mercoledì 30 settembre 2015

Quando la poesia sceglie la lingua

Oggi, all'indomani delle elezioni catalane, abbandoniamo i risultati politici per condividere con tutti i chiodini una riflessione linguistica. 

(foto da internet)

È possibile fare letteratura in una lingua che non sia la materna. L'esempio più ecletante è Nabokov, il romanziere russo che scelse l'inglese per i suoi romanzi, lingua così lontana dalla sua. 
Conosciamo casi simili con la lingua di Dante? Sì, un poeta molto vicino a tutti, Pere Gimferrer, il quale,  negli anni ´60 con la pubblicazione di Arde el mar si impose sul panorama letterario spagnolo come uno dei poeti catalani più importanti. Il poeta ha pubblicato, appena un anno fa, simultaneamente, in edizione bilingue (catalano-italiano) un libro di poesia. El Castillo de la pureza (Tusquets) e Per riguardo (Vandalia). Il primo è stato tradotto in castigliano da José María Micó e il secondo dal poeta e romanziere Justo Navarro, il quale ha affermato che tradurre l'italiano di Gimferrer rende possibile comprendere appieno la lingua castigliana. 
(foto da internet)

La bellezza di questa scelta, a detta di Gimferrer, è che è l'italiano è per lui una lingua propria. E soprattutto la scelta di una lingua anziché di un'altra ti guida per il cammino e ti fa prendere una strada invece di un'altra. 
L'italiano è per il poeta una lingua a cui lui si è avvicinato grazie al cinema, grazie alla letteratura, in primis a Dante che poi lo ha portato a sentire una vera e propria passione italiazzante.  Non è la lingua a essere patrioti. 

lunedì 28 settembre 2015

Lessico e arte (I)


 (foto da internet)

Cari chiodini, iniziamo quest'oggi una nuova rubrica settimanale dedicata al lessico (e all'arte). Probabilmente ricorderete un libro di testo che si usava tempo fa nelle nostre scuole, edito da Bonacci, il mitico Uno.
In esso, gli autori utilizzarono il David di Michelangelo -a dir il vero un po' censurato-  per etichettare le parti del corpo in italiano.
Ebbene, ci proponiamo di analizzare lo stesso campo lessicale servendoci dei numerosi esempi presenti nell'arte italiana.
Inizieremo il nostro viaggio dalla parte superiore del corpo: la testa.
Il dizionario ci offre questa definizione: "(...) nell’uomo è il segmento più elevato del corpo, situato al di sopra del collo (è sinonimo di capo, ma in varie regioni si usa quasi esclusivamente testa)".
Per illustrarla, abbiamo scelto un quadro di Caravaggio, David con la testa di Golia.


(foto da internet) 

Il quadro è conservato nella galleria Borghese di Roma.  Venne dipinto attorno al 1609-1610. E' un olio su tela di 125x101 cm. Venne eseguito, probabilmente, a Napoli, dove Caravaggio, fuggito da Roma, si trovava in esilio per l’accusa di omicidio. Non è noto il committente dell'opera. 
Nel quadro si può osservare come David regge e osserva il capo mozzato di Golia, con un'espressione che denota una certa pietà verso l'avversario sconfitto, e nel cui viso Caravaggio avrebbe raffigurato il proprio autoritratto
Sulla spada appare l’iscrizione  H.AS O S: il motto agostiniano Humilitas occidit superbiam, che sta per l'umiltà uccise la superbia.
Secondo i critici, il pittore avrebbe inviato la tela al cardinale Scipione Borghese, come dono per il pontefice Paolo V, allo scopo di ottenere il perdono del Papa e favorire il suo ritorno a Roma. 
La grazia fu accordata ma Caravaggio, dopo un avventuroso viaggio verso la città eterna, morì in Toscana, sulla spiaggia di Porto Ercole, il 18 luglio 1610. 
Numerosissimi i modi di dire, in italiano, con il termine testa.
Ne ricordiamo uno, ahimè, che rimanda alla tela del Caravaggio: giocarsi la testa.
 


