venerdì 27 aprile 2018

No!



(foto da internet)


"Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa (...). In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga."

(Primo Levi, Se questo è un uomo)

mercoledì 25 aprile 2018

Pizza e prosecco

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(foto da internet)

Lontani i tempi in cui la pizza chiamava birra e la birra chiamava pizza. Per i gourmet è stato presentato al Vinitaly 2018 un progetto per valorizzare il connubio delle "due icone democratiche del made in Italy". 

A disposizione una carta dei Prosecco per tutte le pizzerie che vorranno approfondire e proporre ai loro clienti i vari abbinamenti possibili. È l’iniziativa del Consorzio tutela del Prosecco doc in collaborazione con Agugiaro&Figna Molini
L’idea nasce anche in "prospettiva export" per promuovere il patrimonio delle differenze enogastronomiche italiane.Il Prosecco come la pizza è una delle icone del made in Italy nel mondo, un lusso democratico accessibile a tutti anche ogni giorno”, sottolinea il presidente del consorzio prosecco, così l’iniziativa farà nei prossimi mesi un tour negli Stati Uniti per la promozione dei prodotti italiani.

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(foto da www.repubblica.it)

Semplicemente si vuole far scoprire la varietà di abbinamenti a seconda delle tipologie di Prosecco - tranquillo, frizzante o spumante, demi-sec, dry, extradry, brut - e delle diverse tipologie di pizza.

Queste ultime oggi sono conosciute ai più anche oltre oceano. Molti appassionati di gastronomia sanno distinguere una pizza di stile napoletano da una per così dire più contemporanea, più croccante. Non altrettanto diffuso è invece il gioco degli abbinamenti con la pizza, basti pensare che ancora il più diffuso anche in Europa resta quello con la birra.


Con la pizza bevete la birra? Siete antichi: per il giusto abbinamento nasce la carta dei Prosecco

(foto da www.repubblica.it)


Da questo presupposto nasce una nuova collaborazione che si prefigge, dicono dal consorzio, di “sdoganare una nuova consapevolezza tra gli amanti della pizza“. Creare una carta dei prosecchi ha l’obiettivo dunque di raggiungere un vasto pubblico a partire dagli operatori della ristorazione. Il tour inizierà questa estate a New York in occasione del Fancy Food Show.

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(foto da internet)

Testimonial dell’iniziativa due pizzaioli in rappresentanza dei diversi stili di pizza: Guglielmo Vuolo, dell'Associazione Verace Pizza Napoletana, ambasciatore di una tradizione più centro meridionale e Denis Lovatel della pizzeria Da Ezio di Alano di Piave (Belluno), artefice di una pizza contemporanea di territorio.

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(foto da internet)

Al Vinitaly hanno dato un’anticipazione del progetto. Ecco allora dal forno di Lovatel la "Pizza Tre-visioni" - pizza bianca con Fior di Latte, mousse di Casatella trevigiana DOP, luppolo selvatico, porchetta trevigiana, chutney di radicchio - accompagnata da Prosecco La Gioiosa Brut; e la sua "Pizza Verticale di Broccolo" - pizza bianca con fior di latte, mousse di Casatella trevigiana dop, broccolo di Bassano Igp in tre consistenze e caviale di acciuga - accompagnata da Prosecco Colli del Soligo Extra Dry.

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(foto da internet)

Mentre Vuolo ha servito una "Pizza Fritta del Popolo", accompagnata da Prosecco La Jara Brut e una "Pizza Fritta Sorrento" - limone di Sorrento, fior di latte di Agerola, ricotta e pepe - accompagnata da Prosecco La Delizia Extra Dry (Maestro Vuolo).

