infeliz, una superficie glamour e vintage, un richiamo al cinema del passato, che è un'assoluta novità e fa la fortuna del film.

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(foto da internet)

L'altra scelta è mascherare le tematiche esplicitamente gay di La legge del desiderioe i temi scabrosi di altri film (le perversioni di Matador, le suore poco ortodosse di L'indiscreto fascino del peccato) in un mondo da commedia sofisticata piuttosto controllata, ma in verità popolato da donne sopra le righe: una protagonista ossessionata ma tenace e quasi eroica, le altre buffe o minacciose, ma comunque tutte matte.


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(foto da internet)

Era insomma, all'apparenza, un film su donne senza uomini, sperdute dopo la stagione del femminismo (tra le fonti c'era il celebre monologo di Jean Cocteau, La voce umana), ma in realtà soprattutto la costruzione di un elegante mondo camp che farà scuola in molto cinema europeo, dalle prime cose di Pappi Corsicato (Libera) a certi lavori di François Ozon (8 donne e un mistero). I suoi temi e il suo stile insomma erano resi digeribili a un pubblico più vasto, anche e forse soprattutto femminile; perfetti per un pubblico di cinema d'essai che in quel momento aveva, anche in Italia, il suo massimo splendore.

Pedro Almodóvar, 30 anni delle sue donne complicate e isteriche che conquistarono tutti
(foto da www.repubblica.it)



Da questa eleganza cinefila il regista non si distaccherà più, nei suoi film più comici o nei mélo più appassionati, a cominciare da Tutto su mia madre, magari arricchendola con tonalità più o meno serie e un discorso articolato sui generi sessuali, sulla politica, sulla famiglia. Curiosamente, invece, sarà meno utilizzato un altro elemento di novità: l'uso ironico e straniante della musica classica, con il Capriccio spagnolo o la Sheherazade di Rimskij Korsakov alternate alla voce di La Lupe, mitica cantante cubana.

Pedro Almodóvar, 30 anni delle sue donne complicate e isteriche che conquistarono tutti
(foto da www.repubblica.it)

Oggi riguardare Donne sull'orlo di una crisi di nervi fa uno strano effetto. E non solo perché tra gli attori si riconoscono tutti i volti famosi del regista: Carmen Maura, Rossy De Palma e Victoria Abril, ma anche un giovanissimo Antonio Banderas con occhiali da nerd, e addirittura una comparsata di Javier Bardem come pony express. Ma soprattutto perché significa ritornare a una stagione di registi europei, autori che si sono resi riconoscibili con un marchio e uno stile, che a modo loro sono stati (e sono) anche divi per un pubblico colto transnazionale. 
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(foto da internet)

In Italia, dove Donne sull'orlo vinse anche il David di Donatello per il miglior film straniero, il successo fu strepitoso: diciannovesimo posto, dopo L'ultima tentazione di Cristo e prima dei Gemelli con Schwarzenegger e Danny DeVitocon quasi 570mila mila spettatori. Coi prezzi attuali dei biglietti, incasserebbe tre milioni e mezzo di euro: un risultato che per il cinema d'autore è oggi quasi sempre un traguardo irraggiungibile.




Con Donne sull'orlo di una crisi di nervi vi salutiamo e vi auguriamo Buona Pasqua. 
Ci riviediamo online mercoledì 11 aprile.
Auguri!

lunedì 26 marzo 2018

La giornata del cugino (argentino)




(foto da internet)

Durante la fiera Borsa Mediterranea del Turismo (BMT) che si è tenuta di recente a Napoli, il ministro del Turismo argentino, Gustavo Santos, ha lanciato una campagna di promozione turistica che istituisce il 23 marzo come il “Día del primo argentino” (La giornata del cugino argentino): un invito agli italiani a far visita ai loro familiari residenti in Argentina (vedi>>).  La compagnia di bandiera, Aerolíneas Argentinas, offrirà dal 26 al 31 marzo, nuove tariffe a partire da 764 euro per i voli diretti fra Roma e Buenos Aires, e altre connessioni per 37 destinazioni nazionali e del Sudamerica.
Oggigiorno i nomi di FangioSivoriManuel BelgranoAstor PiazzollaJorge Mario Bergoglio,  dello scultore Marino di Teana, dei pittori Antonio Berni Lucio Fontana, dello scrittore Ernesto Sabato, fanno parte della nostra memoria collettiva. Noi non abbiamo -almeno che si sappia ufficialmente- cugini in Argentina, ma vorremmo celebrare, a modo nostro, questa giornata.
Diceva Octavio Paz che gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono inglesi. Può darsi; ma i dialetti italiani, parlati dagli immigrati, diedero al lunfardo, un argot parlato fondamentalmente a Buenos Aires, termini quali biaba: paliza; facha: rostro (da faccia); fiaca: desgana, pereza (da fiacca); laburo: trabajo (da lavoro); matina: mañana (da mattina), ecc.