Caravaggio (Michelangelo Merisi)(Milano 1571 – Porto Ercole, Grosseto 1610)
David con la testa di Golia
1609-1610
Olio su tela, cm 125x101
Inv. 455
Provenienza: collezione del cardinale Scipione Borghese
Il dipinto fu eseguito con tutta probabilità a Napoli, dove Caravaggio, fuggito da Roma nel 1606, si trovava in esilio per l’accusa di omicidio. Non è noto il committente dell'opera e si deve forse allo stesso pittore la scelta del soggetto: la vittoria dell’eroe d’Israele sul gigante filisteo Golia.
David non manifesta un fiero atteggiamento di trionfo mentre regge e osserva il capo mozzato di Golia; la sua espressione è piuttosto di pietà verso quel “peccatore”, nel cui viso Caravaggio avrebbe raffigurato il proprio autoritratto. La descrizione del volto di Golia, così vividamente espressiva nella fronte corrugata, la bocca spalancata per l’ultimo respiro, lo sguardo sofferente, l’incarnato esanime, rappresenta il risultato del dramma umano vissuto dall’artista. L’iscrizione che compare sulla spada “H.AS O S” e’ stata sciolta dalla critica con il motto agostiniano Humilitas occidit superbiam.
L’episodio biblico diventa quindi impressionante testimonianza degli ultimi mesi di vita di Caravaggio, rendendo plausibile l’ipotesi secondo la quale il pittore avrebbe inviato la tela al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare al pontefice Paolo V per ottenere il perdono e il ritorno in patria. La grazia fu accordata ma Caravaggio, quasi al termine del viaggio verso Roma, morì sulla spiaggia di Porto Ercole.
- See more at: http://galleriaborghese.beniculturali.it/index.php?it/135/caravaggio-david-con-la-testa-di-golia#sthash.eoCMp3ZV.dpuf

venerdì 25 settembre 2015

Le scarpe rotte (o le piccole virtù)

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(foto da internet)

Le piccole virtù di Natalia Ginzburg, è un libro che vi consigliamo. E' composto da undici testi che si dipanano tra l'autobiografia, il saggio di costume e l'impegno pedagogico. Furono composti fra il 1944 e il 1962 e vennero pubblicati via via su quotidiani e riviste. 
Undici modi diversi di rapportarsi a fatti, cose, gesti, voci. La Ginzburg si interroga, nelle pagine del libro, con una magistrale lievità, sull’amicizia, sul significato del termine virtù, sul silenzio, ecc., in un armonioso autoritratto, straordinario esempio di ricchezza e leggerezza, affresco di pensieri e tormenti che colpisce il lettore per la nitidezza e la profondità condensate in poche pagine, tra le più belle della prosa italiana contemporanea. 
L’autrice offre di se stessa, e del mondo in cui è vissuta, un quadro garbato e penetrante, che va dall'esperienza del confino con il marito Leone Ginzburg al desolato dopoguerra, e ci offre, con una forza struggente, il senso dell’esperienza in senso lato: come ad esempio il testo Le scarpe rotte, intriso da un delizioso senso del comico, o il ritratto dell'amico Cesare Pavese (probabilmente le pagine più belle dedicate all’uomo Pavese), o ancora nelle considerazioni sul mestiere di scrivere.


 (foto da internet)

Bello anche il capitolo autobiografico, in chiave obiettiva ed ironica, intitolato Lui ed io, in cui la contrapposizione dei caratteri si trasforma nel più affettuoso poema della vita coniugale.
Con notevole eleganza, la Ginzburg ci dona una testimonianza preziosa delle qualità e delle debolezze umane, capace di commuovere e di far pensare nel giro di poche righe.
Italo Calvino scrisse di questo testo: "In ogni pagina di questo libro c'è il modo di essere donna: un modo spesso dolente ma sempre pratico e quasi brusco, in mezzo ai dolori e alle gioie della vita". 
Vi proponiamo la lettura del testo Le scarpe rotte, tratto da Le piccole virtù, e interpretato da Giovanna Mezzogiorno.
Buon ascolto e buona lettura!

mercoledì 23 settembre 2015

L'americano di Cuartientos


(foto da internet)

Oggi vogliamo condividere con voi un blog di un amico storico di Chiodo, amante dell'Italia anche se molto critico con gli Italiani.
Lo abbiamo letto sul suo blog personale: Cuartientos, Ni cuentos ni artículos. tampoco articuentos o cuentartículos. Simplemente se trata de cuartientos.
Scritto in spagnolo, il cuartiento è di gran interesse culturale, un omaggio alla musica napoletana.