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(foto da internet)

Il Brut ha un residuo zuccherino più basso, con il suo sapore più acidulo aiuta la pulizia della bocca, per questo è perfetta con la classica pizza fritta di Vuolo, mentre l’Extra Dry più rotondo e morbido che ha un residuo zuccherino più alto ha potuto sposare quella fritta con limone in cui già erano presenti note acidule e agrumate. Allo stesso modo l'extradry contrasta maggiormente la sapidità dell’acciuga e del broccolo della pizza di Lovatel come in quella con la porchetta la nota brut è risultata per ovvie ragioni vincente.

lunedì 23 aprile 2018

Gualtiero Bertelli


(foto da internet)

Probabilmente il nome di Gualtiero Bertelli sarà sconosciuto ai non addetti ai lavori.  Bertelli, infatti, è uno dei pilastri di quella che viene classificata, di solito, come canzone politica italiana. Il cantautore, che si definisce come un mascalzone giudecchino, nacque nell'isola della Giudecca, a Venezia, nel 1944. Frequentò l'istituto magistrale e, dopo il diploma, si dedicò all'insegnamento. In quel periodo, compì studi musicali e suonò in alcune formazioni di musica leggera. Cominciò a scrivere canzoni giovanissimo e fondò il Canzoniere Popolare Veneto
Nel 1967, pubblicò una delle sue canzoni più note, Vedrai come è bello, la storia di un ragazzo che si diploma ma non riesce a trovare lavoro, che venne ripresa anche da Bruno Lauzi (ascolta>>) e dal gruppo Marmaja (ascolta>>). 





(foto da internet)

Allo stesso anno risale Nina ti te ricordi, probabilmente il suo brano più noto, che, nel 2002, fu inserito da Francesco De Gregori e Giovanna Marini nel loro album Il fischio del vapore
Nel 2005, con il gruppo Compagnia delle acque lanciò Annicinquanta. I canti di un'Italia che torna a vivere, in cui riprese alcuni brani celebri di Domenico Modugno (Amara terra mia), Fausto Amodei (Qualcosa da aspettare), Mario Pogliotti (Un paese vuol dire non essere soli) e Ivan Della Mea (Io so che un giorno).
Bertelli è stato definito come il cantore della Venezia dimenticata, l'autore che narrò come la città della laguna, ormai diventata cartolina nel mondo intero, scenario di film e canzoni melense, era anche un luogo in cui persino l’amore era un lusso troppo caro. Bertelli cantò la città dell'acqua alta, dei morti sul lavoro, la Venezia segnata dall’orrore di Porto Marghera, oltraggiata dai mercanti e abbandonata dai suoi stessi abitanti, dispersi in un’immensa periferia.





(foto da internet)

Bertelli, con Nina ti te ricordi, cambiò il volto alla canzone politica italiana e portò in primo piano, in maniera delicata e struggente, il personale nel politico. Nina ti te ricordi rivelava come l’amore fosse necessario come il pane e il lavoro.
Nelle sue canzoni usò spesso la sua lingua: espressione bellissima, e, al tempo stesso, aspra, dolce e luminosa di un popolo che ha perduto ogni passata gloria, oltraggiato dalle orde dei turisti ma che mantiene, proprio attraverso la lingua, una traccia indelebile della sua storia e la consapevolezza di un elemento comune, argine contro l'omologazione e la falsa modernità.
Per finire, vi proponiamo due versioni (e il testo completo) di Nina te ti te ricordi: quella interpretata da Gualtierro Bertelli (ascolta>>), e la bella cover di Francesco De Gregori e Giovanna Marini (ascolta>>).

Testo:

Nina ti te ricordi
quanto che g'avemo messo
a andar su 'sto toco de leto
insieme a far a l'amor.

Sie ani a far i morosi
a strenzerla franco su franco
e mi  che ghero stanco
ma no te volevo tocar

To mare che brontolava
"Quando che se sposemo?"
e 'l prete che raccomandava
che non se doveva pecar

E dopo se semo sposai
che quasi no ghe credeva
te giuro che a me mi pareva
parfin che fusse un pecà

Adesso ti speti un fio
e ancuö la vita x'è dura
a volte me ciapa la pura
de aver dopo tanto sbaglià

Amarse no x'è un pecato
ma ancuö el x'è un lusso de pochi
e intanto ti Nina ti speti
e mi son disocupà.







venerdì 20 aprile 2018

Il cacciucco



(foto da internet)