(foto da internet)

L’Argentina fu per gli italiani la terra promessa: solo dal 1886 al 1889 vi sbarcarono circa 350mila migranti, la maggior parte dei quali proveniva dall’Italia settentrionale. 
Nel libro Sull’oceano, pubblicato nel 1889, lo scrittore Edmondo De Amicis, raffigurava assai bene i motivi per i quali si lasciava l'Italia: mi emigro per magnar (emigro per poter mangiare), dice, infatti, un migrante a bordo di una nave per l'Argentina. Tra il 1876 e il 1900 l'emigrazione italiana in Argentina interessò prevalentemente l'Italia settentrionale, con tre regioni che fornirono da sole più del 47% dell'intero contingente migratorio: il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia ed il Piemonte. Nei due decenni successivi il primato migratorio passò all'Italia meridionale, con quasi 3 milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi 9 milioni da tutta l'Italia.






(foto da internet)



La cosiddetta grande emigrazione, che avvenne tra la fine del XIX secolo e gli anni '30 del XX secolo, fu dovuta all'estrema povertà della popolazione italiana e alla mancanza di terre da lavorare, specialmente nell'Italia meridionale. Un'altra decisiva causa che si aggiunse a quelle sopraccitate fu la sovrappopolazione, soprattutto nel sud, che portò a una forte crescita demografica che spinse le nuove generazioni, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo, ad emigrare all'estero, soprattutto nelle Americhe.  
Per quel che riguarda l'Argentina, secondo le statistiche, gli italiani nati in Italia, sono poco più di un milione, ma calcolando anche i discendenti fino alla terza generazione, cioè coloro i quali hanno diritto alla cittadinanza italiana (mediante il cosiddetto ius sanguinis), si raggiungono i 5-6 milioni.






(foto da internet)


L’immigrazione rappresentò in Argentina un fenomeno prettamente urbano. Il primo censimento nazionale del 1869 registrava che il 59% di tutti gli italiani residenti viveva nella città di Buenos Aires e il 3% del totale viveva nella città di Rosario

L’immigrazione di massa in Argentina venne creata da spazi legislativi ben chiari: la Costituzione argentina del 1853 sancì la libertà d’immigrazione e la legge di Immigrazione e Colonizzazione del 1876 concedeva molte facilitazioni agli immigranti (alloggio gratuito per cinque giorni, biglietto gratuito in treno per l’interno, ufficio di collocamento, promesse di concedere terra pubblica con effetti, nella pratica, limitati).





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Parimenti, la difficoltà a integrarsi dei migranti fu notevole: la difesa fuorviante della propria identità, l’idea di considerarsi ospiti a tempo determinato, le reti sociali ristrette e familiari generarono un'integrazione limitata. In questo contesto, il governo promulgò, nel 1902, una legge anticostituzionale che permetteva di espellere qualsiasi straniero ritenuto pericoloso senza un intervento giudiziario, soltanto attraverso una decisione unilaterale del ministero dell’interno. Molti italiani furono colpiti dal provvedimento, alcuni collegati ai movimenti sindacalisti e anarchici.



(foto da internet)


In Parlamento si discusse addirittura un accordo speciale con l’Italia per attirare nuovi immigrati: stabiliva le seguenti preferenze: piemontesi prima, italiani del nord dopo, meridionali, alla fine... Questa tendenza attecchì nella classe dirigente argentina: nel 1947, il governo di Perón spedì una delegazione in Italia per attirare immigrati, consigliando che il reclutamento dovesse tenersi solo a Nord di Roma... 
Ciononostante, l'eterogenea società argentina riuscì a trovare un modello di Paese in cui potettero coesistere insieme, senza perdere la loro identità, in un pluralismo sociale tollerante, varie culture ben definite.



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Un fattore d'integrazione furono anche le grandi istituzioni sportive create da italiani: ad esempio, i due maggiori club di calcio, il Boca Juniors e il River Plate, trovarono un pubblico di tutte le nazionalità.
Nel mondo della politica, l’apporto italiano alla nascita dei primi sindacati e alla diffusione di anarchismo, socialismo e comunismo fu decisivo. Gli italiani contribuirono, in modo determinante, allo sviluppo di sé e dei paesi nei quali si recarono; furono una classe subalterna che subì repressioni e ostracismi, miserie e aggressioni, anche se, di quella migrazione, sembra sussistere scarsa memoria. 