Buona lettura!


L'americano

a Vittorio Zenzola, el primer italiano
Lo que hace Chaplin con las mejillas lo hace Renato Carosone con la lengua -me dijo mi barbero salernitano, Riccardo Ciliberti, hace más de quince años y yo no pude escucharlo porque estaba mas pendiente de mi cuello que de sus palabras.
Varias semanas después, encontré un cd recopilatorio en un bancone del Corso Vittorio Emanuele y lo compré por dos mil liras, una moneda que desapareció después de avisar,  igual que los dinosaurios y las pesetas.
Carosone, Carosone, Ca-ro-so-ne. Desde entonces lo he escuchado miles de veces y las canciones, en lugar de gastarse, con cada audición ganan y mejoran: nuevos sonidos, mejores matices, otras lecturas, renovadas interpretaciones. Les ayuda, es verdad, el napolitano, una lengua que para quien no ha nacido en la Campania, independientemente de que hable o no italiano, es una suerte de arameo, en que cada sonido, cada fonema, viene acompañado de un gesto y, juntos los dos, podrían ser resumidos por un filólogo contenido en un tomo de mil quinientas páginas.
Lo que más me interesa de Carosone, sobre todo de los trabajos en que el letrista es Nicola Salerno, es que sus canciones, divertidísimas mayormente,  nunca resultan anacrónicas. Al contrario, como se refieren a una parte del mundo en la que no sólo Cristo se detuvo, sino también el tiempo, cada vez son más actuales. Algo parecido, hablando de la parte de Italia que para bien o para mal más he visitado, también me sucede con Totò, Pino Daniele y Massimo Troisi: escucharles y verles es un asunto campano, fresco siempre como un bocconcino di mozzarella, cercano y remoto como una crónica de Matilde Serao, propio y ajeno, comprensible a medias (lo cual es una maravilla porque deja abierto todo un compás de posibilidades meióticas), agradable siempre.
Quienes crean que no conocen a Carosone y a Nicola Salerno se equivocan. Suya es la canciónTu vuò fa l'americano. De hecho es el primer trabajo que hicieron juntos en 1956. En ella (siguiendo quizá la estela de Un americano a Roma, donde Alberto Sordi encarna al inolvidable Nando Meniconi), un joven napolitano se empeña en bailar rock, jugar beisbol y, peor todavía, decir "I love You" mientras hace el amor bajo la luna. Se puede también escuchar en El Talento de Mr Ripley. Y, como no, en la versión discotequera que en 2010 hizo una banda australiana.






Escucharlo ahora es un privilegio en el que  no sólo admiramos a Carosone, sino que recordamos a Alberto Sordi rescatando el plato de pasta que le había dejado la madre sobre la mesa en Un americano a Roma, a Totò y Peppino que en 1958 incluyeron a la fuerza la canción en Totò, Peppino e le fanatiche o a Jude Law cantando la canción en Napoli ante los ojos embelesados del Matt Damon.
Todas sus canciones en general retratan perfectamente la belleza y la tristeza, la dulce fatalidad del Sur de Italia: un pueblo que sabe que está mal, que irá a peor, pero que permanece embelesado pensando en la calidad de la pasta que come todos los días, en la melódica melancolía de su música y en sus bellezas naturales. Para tolerar y comprender una situación tan complicada, quizá sea necesario escuchar Pigliate 'na pastiglia, una canción en la que Carosone describe la vitrina de una farmacia donde se puede pedir además de aspirinas un bistec alla fiorentina.