Viareggio e Livorno si contendono, da tempo immemorabile, il famoso cacciucco (con due c!)  a suon di ricette.  È meglio quello livornese o quello viareggino? I viareggini sostengono che il loro cacciucco lo può mangiare anche un bambino, quello livornese, invece, è praticamente indigeribile... 
Secondo gli esperti, invece, la versione verace del piatto è proprio quella livornese, dato che i viareggini lo hanno ingentilito. Il cacciucco livornese si fa con il soffritto, c'è dell'aglio, il pesce non si sfiletta e in cottura si usa anche il vino. Quello viareggino è più leggero, niente soffritto, niente aglio e il pesce è tutto diliscato. 
Intanto, in piena rivalità, a Livorno è nato il Comitato di valorizzazione del cacciucco, e Viareggio ha lanciato la Confraternita del cacciucco, il cui scopo è vigilare sull'applicazione della ricetta base del piatto.  
Il tema del contendere è una zuppa composta da una grande varietà di pesci, molluschi e crostacei, arricchita da pomodoro e crostoni di pane. La sua fama si è ormai diffusa in tutta Italia ed oggi varianti del cacciucco vengono preparate in tutta la Toscana, in Liguria, in Sicilia e in generale in molte regioni costiere italiane. 




(foto da internet)

Il cacciucco nasce come piatto povero, in origine preparato dai pescatori con ciò che rimaneva dalla vendita. 
Qualcuno lo fa risalire addirittura ai mercanti che tornavano dall'Oriente come versione locale del canhchuacá (una zuppa di pesce vietnamita); i linguisti, invece, pensano che derivi dal turco küçük, che significa di piccole dimensioni, in riferimento ai pezzetti piccoli che compongono la zuppa... 
Una leggenda tutta italiana vuole che una donna rimasta vedova e senza soldi si recò un giorno al porto, con i suoi figli, ad elemosinare un po' di cibo.  La donna ricevette una diversa specie di pesce da ogni pescatore, tornata a casa poi le mise tutte insieme in una pentola con del pomodoro... e così nacque il cacciucco
La ricetta tradizionale prevede 13 qualità diverse di pesce povero: seppia, polpo, palombo, grongo, murena, scorfano, gallinella, bavosa, boccaccia, cicala, ecc. 
Attualmente le specie usate nella preparazione del piatto dei sono circa sei e variano molto in base alla pesca. La bellezza del piatto sta proprio qui: non si segue, infatti,  una ricetta rigida. 



(foto da internet)


Il cacciucco è inoltre un piatto ipocalorico, buono, quindi, per grandi e piccini. L'unico inconveniente riguarda il tempo di preparazione, che non lo rende adatto alla cucina di tutti i giorni. Per prepararlo, e facendo pulire tutto il pesce al pescivendolo (come non ricordare i venditori di pesce con la mitica Camelò che i livornesi cantano nelle osterie?), ci vogliono circa 2 ore!  
Per la ricetta livornese, il cacciucco deve essere preparato in una casseruola di terracotta, che mantiene i profumi e consente una cottura ottimale. 
Ingredienti per 6 persone:
400 g di polpo ammorbidito 
400 g di seppie 
200 g di palombo 
400 g di pesce da zuppa (scorfano, gallinella, dentice, ecc.) 400 g di crostacei misti (cicale, scampi, gamberi) 
400 g di cozze 
400 g di pomodori pelati 
2 cucchiai di olio 
2 spicchi d'aglio 
1 cipolla 
1 carota 
1 gambo di sedano 
salvia, peperoncino e prezzemolo 
fette di pane abbrustolito 
1 bicchiere di vino rosso.