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Per celebrare la giornata abbiamo scelto due canzoni: Italiani d'Argentina (ascolta>>), di Ivano Fossati, e Argentina (ascolta>>) di Francesco Guccini.
p.s.  dedichiamo questo post a chi ci legge da lontano, alla memoria di una giovane coppia (anch'essi italiani di Argentina), che abbiamo assunto a simbolo dell'orrore della dittatura: Laura Noemi Creatore e Norberto Sant'Angelo, desaparecidos a soli 23 anni, nel 1976, e alla profonda dignità e umanità di Adriana Creatore e dei suoi familiari. 

venerdì 23 marzo 2018

La Desolata di Canosa


(foto da internet)

Canosa di Puglia (Canàuse in apulo-barese) è una cittadina di circa 30mila abitanti della provincia di Barletta-Andria-Trani, in Puglia. Il toponimo può derivare dal termine greco Canusion, usato per indicare il primo nucleo sviluppatosi nell'VIII secolo a. C., ma un'altra ipotesi vuole che il nome della città derivi da canis (cane) e, infine, un'altra teoria sostiene che Canosa provenga dal greco χάνεον (cesta di vimini) per la presenza numerosa di vimini spontanei lungo la riva del vicino fiume Ofanto. La cittadina fu fondata secondo la leggenda dall'eroe omerico Diomede, decantato nell'Iliade.  


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Canosa è famosa grazie a un rituale collettivo, unico nel suo genere, simbiosi di devozione religiosa e di celebrazione dell'amore fra una madre e il proprio figlio: la cosiddetta processione della Desolata che si celebra la mattina del Sabato SantoLa processione è uno dei riti religiosi più importanti e significativi della Settimana Santa in Italia (vedi>>). 
Su un antico inno intonato, a ritmo di marcia funebre, da 360 donne vestite a lutto, alcune di esse scalze, e col volto coperto da un velo nero, viene ripreso un antico testo –tratto dall’Inno della Desolata di Antonio Lotti (XVIII secolo), a sua volta basato sullo Stabat Mater di Jacopone da Todi (XIII secolo)– che  vuol condividere il dolore della Vergine Maria per la perdita del proprio figlio.





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Il corteo avanza nel più assoluto silenzio squarciato solo dal canto intonato su un registro vocale acuto, in un'alta espressione della tragedia. Impenetrabili allo sguardo di chiunque, le donne si tengono strette l'una all'altra lungo il tragitto della processione, intonando un canto straziante. 
La musica che accompagna il corteo, scritta per banda dal clarinettista Domenico Jannuzzi, accompagna il passo della donne. Il corteo, che percorre le principali vie della cittadina, conta sulla presenza di bambine vestite da angeli che portano in mano i segni della Passione di Cristo: la corona di spine, le funi, le fruste, la canna, il calice, i dadi, i chiodi, ecc. 




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Fa spicco la statua della Vergine Desolata che raffigura l’Addolorata che compare vestita a lutto, impietrita accanto alla croce. Le donne recitano lo Stabat Mater dolorosa dum pendebat Filius contristatam et dolentem pertransivit gladius (la Madre addolorata in lacrime presso la Croce su cui pendeva il figlio dal cuore trafitto da una lancia), che è divenuto l’Inno della processione, ripetuto più volte lungo il tragitto dal coro, che colpisce e sferza per la sua particolare forza e passione.

mercoledì 21 marzo 2018

L'aperitivo al mercato


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(foto da internet)
 
Spesa e aperitivo: in una mano, la borsa stracolma di primizie e golosità, nell'altra un bicchiere. Perché oggi al mercato si va anche, semplicemente, per prendere l'aperitivo. Succede ovunque, nei nuovi mercati "ripensati". A Roma, ad esempio, al Mercato di Testaccio. Oppure, una novità, gli aperitivi rock o bossanova nel punto Obicà a Campo de' Fiori: taglieri con salumi e mozzarella di bufala campana Dop, supplì e zeppole ecc. 
Qui infatti birre e calici di vino vengono serviti con piattini di pesce, acciughe impanate e poi passate al forno e bocconcini di tonno crudo oppure insalate di verdure di stagione come asparagi e zucchine tagliati al momento.

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Tra i banchi del mercato bolognese il servizio è rustico ma il cibo di qualità e la varietà davvero tanta: si va dai dolci alle mortadelle, dai vini al pesce fresco, dalle pizze alle birre artigianali per arrivare alla macelleria che propone bistecche, polpette e salsicce. Tutti gli ingredienti si possono acquistare nature oppure gustare sul posto e i manicaretti vengono cucinati davanti ai tuoi occhi. Ci si dovrebbe accomodare ai tavoli o almeno poter conquistare una sedia, ma siccome tavoli e sedie non bastano mai e la gente è troppo affamata per poter aspettare, anche il marciapiede diventa un posticino ideale per sedersi a mangiare un boccone.
Aperto nell’estate del 2014 dopo 6 anni di restauri, il mercato bolognese non è certo l’unico in Italia ad aver inaugurato la stagione dei pranzi, degli aperitivi e delle cene da consumare sul posto.