Otra canción cantada por Carosone que me gusta mucho y me hace recordar a Matilde Serao y a Massimo Troisi es Tre numeri al lotto. No es producto de la colaboración con Nicola Salerno, pero evoca la pasión lúdica del pueblo campano y el significado que en la tómbola napolitana cada número tiene. En Tre numeri al lotto, soñando con el terno, pero también con el ambo, ¿por qué no?, Renato Carosone apuesta por Nataleil male y le botte: 25, 60 y 38, tres números que podríamos jugar hoy, a ver qué pasa.






Finalmente, ya que fue la canción que me recomendó Ciliberti, dejo Io mammeta e tu, un clásico napolitano cantado esta vez por Carosone que describe la estrecha relación de toda joven italiana con su familia y lo difícil que es entrar y abrirse un espacio en ella.



-Lo que hace Carosone con la lengua no lo hace nadie con las manos -podría responderle hoy a mi barbero salernitano.



Slavko Zupcic

lunedì 21 settembre 2015

Il bacaro

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 (foto da internet)

 Il bacaro è un tipo di osteria veneziana, dove si possono trovare una vasta scelta di vini in calice (denominati ombre o bianchetti) e piccoli cibi e spuntini (detti cichéti). 
Il bacaro ha, di solito, pochi posti a sedere e un lungo bancone vetrinato contenente i prodotti in vendita.
Il nome bacaro potrebbe derivare da Bacco, dio del vino, o, secondo un'altra teoria, dall'espressione veneziana far bàcara, e cioè festeggiare.
Col termine Bacari venivano designati, un tempo, i vignaioli e i vinai che venivano a Venezia con un barile di vino da vendere in Piazza San Marco insieme con dei piccoli spuntini. Il bicchiere di vino che si beveva si chiamava ombra, perché i venditori seguivano l'ombra del campanile per proteggere il vino dal sole. Per evitare il faticoso trasporto giornaliero, si cercò in seguito un locale, che si usava come magazzino e come mescita.



(foto da internet)


Il bacaro è, attualmente, sia un esercizio di ristorazione per il pranzo, sia un luogo di ritrovo per l'aperitivo, anche se, in origine, era un luogo d'aperitivo piuttosto che di pranzo o cena.
Tra i cicheti più ricorrenti vi sono i crostini di baccalà mantecato, alici marinate, misto mare o folpetti (piccoli polpi) in umido.
I veneziani amano  andar a cicheti (o a cichetare) o fare il giro d'ombra, che vuol dire andare al bacaro, trovare degli amici e bere un buon bicchiere di vino o il famoso spritz
Per chiudere, vi segnaliamo una piccola guida dei migliori bacari di Venezia e un'intervista  al gestore dell'Osteria Do spade.
(A Ernesto e Toni, compagni di ombre)

venerdì 18 settembre 2015

Uno sponsor eccezionale

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(foto da internet)

Quante volte avremo ascoltato le note esplosive di Funiculì funiculà, la celebre canzone napoletana scritta, nel 1880, da Giuseppe Turco e musicata da Luigi Denza!
Questo famosissimo brano, considerato fondamentale per la nascita della canzone napoletana moderna, venne adottato come vero e proprio sponsor per promuovere la prima funicolare del Vesuvio, inaugurata, appunto, nel 1880 e che rimase in funzione sino al 1944. 
La scelta ebbe un successo straordinario: la canzone favorì  l’incremento del numero di turisti, sia stranieri che napoletani, entusiasti di avere a disposizione un modernissimo mezzo di trasporto. 


(foto da internet)  
Funiculì funiculà, descrive i vantaggi offerti dalla funicolare, che permette di salire senza fatica, ammirando il magnifico panorama (vedi il testo>>).
Fino al 1880, infatti, la zona si poteva raggiungere solo a piedi, dopo un lungo, faticoso e tortuoso percorso.  Con la costruzione della funicolare, il Vesuvio fu accessibile a tutti.

Funiculì funiculà venne cantata per la prima volta il 6 giugno del 1880, nell'ambito del concorso La canzone di Piedigrotta. Il successo senza eguali, permise alla Casa Ricordi, una delle più antiche case editrici, da cui fu edita, di vendere circa un milione di copie nell’arco di un anno! 