(foto da internet)


Preparazione: tagliate a striscioline il polpo e le seppie, e il palombo a fette. Pulite le cozze. Togliete le teste agli scampi e ai gamberi (non vanno buttate via, dato che vi serviranno  per il brodo). Pulite molto bene il pesce da zuppa. Preparazione del brodo: 
Riempite una casseruola con 1 litro di acqua fredda, aggiungete la cipolla, la carota, il sedano, i pesci da zuppa e gli scarti dei crostacei. Portate il tutto ad ebollizione e lasciate cuocere per circa 30 minuti. Nel frattempo, in un'altra casseruola di terracotta, mettete un cucchiaio d'olio e lasciate imbiondire gli spicchi d'aglio incamiciati, la salvia ed il peperoncino. Spruzzate il tutto con una parte del vino rosso e lasciare evaporare. Iniziate ad aggiungere i molluschi in successione, prima il polpo e dopo circa un quarto d'ora le seppie.
Lasciate ammorbidire (se necessario, aggiungete un po' di brodo, e fateli sfumare con il restante vino rosso). 




(foto da internet)


Dopodiché aggiungete i pomodori pelati, un po' di brodo ed abbassate la fiamma. 
Recuperate i pesci da zuppa dal brodo, privateli delle lische ed aggiungeteli al cacciucco, e, dopo qualche minuto, aggiungete i crostacei e il palombo. 
Tenete sempre da parte un po' di brodo per aggiustare la zuppa nel caso in cui si addensasse troppo. A cottura quasi ultimata aggiungete le cozze e il sale, e abbrustolire a parte le fette di pane. Quando le cozze si saranno aperte il cacciucco è pronto. Spegnete il fuoco e servitelo bollente sui piatti dove avrete adagiato una o più fette di pane abbrustolito. Si può decorare con del prezzemolo fresco. 
Buon appetito!

lunedì 16 aprile 2018

Badi come parla!!! Attenti alle parole

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(foto da internet)

Diceva il grande comico, principe, Totò a un alterato futuro consuocero "Badi come parla" nel film Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi, perché le parole hanno il loro peso. 
"Ma come parla? Le parole sono importanti!", gridava nel 1989 un Nanni Moretti giocatore di palla a nuoto a bordo piscina a una malcapitata giornalista colpevole di usare termini eccessivamente banali. Accadeva nella scena più famosa del film Palombella Rossa. E aveva ragione a dare tanta importanza al linguaggio, Moretti, perché le parole, quelle che usiamo tutti i giorni e che poco hanno che vedere con il curriculum scolastico, sono un po' come dei marcatori, indicatori del nostro livello di Ego, cioè dello stadio di sviluppo o maturazione della personalità degli individui in termini cognitivi, di pensiero, sociali e morali. Questa è la conclusione, sebbene semplificata, di una ricerca sul linguaggio parlato realizzata da psicologi Usa e pubblicata su Nature Human Behaviour. 







Gli autori dello studio hanno utilizzato 44mila brevi testi parlati raccolti in 25 anni dal Washington University Sentence Completion Test (Wusct), uno strumento che psicologi e psichiatri utilizzano da tempo per misurare l'Ego level. Per l'analisi dei linguaggi i ricercatori si sono serviti del Linguistic Inquiry and Word Count (Liwc), un sistema validato che, sulla base del conteggio delle parole e la valutazione della sintassi di testi, costruisce 81 categorie di linguaggio.


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Dall'analisi dei risultati - si legge in una nota di commento allo studio rilasciata dalla Florida Atlantic University, una delle istituzioni coinvolte dall'indagine - è emerso per esempio che nel corso della maturazione dell'Ego si passa da un linguaggio egocentrato, ricco di pronomi personali come io o me (in inglese Ime) a uno stile linguistico nel quale compaiono più spesso termini indicativi di complessità come "ma" o "sebbene", "nonostante". E, ancora, che le categorie Liwc associate agli impulsi (definite da parole che esprimono rabbia, parolacce…) corrispondono a livelli di Ego più precoci. Al contrario della lunghezza delle frasi, che invece si accompagnerebbe a stadi di maggiore maturità. 