Molte grandi città italiane si stanno finalmente adeguando a questo trend seguendo l'esempio di alcuni famosi mercati europei, primi fra tutti Camden Town a Londra e l'Östermalms Saluhall a Stoccolma, il Marché Des Enfants Rouges a Parigi e La Boqueria di Barcellona.
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Anche a Firenze da circa due anni il Mercato Centrale ha scelto di intraprendere questa nuova era gastronomica. Così al primo piano dell'edificio ottocentesco, all'interno di uno spazio rimasto lungamente inutilizzato (un tempo era consacrato a frutta e verdure), hanno aperto tanti chioschi specializzati in prodotti doc. Al centro ci sono i tavolini messi a disposizione di chi volesse consumare sul posto ciò che ha acquistato nelle botteghe: pesce, fritture, polpette, macelleria fiorentina (ovvero bistecche alte diverse dita di un macellaio robusto), lampredotto (il classico street food fiorentino a base di trippa e salse verde e rossa), formaggi, pasta fresca e dolci. Non mancano gli "idratanti" di alta qualità: birre, vini e caffè di torrefazione. Da non sottovalutare il fatto che il Mercato resta aperto dalle 10 alle 24, 365 giorni l’anno, quindi vi si può mangiare anche a pranzo con la famiglia.

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A Torino il Mercato di Porta Palazzo, cuore multietnico della città, è rimasto più ruspante e l'offerta di cibi pronti è ancora estemporanea. Ciò nonostante, mentre si sta facendo la spesa, si può mangiare cucina popolare al banco 71, dove preparano e vendono specialità di street food molto economiche.
Tutto, ma proprio tutto, si può trovare nei mercati di Roma, ormai altamente specializzati in cibo bell'e pronto. E se quello dei Parioli, soprattutto in estate, è meta dell'aperitivo al mercato Ostiense e al Nomentano si fanno superbe prime colazioni con crostate e cornetti venduti a pochi centesimi mentre il mercato del Quadraro, sempre nella capitale, è famoso per uno dei migliori supplì di tutta Roma.
La mecca capitolina dello street food è però il mercato di Testaccio.
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Qui è tutto un bengodi di panini con la trippa, la salsiccia, la scottona e il bollito alla picchiapò, ma non manca l'estremo opposto: una linea di cibi super salutari e vitaminici appositamente studiati da una nutrizionista. Non solo: accanto al romanesco carciofo alla Giudia vengono proposte specialità forestiere come le quiche francesi, i bagel americani e le arepas venezuelane. E c'è pure il banco della chef stellata Cristina Bowerman che ha scelto il Testaccio per aprire una sede distaccata del suo Romeo chef e baker dove ogni ricetta è contenuta in una speciale cup riciclabile e comodamente da passeggio.
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A Palermo, dove lo street food tra i banchi del fresco ha origini secolari (deriva dai tempi della dominazione araba della città), è nato solo poche settimane fa il mercato San Lorenzo, ospitato nei locali di un'antica agrumaria. Vi sono collocate nove botteghe che vendono ben 2800 prodotti selezionati da 250 fornitori scelti nella sola Sicilia. Ai clienti la scelta di fare la spesa o fermarsi nella corte per mangiare pietanze espresse preparate secondo le ricette della tradizione locale. E mentre si gusta un'arancina è probabile poter assistere a uno dei 150 eventi che ogni anno animano il mercato: showcooking, presentazioni, degustazioni, corsi e lezioni di cucina con chef ed enologi, concerti, cinema, reading di scrittori.

E a Milano che succede intanto? La città meneghina non è ai primi posti per quanto riguarda pasti e aperitivi offerti dagli ex banchi ambulanti. L'esperienza del Mercato Metropolitano aperto in piena Expo dietro la stazione di Porta Genova si è misteriosamente conclusa. Ma i patiti del genere non devono perdersi d'animo. Anche qui qualcosa si muove: per esempio il mercato coperto di viale Monza 54 è stato recentemente ristrutturato e ora la sera ci si ritrova per cene e aperitivi tra i banchi. Non solo: in piazza Santa Maria del Suffragio esiste dallo scorso dicembre un piccolo mercato coperto aperto anche a cena fino alle 23. Pane, pizza, frutta, ortaggi, gelato, vino e pesce: in tutto ospita quattro banchi con relativi tavolini centrali. Non certo un'offerta dai grandi numeri, ma un bel progetto di riqualificazione per un vecchio mercato comunale ormai in disuso che potrebbe dare il via ad altre idee simili in una città che non brilla per la ristorazione economica di qualità, ma ha i numeri e la volontà per crearla.