 (foto da internet)

Il celebre brano venne interpretato anche da grandissimi tenori, quali Mario Lanza, Luciano Pavarotti, Andrea Bocelli
Richard Strauss la inserì nel movimento finale del poema sinfonico Dall’Italia.
Nel 2012 fu inserita nella colonna sonora del film Benvenuti al Nord di Luca Miniero, nella versione del cantante Bruno Venturini.
Noi, però, tra i tanti musicisti e cantanti che si sono cimentati nell’interpretazione della celeberrima canzone, vorremmo ricordare quella proposta dall'indimenticabile Roberto Murolo (ascolta>>).




mercoledì 16 settembre 2015

La Spagna campione del mondo



(foto da internet)

Ebbene sì, la Spagna campione del mondo. Seppur usiamo termini sportivi, non stiamo parlando di né di calcio, né di tennis e tantomeno di ciclismo. Stiamo parlando di un altro dei pezzi forti della vita spagnola: la gastronomia. 
Nella classifica annuale "The World's 50 Best Restaurants", stilata dalla rivista britannica "Restaurant" sulla base del parere di chef internazionali, ristoratori, buongustai e critici del settore, la Spagna si aggiudica ben sette ristoranti, sei gli Stati Uniti e cinque la Francia. 

Sono questi i paesi più rappresentati. L'Italia, grazie a "Osteria Francescana", Modena, guadagna il secondo posto nella classifica mondiale, salendo di un gradino rispetto allo scorso anno, dietro al catalano "El Celler de Can Roca" di Girona, il cui piatto forte è lo sgombro con sottaceti e bottarga. 
El Celler de Can Roca ha una lunga storia familiare. Aperto nel 1986 dai genitori dei fratelli Joseph, Joan e Jordi era un locale molto semplice di cucina tradizionale in un quartiere popolare di Girona. Dal 2007 la svolta: con il trasferimento nella sede attuale ariva anche la consacrazione all'alta cucina. 
(foto da internet)

I clienti sono avvolti in un mondo di genuina ospitalità che dura per tutte le 14 portate del menu degustazione (dai tempi incredibilmente snelli) che volano tra ingredienti catalani, cucinati con suprema precisione, e una forza evocativa che diventa un viaggio tra "sensi, emozioni e ricordi" grazie anche all'uso dei profumi (il lavoro del talentuoso Jordi) e ai trucchi visivi. Piatti immediati - lo scampo - o più cerebrali e molto elaborati (vedi l'insalata di anemone di mare, cannolicchi, cetriolo e alghe in escabeche), tutti sempre in perfetto equilibrio.
(foto da internet)


L'Italia può godersi la piazza d'onore del suo chef più famoso e carismatico.Massimo Bottura, tre stelle Michelin, miglior cuoco del mondo secondo laWhite Guide svedese, pluripremiato dalla Guida di L'Espresso, premiato dall'Accademia italiana della cucina per la valorizzazione della tradizione, osannato dalla critica internazionale non solo per il suo talento in cucina ma per la sua passione, le sue idee che portano i suoi piatti a viaggiare tra la tradizione modenese e la cultura e l'arte contemporanea, amato dal pubblico, osannato dai gourmet di mezzo mondo (che lo fermano per strada per farsi una foto con lui), ha fatto davvero una strada enorme: dal 51° posto del 2008 ad oggi, a un passo dal podio più alto.

(foto da www.repubblica.it)

Un cammino certo non sostenuto da un Paese che poco fa per promuovere la propria ristorazione. Con Expo è comunque di sicuro un ottimo momento e Bottura è il grande protagonista anche per l'impegno sociale che ha messo in campo e che gli è valso la benedizione di Papa Francesco: una benedizione, non solo metaforica, per il lavoro che sta facendo al refettorio Ambrosiano nel segno del recupero del cibo, di una vera idea di sostenibilità e di nutrizione del pianeta. Insomma, un passaggio che tiene insieme tutti i pezzi della carriera dello chef modenese.

lunedì 14 settembre 2015

Il Bibliomotocarro (per i chiodini di Quartell)





(foto da internet)