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Secondo gli autori è possibile costruire la sequenza di sviluppo dell'Ego utilizzando un diagramma che visualizza parole raggruppate in aree distinte da colori diversi. Nel diagramma il livello di Ego progredisce in senso orario, iniziando dallo stadio di minore maturità (impulsivo, una fase che corrisponde a un linguaggio più egocentrato), attraversando livelli intermedi (conformista, consapevole…) per arrivare al livello autonomo/integrato. "Se lo sviluppo dell'Io può essere valutato sulla base del linguaggio quotidiano - ha detto Kevin Lanning, autore principale dello studio e professore di psicologia alla Florida Atlantic University - il contenuto dei testi, da quelli dei  feed di Twitter ai discorsi politici, dalle storie per bambini ai piani strategici, può fornirci nuovi approfondimenti sul nostro stato di sviluppo morale, sociale e cognitivo"

Vita da cani...






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Incredibile ma vero: a Roverè della Luna, nei dintorni di Rovereto, in Trentino,  un pastore maremmano di nome Miro è stato sequestrato e portato in un canile, secondo la disposizione del Tribunale di Trento, con l’accusa di abbaiare e disturbare il vicino (!), che vive a circa 300 metri di distanza. Il caso ha commosso l'Italia e ha mobilitato animalisti e amanti dei cani i quali, con una petizione, hanno raccolto per la sua liberazione circa 250.000 firme. La vicenda si è conclusa felicemente e la proprietaria del cane, Eva Munter, ha potuto riabbracciare Miro dopo circa due settimane. I giudici hanno deciso che il cane sarà in libertà vigilatà e, nelle ore notturne, dovrà stare in casa e non nel giardino! Roba da matti...

E se Miro è stato davvero trattato come un cane in chiesa, a Piacenza, invece, cani e gatti se la godono: possono aprire, udite, udite, un conto corrente!






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Amici fedeli è l'iniziativa della Banca di Piacenza, presieduta da Corrado Sforza Fogliani, il quale ha già aperto un conto corrente a Sun, il suo cocker spaniel. L'idea è venuta a un cliente della banca che ha richiesto di intestare un conto al suo cane per tutte le spese relative all’animale. In realtà si tratta di una finzione giuridica, giacché il nome del cane (o del gatto) viene indicato assieme a quello del padrone. 
Amici fedeli potrebbe, però, diventare una straordinaria idea di marketing: in Italia si calcola che ci siano ben 60 milioni di animali domestici tra cui 7 milioni di cani e 8 milioni di gatti.


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Finora il conto è stato aperto da un centinaio di clienti. Il costo è di 6 euro al mese, che includono alcuni servizi: home banking, finanziamento a tasso agevolato per l’acquisto di prodotti e servizi e per il pagamento delle spese veterinarie, polizza di responsabilità civile Zero pensieri a condizioni di favore e promozioni presso negozi e cliniche convenzionate. 
Amici fedeli regala anche un gps per il collare e tramite un’applicazione per cellulari è possibile impostare fino a cinque recinti virtuali per sorvegliare il cane o il gatto.
Bau!


venerdì 13 aprile 2018

Sant'Agata dei Goti


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In Campania, nella provincia di Benevento, si erge Sant'Agata dei Goti, una cittadina di circa 11mila abitanti che offre al viaggiatore un'incantevole posizione su una terrazza tufacea tra due affluenti del fiume IscleroIl suo centro storico, e l'integrità paesaggistica del comprensorio, le hanno procurato il soprannome di perla del Sannio. Il paese, dal 2012, fa parte del circuito de I borghi più belli d'ItaliaSant'Agata sorge sul luogo dell’antica Saticula, antica città sannitica ai con­fini della Campania. Il nome attuale risale al VI sec. d.C., quando i Goti, sconfitti nel 553 d.C. nella battaglia dei Monti Lattari, ottennero di rimanere nelle loro fortezze come sudditi dell’impero e una colonia si stabilì nel borgo. 