mercoledì 14 marzo 2018

La festa del papà

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La festa del papà nasce nei primi decenni del XX secolo, per festeggiare la paternità.
ll primo festeggiamento sembra essersi svolto il 5 luglio 1908 a Fairmont, West Virginia, presso la chiesa metodista locale.
Fu la signora Sonora Smart Dodd la prima persona a sollecitare l’ufficializzazione della festa; senza essere a conoscenza dei festeggiamenti di Fairmont, ispirata dal sermone ascoltato in chiesa durante la festa della mamma del 1909, organizzò la festa una prima volta il 19 giugno 1910 a Spokane, Washington. La festa fu organizzata proprio nel mese di giugno perché in tale mese cadeva il compleanno del padre della signora Dodd, veterano della guerra di secessione americana.
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Nei Paesi che seguono la tradizione statunitense, la festa si tiene la terza domenica di giugno.
In molti Paesi di tradizione cattolica, la festa del babbo viene festeggiata il giorno di san Giuseppe, padre putativo di Gesù, ovvero in corrispondenza con la Festa di san Giuseppe, il 19 marzo, giorno in cui la Chiesa cattolica ricorda san Giuseppe.
I primi a celebrarla furono i monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399. Venne infine promossa dagli interventi dei papi Sisto IV e Pio V e resa obbligatoria nel 1621 da Gregorio VI. I papi Pio IX e Pio XI inoltre consacrarono il mese di Marzo a san Giuseppe.

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La festa di san Giuseppe che si celebra il 19 Marzo ha origini molto antiche, che risalgono alla tradizione pagana. Il 19 Marzo è a tutti gli effetti la vigilia dell’equinozio di primavera, quando si svolgevano i baccanali, i riti dionisiaci volti alla propiziazione della fertilità. Nel mese di Marzo venivano svolti anche i riti di purificazione agraria.
Tracce del legame con i culti pagani e con i riti agricoli si ritrovano nella tradizione dei falò dei residui del raccolto dell’anno precedente ancora diffusi in molte regioni.
Ma – secondo la tradizione –  san Giuseppe, oltre ad essere il patrono dei falegnami e degli artigiani, è anche il protettore dei poveri, perchè a Giuseppe e Maria fu negato un riparo per il parto da poveri in fuga.
Proprio per questa ragione alla festa di san Giuseppe è legato anche il pane, spesso deposto sugli altari.

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In Sicilia e nel Salento sono diffuse usanze denominate “Tavole di San Giuseppe”: la sera del 18 marzo le famiglie che intendono assolvere un voto o esprimere una particolare devozione al santo allestiscono in casa un tavolo su cui troneggia un’immagine del santo e sul quale vengono poste paste, verdure, pesci freschi, uova, dolci, frutta, vino. Sono poi invitati a mensa mendicanti, familiari e amici, tre bambini poveri rappresentanti la Santa Famiglia. Si riceve il cibo con devozione e spesso recitando preghiere, mentre tredici bambine con in testa una coroncina di fiori, dette “tredici verginelle”, cantano e recitano poesie in onore di S. Giuseppe. Talvolta è un intero quartiere a provvedere e allestire le tavole all’aperto.

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Alimento tradizionale di questa festa sono le “frittelle” a Firenze e a Roma, chiamate “zeppole” a Napoli e in Puglia, “sfincie” a Palermo. In Canton Ticino sono tradizionali i “tortelli di San Giuseppe“.

Auguri a tutti i papà! 




Ai valenzani Bones Falles! 

E ci rivediamo online il prossimo mercoledì 21 aprile!

lunedì 12 marzo 2018

La dolce Vitti





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"... e ammiro i film di Monica e Antonioni", cantava il Francesco Guccini. Anche a noi. Per gli amanti del cinema, e della città eterna, consigliamo -magari per le vacanze di Pasqua- la mostra La dolce Vitti che Roma dedica, fino al 10 giugno p.v.,  presso il teatro dei Dioscuri al Quirinale, alla musa di Antonioni e regina indiscussa della commedia all'italiana. I curatori della mostra, Nevio De Pascalis, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa, narrano le diverse forme della presenza dell'attrice, da molti anni protetta dal silenzio che avvolge la sua lunga malattia, in 40 anni di spettacolo, film, teatro, tv, costume e cultura, in un percorso espositivo a tappe: il Teatro, il Doppiaggio, Michelangelo Antonioni, il Cinema Comico e l’evoluzione della Vitti in autrice e la tv. 