Un maestro in pensione, Antonio La Cava, sfreccia -si fa per dire- per le vie tortuose dei paesi della Basilicata alla guida del suo veicolo: un'Apecar azzurra con il tetto e il comignolo a mo' di casetta, munita di un altoparlante che diffonde musica sinfonica e due vetrine piene zeppe di libri disposti su degli scaffali. E' la biblioteca ambulante Bibliomotocarro. I ragazzini gli corrono incontro, lo circondano, lo stringono in un abbraccio affettuoso. Sembra un'immagine d'altri tempi. A bordo della sua Apecar, il maestro La Cava raggiunge i paesi lucani, si ferma nella piazza centrale o in luoghi già stabiliti. I bambini arrivano incuriositi, frugano tra gli scaffali, prendono un volume a scelta, lo sfogliano, lo portano a casa. Dopo un mese, il maestro ritorna e ritira i testi dati in prestito. 
La Cava ha 68 anni, per 42 anni ha insegnato nel suo paese, Ferrandina, nel Materano, e da tre anni è in pensione.


 
 (foto da internet)

L'idea del Bibliomotocarro nacque circa 15 anni fa.  Quando La Cava si pose il problema di avvicinare i libri ai bambini,  un suo alunno gli diede la soluzione:  "Maestro -gli disse-, dobbiamo mettere le ruote ai libri". E così cominciò a pensare alla maniera migliore di trasportarli, con un mezzo che fosse misura di bambino, e che avesse l'umiltà dei piccoli: il motocarro. 
Il motocarro poteva portare i libri fuori dalla scuola, farsi trovare per strada. Il libro, insomma, poteva diventare un amico...
All'inizio dell'esperienza la biblioteca ambulante girava solo per Ferrandina: tutti i sabati pomeriggio il maestro dava appuntamento ai bambini del paese in otto fermate segnalate con dei cartelli. 
Oggi le cose sono un po' cambiate:  il Bibliomotocarro ha circa 1.200 libri, tutti acquistati dal maestro La Cava. Classici, italiani e stranieri: Cuore, Pinocchio, Dickens, i gialli di Agatha Christie, Il Milione di Marco Polo... 
E poi i libri con testo originale a fronte, in arabo, rumeno, cinese, spagnolo, inglese. Il progetto si è allargato ad altri paesi. Attualmente. al Bibliomotocarro non arrivano solo  i bambini. Molti anziani, per esempio, richiedono sussidiari delle elementari perché da ragazzini non hanno potuto studiare. Nel 2006, La Cava cambiò il motocarro passando a un'Apecar un po' più potente. La biblioteca ambulante sfreccia a ben a 40 km all'ora, e può raggiungere i paesi più lontani, in viaggi che durano anche quattro ore!

 
(foto da internet)

Qualche anno fa è nato il progetto dei Libri bianchi. L'idea è nata su suggerimento di una bambina: "E perché i testi non li scrivessimo noi?", chiese incuriosita al maestro La Cava. Così, con 200 quaderni, partì questa originale iniziativa:  La Cava li distribuisce nei paesi a chi ne fa richiesta. I bambini scrivono quel che vogliono e poi restituiscono il quaderno. I quaderni passano poi ad altri ragazzini che continuano la storia a modo loro.
Nei Libri bianchi i bambini si raccontano ad altri coetani: sono  pensieri, storie di fantasia e spesso anche storie autobiografiche, con immagini forti e crude.
La Cava partecipa anche ad incontri di animazione alla lettura nelle scuole elementari con video, musiche e l'aiuto delle nuove tecnologie.
Oggi il Bibliomotocarro è diventato un'istituzione culturale per la Basilicata. Le amministrazioni locali lo chiamano per organizzare incontri con le scuole e laboratori. 
Il Bibliomotocarro collabora anche con il Comitato Matera 2019, per diffondere la capitalità europea della cultura della città lucana. 
Buon viaggio, maestro!

venerdì 11 settembre 2015

La macchina di Santa Rosa (da Viterbo)



(foto da internet)