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Monica Vitti suscita ancor oggi la maggiore simpatia e commozione in un pubblico vasto e trasversale, mediante l'affetto per un'interprete (e una voce) unica e  irripetibile.  Si narra che un medico, molti anni fa, disse alla Vitti: "con quelle corde vocali arrugginite, tutto potrà fare tranne che l'attrice", senza sapere che sarebbe stata proprio quella voce, inconfondibilmente rauca, stonata, a far di lei  l'interprete più completa che l'Italia abbia mai avuto dopo l'indimenticabile Anna Magnani.

La mostra offre ai visitatori 70 fotografie spesso rare, con testimonianze degli amici di ieri (SordiScolaRisiSteno) e di oggi (la Maraini, Placido, Giannini, Vanzina), filmati d'archivio e documenti curiosi. Fa spicco il referto del foniatra che prese la sopraccitata cantonata.


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il percorso inizia dalle immagini dell'Accademia d'Arte Drammatica, dove una giovanissima Maria Luisa Ceciarelli (il suo vero nome all'anagrafe) venne prima respinta e poi ammessa. Poi il nome artistico  -Monica Vitti-  dovuto a  Sergio Tofanoun maestro assoluto del teatro che riconosce in lei un vero talento comico. Si continua con le immagini tratte da Il grido di Antonioni, nel quale Monica Vitti  doppiò Dorian Gray, l'indimenticabile benzinaia Virginia. In studio colpì il maestro Antonioni e ne divenne la musa.
La Vitti raccontò più volte che negli studi di doppiaggio le facevano interpretare solo le popolane: la prostituta de Le notti di Cabiria, la ladra de I soliti ignoti, la moglie di Accattone
Con Antonioni diede vita alla cosiddetta tetralogia dell'incomunicabilitàL'avventura (vedi>>), La notte (vedi>>), L'eclisse (vedi>>), Deserto Rosso (vedi>>), che la fece conoscere nel mondo intero come interprete sofisticata ed enigmatica. L’incomunicabilità, l’alienazione, la crisi dei sentimenti: il moderno nel cinema mondiale è in questi film amati, imitati, divenuti una pietra miliare del cinema del '900.




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Nel 1968 la Vitti decise di cambiare registro e di ripartire da zero. Grazie a La ragazza con la pistola (vedi>>) di Monicelli fu la prima attrice italiana che abbinasse bellezza e talento comico. Trionfò nella commedia, un genere allora dominato esclusivamente dagli uomini (Sordi, Manfredi, Gassman, Tognazzi), ed esplose nel ruolo di Assunta Patanè, una umile donna siciliana sedotta, abbandonata e trasmigrata nel Regno Unito.  
Alberto Sordi l'adorava; con lei aveva un rapporto assoluto e ideale: una sorta di suo corrispondente femminile. Ettore Scola la scelse per Dramma della gelosia (vedi>>)e la musa dell'incomunicabilità si trasformò nell'esplosiva regina della commedia all'italiana. La Vitti interpretò film di successo quali: Amore mio aiutami (vedi>>), Le coppie (vedi>>), Ninì Tirabusciò (vedi>>), Teresa la ladra (vedi>>), Polvere di stelle (vedi>>). Recitò, agli ordini del marito,  Roberto Russo, in Flirt, con cui vinse l'Orso d'argento al Festival di Berlino. Si cimentò anche con la regia nel film Scandalo segreto.
Irresistibile anche la sua presenza in tv: fu ospite di lusso a Canzonissima (vedi>>) e Milleluci (vedi>>), in trio con Mina e la Carrà, di cui la mostra offre i filmati.


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La mostra si chiude con le sue ultime immagini nei cinegiornali Luce: i volti del grande cinema, Rossellini, De Sica, Strehler e la Magnani,  che in occasione di premiazioni, prime teatrali o cinematografiche, fanno corona al suo volto sorridente e radioso. 
La Vitti ha saputo unire le due anime del nostro cinema più grande: quella d’autore, il cinema d’impegno e la Commedia all’italiana. La sua lunga distanza dalle scene, dall’apparizione pubblica, ha paradossalmente prolungato il suo incantesimo, e la diva e la donna sono incredibilmente presenti nel nostro immaginario collettivo.



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La mostra permetterà di (ri)vedere, nella sala cinema del Teatro dei Dioscuri, alcuni dei suoi film più significativi: L’avventura di Michelangelo Antonioni, La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, Dramma della gelosia di Ettore Scola, Teresa la ladra di Carlo Di Palma, Flirt di Roberto Russo.
Accompagna la mostra il volume La Dolce Vitti, edito da Edizioni Sabinae e Istituto Luce-Cinecittà, a cura di Nevio De Pascalis, Marco Dionisi, Stefano Stefanutto Rosa, con un’introduzione di Irene Bignardi: un racconto testuale di 150 pagine in 10 tappe con uno straordinario apparato iconografico di oltre 100 immagini, Filmografia e Teatrografia e preziose testimonianze.
Noi vorremmo omaggiarla a modo nostro, con la canzone L'amore è un treno (vedi>>), tratta dal film Polvere di stelle.
Buon divertimento!


venerdì 9 marzo 2018

Dalle macchie del giaguaro al caminetto



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Dopo le elezioni politiche del 4 marzo, dei nostri studenti ci hanno chiesto il significato di alcune parole apparse sui media in Italia. Ecco a voi un piccolo vocabolarietto da consultare in caso di dubbio.  Cominciamo dal linguaggio in sé, e cioè dal cosiddetto politichese, che viene definito in questo modo: "s.m., dicesi, con valore negativo, del linguaggio usato da uomini e da commentatori politici, contorto e involuto, spesso incomprensibile al vasto pubblico".  Niente paura! 
Cominciamo: la palma del politichese la ottenne Pier Luigi Bersani, ex segretario Pd, il quale coniò delle famose metafore -imitate con garbo da vari comici- tra cui spicca il famosissimo smacchiare il giaguaro, il cui il significato sarebbe "togliere la forza (a Berlusconi)!"
Orbene, nella recente tornata elettorale abbiamo letto/ascoltato (in ordine alfabetico):






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ciaone.  interiezione e s. m. Nella lingua colloquiale, è una forma di saluto che esprime ironia o scherno. Nel 2014 diventò celebre grazie a una battuta del film Confusi e Felici (vedi>>) di Massimiliano Bruno, nella scena in cui Caterina Guzzanti pronunciava un ciaone rassegnato davanti allo psicologo Claudio Bisio. È propriamente accrescitivo dell'interiezione e s. m. ciao. Leggi>>. Potremmo tradurlo così: Hala, hasta lueguito... (si accettano suggerimenti...) 

Conte Ugolino. Citato da Matteo Renzi. Trattasi di Ugolino della Gheradesca fu una delle personalità politiche di primo piano nella Toscana del XIII secolo. Nato a Pisa verso il 1220 da antica e nobile famiglia, era per tradizione di parte ghibellina, ma, per ragioni familiari, passò su posizioni guelfe. Fu podestà della città toscana e, posteriormente, venne nominato capitano del popolo. Restò al potere fino al 1288, quando fu fatto arrestare e fu rinchiuso, con i figli ed i nipoti, nella Torre dei Gualandi. La chiave venne gettata in Arno e i prigionieri furono condannati a morire di fame. Dopo la morte di Ugolino fu chiamata Torre della Fame.
L’avvenimento viene ripreso da Dante Alighieri venti anni dopo nella CommediaPoscia più che 'l dolor, potè 'l digiuno (Inf. XXXIII, 75), in cui Ugolino è tra i traditoriRenzi fa riferimento ad essi.





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caminetto/i. s. m. [diminutivo di camino]. Piccolo camino usato per riscaldare l’interno di una stanza e anche, talora, per cuocere cibi alla griglia, con focolare ricavato nello spessore del muro, cappa poco sporgente sul piano della parete (può essere anche aggettante dall’angolo tra due pareti, e talvolta addirittura isolato nel mezzo di un ambiente). Fig. (nel linguaggio giornalistico), conversazioni al c., conversazioni informali, negli incontri tra uomini politici.  Ancora citato da Renzi, contrario alle conversazioni informali. 


competitor: bruttissimo! Competitor ‹këmpètitë›, s. ingl. [der. di (to) compete «concorrere», quindi «concorrente»] (pl. competitors ‹këmpètitë∫›), usato in ital. al masch. (e pronunciato comunemente ‹kompètitor›). Sinonimo di concorrente in senso economico: abbiamo incontrato un c. agguerrito. Viene usato anche in politica per indicare un rivale (specialmente quelli nei seggi uninominali!)



frondas. f. [dal fr. fronde, propr. «fionda»].  Movimento di opposizione determinatosi in Francia nel parlamento e nel popolo contro l’assolutismo monarchico instaurato dal Richelieu e dal Mazzarino durante la minore età di Luigi XIV (1648-1653) e per estens. Opposizione sistematica, per lo più coperta, soprattutto all’interno di un governo o di una maggioranza parlamentare, di uno schieramento politico, di una collettività: vento di f., spirito di opposizione; fare la f., opporsi più o meno copertamente, contrastare le direttive o le iniziative: fare la f. al governo, a un’autorità.