Negli spazi di Eataly, all’interno di Expo Milano 2015, è stata esposta la cosiddetta macchina di Santa Rosa, simbolo della città di Viterbo e unico monumento trasportato e ricostruito nel sito espositivo.
La macchina in questione ha sfilato per le vie della città laziale, secondo tradizione,  alcuni giorni or sono, la sera del 3 settembre. La macchina è una torre alta trenta metri che pesa oltre cinque tonnellate. Viene portata a spalla da più di cento uomini lungo un percorso nel centro storico di Viterbo, illuminando la città attraverso una combinazione di fiaccole e luci elettriche. Il trasporto rievoca simbolicamente la traslazione della salma di Santa Rosa, avvenuta nel 1258.
Santa Rosa nacque a Viterbo nel 1233. Predicò contro i catari e mantenne una forte posizione in difesa del pontefice nella lotta fra guelfi e ghibellini. Morì a soli 18 anni,  nel 1251. Curiosamente. il processo di canonizzazione della “santa” iniziò l'anno stesso della morte, fu poi ripreso nel 1457 ma non venne mai portato a termine. A tutt'oggi la canonizzazione non è ancora avvenuta e i viterbesi stanno cercando di finalizzarla entro il pontificato di Papa Francesco.



(foto da internet)

Il corpo, sepolto direttamente nella terra senza bara, fu ritrovato integro nel 1258 e traslato per disposizione di papa Alessandro IV.
Ma torniamo alla macchina. L'imponente costruzione viene trasportata a spalla per le vie del centro storico di Viterbo.
Il trasporto muove da piazza San Sisto, nei pressi di Porta Romana, dove la macchina viene assemblata nelle settimane precedenti. La macchina è illuminata da moltissime luci che fanno parte della costruzione, alcune sono elettriche altre a fiamma viva.
Il percorso è lungo poco più di un km e giunge fino al Santuario di Santa Rosa. Durante il trasporto si effettuano cinque soste.
Al termine del trasporto la macchina viene fermata davanti al Santuario, dove rimane per alcuni giorni.
Di capitale importanza per l'evento sono i cosiddetti Facchini di Santa Rosa; essi  sono il vero e proprio motore della macchina. A dirigerli c'è un capofacchino: colui che dà gli ordini ai compagni divisi in base alla posizione che occupano sotto o a fianco alla macchina.



(foto da internet)

I facchini indossano per l'occasione la caratteristica divisa bianca con cintura rossa stretta in vita e uno speciale copricapo rivestito in cuoio.
Prima del trasporto della macchina di Santa Rosa, nella Chiesa di San Sisto, i facchini ricevono una speciale benedizione, che i viterbesi chiamano in articulo mortis!
La selezione dei facchini avviene tramite un'impegnativa prova di portata ed è uno degli appuntamenti più coinvolgenti per l’intera città.
Solitamente ogni cinque anni viene dato incarico di realizzare un nuovo modello della macchina. Quest’anno, l'architetto Raffaele Ascenzi, un ex facchino di Santa Rosa, ha realizzato la macchina Gloria, modello che, secondo gli ideatori, prende il nome proprio dalla tradizione che vede i viterbesi, da ben quattro secoli, portare in gloria la loro patrona Santa Rosa.





mercoledì 9 settembre 2015

I novant'anni di Andrea Camilleri


(foto da www.lastampa.it)

Lo scorso 6 Settembre Andrea Camilleri ha compiuto novant'anni e lo scrittore afferma di allungarsi la vita scrivendo. 



Drammaturgo, regista, uomo di fiction, nel linguaggio attuale, dato che curava gli sceneggiati in bianco e nero della vecchia tv monocanale (suoi, tra gli altri, i Maigret con Gino Cervi), ma sempre, ed essenzialmente, «precario Rai»: nel senso che era riuscito ad andare in pensione senza mai aver ottenuto un contratto a tempo indeterminato. La ragione di questa incertezza elevata a regola di vita, oltre agli imperscrutabili criteri di selezione della Rai, era dovuta al fatto che Camilleri si sentiva, era già, ma non riusciva a diventare realmente, lo scrittore che è poi stato dai 65 anni in su. 
Un autore sempre alla vana ricerca di un editore; con il lieto fine, quando ormai stava per rinunciare, di aver trovato insieme la Sellerio e il successo. 