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fisarmonica: strumento musicale del tipo armonium, ma portatile, inventato nel 1829 dal viennese C. Damian. È costituita da una o due serie di ance libere poste in vibrazione – mediante valvole a tasto – dall’aria emessa da un mantice a soffietto azionato dalle braccia del suonatore. Ha due tastiere: una per la mano destra, che dispone di un numero variabile da 31 a 102 tasti, i quali possono essere o simili a quelli del pianoforte (sistema pianoforte) o dei bottoni (sistema cromatico: in questo caso la tastiera è detta anche bottoniera); e una per la mano sinistra, che dispone di 48-120 bottoni, che danno le voci dei bassi e accordi già formati. Nel politichese il termine è usato nell'espressione potere a fisarmonica, è cioè variabile, ampio, ecc.


fare cappotto (leggi>>): nel linguaggio gergale, vuol dire vincere in una maniera clamorosa, tanto da infliggere quasi un'umiliazione all'avversario. Tale locuzione viene utilizzata prevalentemente nel mondo dello sport. A Siena, significa vincere entrambi i Palii ordinari (2 luglio e 16 agosto) corsi in uno stesso anno. Fare cappotto è un'impresa ardua quanto ambitissima da tutte le Contrade. Anche in politica si può fare cappotto...




inciucio: un vero e proprio classico.  Dal napoletano ’nciucio, propr. «pettegolezzo, sobillamento», di origine onomatopeica. Termine introdotto recentemente nel linguaggio politico (e dal quale sono poi stati coniati nel linguaggio giornalistico i derivati inciucismo, inciucioso, inciuciare) con il sign. originario di intrigo, intesa raggiunta sottobanco, di nascosto, e in seguito passato a indicare un piano o un accordo politico confuso, non chiaro, malamente orchestrato. L'esempio è ancora di Renzi.


paracaduto/a: da  paracadutare v. tr. [der. di paracadute]. Lanciare da un aeromobile o da altro veicolo aereo persone o oggetti muniti di paracadute: p. soldati, munizioni oltre le linee nemiche; art. pass. paracadutato. Dicesi dei politici candidati in determinati collegi elettorali ad essi completamente estranei (ad esempio, la Boschi a Bolzano)





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ripescato/a:  da ripescare: v. tr. [comp. di ri- e pescare]. Qui con valore di ricuperare, cosa o persona che era rimasta nascosta, sospesa o interrotta, dimenticata: in soffitta ho ripescato una specchiera dell’Ottocento ancora in buone condizioni; nell’uso parlamentare, r. una legge già approvata da un ramo del Parlamento (nella precedente legislatura), ripresentarla all’approvazione dell’altro ramo. In partic., con riferimento a risultati elettorali, r. un candidato, dichiararlo eletto, pur non avendo egli raggiunto il numero di voti richiesto, in base alla ripartizione finale dei resti. Numerosi, in questa tornata i politici italiani ripescati (leggi>>)


rottamato, rottamazioneda rottamare v. tr. [der. di rottame]. Destinare alla demolizione, e demolire, spec. autoveicoli e altri mezzi di trasporto o macchinari fuori uso, riutilizzando i rottami come materiale metallico e i pezzi e gli accessori ancora funzionanti come parti di ricambio. Qui con valore di mandare a casa determinati politici (leggi>>).

sfida secca: il nuovo e complesso sistema elettorale italiano, prevede anche il collegio uninominale: una circoscrizione elettorale che elegge un unico rappresentante all'assemblea legislativa. La sfida secca è quindi la rivisitazione del mors tua vita mea...








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sinistra salottiera:  la sinistra che frequenta i salotti mondani e per estensione superficiale, frivola e inutile (leggi>>).


tirare la volatanelle gare di corsa, e specialmente nelle corse ciclistiche, lo sforzo compiuto da un gregario per raggiungere la massima velocità e lanciare il capitano della propria squadra, soprattutto in prossimità del traguardo (leggi>>). Qui col valore di favorire, appoggiare.

trombato/i: verbo tr. e intr. [der. di tromba], qui fig., volg. Possedere sessualmente, avere un rapporto sessuale. Per ulteriore estensione del traslato (cfr. l’equivalente fregare), bocciare, sia in elezioni: si era presentato alle elezioni regionali, ma è stato trombato; sia in concorsi, esami, ecc.: Part. pass. trombato, anche come agg. in senso fig.: i candidati trombati, e come s. m. (f. -a): anche lui è fra i trombati al concorso (o alle elezioni). Insomma, quelli che non ce l'hanno fatta... (leggi>>).