 

 Al momento dei conti: 22 romanzi della serie Montalbano e 23 di quella cosiddetta storica e civile pubblicati con Sellerio (che gongola: 18 milioni di copie vendute, diritti ceduti in 35 paesi), a cui bisogna aggiungere le innumerevoli raccolte di racconti e i romanzi e i saggi di varia natura, che spaziano dall’Otto-Novecento (ma anche molto più indietro) ai giorni nostri, dalla critica alla linguistica all’arte all’attualità. Senza che la quantità nuocia mai alla qualità. Un vero Stakanov della produzione letteraria, con una media di quattro titoli nuovi ogni anno (ma punte anche di otto-nove, includendo gli scritti occasionali), per un totale di un centinaio di volumi. 

lunedì 7 settembre 2015

I più longevi d'Italia (e non solo)





(foto da internet)

Secondo le statistiche ci sono 3,6 milioni di italiani che hanno superato gli 80 anni e i centenari, in Italia, sono ben 16.145, dei quali l'80,8% femmine e il 19,2% maschi. Secondo l'Istat, negli ultimi dieci anni in Italia la vita media è aumentata di 2,4 anni per gli uomini e di 1,7 anni per le donne.
Oggi gli italiani sono tra i più longevi del mondo con una vita media che ha raggiunto i 79,4 anni per gli uomini e gli 84,5 per le donne. Numerosi studi hanno certificato che la dieta mediterranea è uno dei fattori principali che garantisce ai cittadini italiani una vita più lunga. 
Un'analisi dettagliata della statistica, suddivide il primato in due paesi: Bivongi, in provincia di Reggio Calabria e Calasca Castiglione, in Piemonte, nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola
A Bivongi sono gli uomini ad esser i più longevi della penisola. mentre invece a Calasca Castiglione sono le donne.
Ai bivongesi piace raccontare che i loro vecchi non vanno mai in pensione e lavorano sempre, specie nei campi. 


(foto da internet)


Di recente, hanno organizzato un convegno: Il borgo della longevità, per sfoggiare l’orgoglio di questo paesino della provincia di Reggio Calabria che sta attirando studiosi e ricercatori per capire quale sia il segreto dietro ai numeri: 14 centenari viventi negli ultimi cinque anni, e 42 persone con oltre 90 anni. 
Ci sono altri borghi in Italia che vantano un buon numero di centenari, tra i quali Montemaggiore Belsito, in provincia di Palermo,  e,  in Sardegna,  Perdasdefogu è entrata nei guinness con otto fratelli viventi, per un totale complessivo di 745 anni! 
Ma Bivongi vince sulle proporzioni: è il paese con più centenari rispetto alla popolazione, 1.300 abitanti: una media dello 0,13 per cento rispetto allo 0, 037 della Calabria e lo 0, 035 dell’Italia. 
A Bivongi è oggetto di studio il ceppo della famiglia Valenti. Già tra il 1600 e il 1700 i suoi avi raggiungevano età comprese tra gli 80 e i 90 anni. 
Sta di fatto che nelle zone montuose dell’entroterra reggino sono soprattutto gli uomini a morire in età avanzata. Dicono sia l’aria, la mancanza di stress, il cibo... La dieta degli abitanti di Bivongi, povera di proteine animali e ricca di verdure, è senza dubbio di grande aiuto. Gli anziani del borgo, per spiegare il loro Dna, mostrano un bicchiere di vino che alcuni bevono da tutta la vita senza aver mai toccato l’acqua. E’ quello, dicono, il segreto nascosto nel loro sangue. 


(foto da internet)


Fuori dalle nostre frontiere, invece, il turco Kazim Gürbüzun esperto di yoga, sostiene di avere 95 anni anche se ne dimostra moltissimi di meno (vedi>>)... Secondo il maestro, con uno stile di vita adeguato tutti possono vivere fino a 130 anni! Il suo segreto: yoga tutti i giorni, nuoto al mattino, e una speciale dieta priva di carne e un cucchiaio di miele ogni giorno. Ah... e almeno tre orgasmi al giorno!!! 
Meditate, gente, meditate...
(A Giacomo ed Elvira, in memoriam)