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Posteriormente, la città fu presa dai Longobardi e fece parte del Ducato di Benevento. Nel 1066 se ne impadronirono i Normanni e, nel 1230, passò al Papa Gregorio IX.
Dal XIII sec. numerose casate si alternarono nel controllo del borgo sino al 1696, anno in cui Marzio Carafa, duca di Maddaloni, l’acquistò e alla cui famiglia rimase fino all’eversione della feudalità.  Alla fine del '700 divenne residenza di alcune famiglie patrizie provenienti dal Regno di Napoli
Poco lontano da Sant’Agata furono costruiti, quasi due secoli fa gli scenografici Ponti Vanvitelliani dell’acquedotto Carolinonato per alimentare il complesso di San Leucio e che fornisce anche l'apporto idrico alla nota Reggia di Caserta, prelevando l'acqua alle falde del monte Taburno e trasportandola lungo un tracciato che si snoda, per lo più interrato, per una lunghezza di 38 km. L'opera, che richiese 16 anni di lavori e il supporto dei più stimati studiosi e matematici del regno di Napoli tra cui Luigi Vanvitelli, fu riconosciuta come una delle opere di maggiore interesse architettonico e ingegneristico del XVIII secolo.


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Il borgo offre ai turisti itinerari dedicati all'enoturismo e al cineturismo: Sant’Agata fu scelta, infatti, come set cinematografico di film quali Il resto di niente, La mia generazione e Si accettano miracoli di Alessandro Siani (vedi>>).
Per chi ama l’architettura religiosa c'è solo l'imbarazzo della scelta: la chiesa dell'Annunziata del XIII secolo, con gli splendidi affreschi dell'abside che risalgono al XIV, e la pala d'altare del 1483 realizzata dal pittore napoletano Angiolillo Arcuccio raffigurante l'Annunciazione.
E poi ancora la Chiesa di San Menna,  fondata in epoca bizantino-longobarda, nella quale vi sono le reliquie di un santo eremita molto noto a quel tempo: Menna, uomo poverissimo vissuto ai tempi dei Longobardi, venerato come protettore delle madri poiché ridava loro il latte in caso di mancanza. 



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E ancora la Chiesa e il convento di San Francesco, rimaneggiata nel '700, che contiene al suo interno elementi di diverse datazioni come la tomba di Ludovico Artus, feudatario di Sant'Agata fino al 1370, il soffitto ligneo a cassettoni settecentesco e una preziosa pavimentazione, e alcune cappelle votive segnate dagli stemmi delle famiglie patrizie locali.
Per finire la  Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, costruita nel XVIII secolo per volere di Sant'Alfonso Maria de' Liguori.
Si può passeggiare tranquillamente per le vie del borgo, nella loro tipica struttura a fuso, con le due strade principali, via Aniello e via Martorano. Tra queste due vie vi sono le case gentilizie con all’interno gli orti che permettevano alle famiglie di sopravvivere agli anni di assedio. Nel cuore del tufo, base del borgo, si possono ammirare i cunicoli un tempo usati come passaggi segreti.



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Per finire ci si può far raccontare l’incredibile storia del vaso dipinto da Assteas raffigurante il Ratto di Europa, trafugato da Sant’Agata,  uno dei più noti crateri realizzati da Assteas, artista pestano del IV secolo a.C., definito il vaso più bello del mondo.
Il cratere fu rinvenuto nel borgo, nei primi anni '70, da un operaio edile, durante dei lavori di scavo per la rete fognaria, e fu venduto sul mercato nero...






















































mercoledì 11 aprile 2018

Parma da scoprire

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Parma, ambasciatrice della Food Valley nel mondo: la città è stata proclamata l’unica Città Creativa UNESCO per la gastronomia in Italia, conferendo lustro alla già straordinaria tradizione enogastronomica di tutta l’Emilia-Romagna, la regione che detiene il record europeo di prodotti Dop e Igp, ma anche quella che la rivista statunitense Forbes ha definito “Italy’s greatest gastronomic treasure”.
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Parma, una delle città più golose del mondo, è conosciuta per le eccellenze gastronomiche come Parmigiano-Reggiano, Prosciutto di Parma, Culatello di Zibello, Salame di Felino, Fungo di Borgotaro, per citare solo alcuni dei tesori di un territorio straordinario anche sul fronte della musica e dell’arte. Parma offre anche itinerari dedicati alla biodiversità, alla visita di fattorie rurali, alla scoperta di prodotti a Km 0 che raccontano la vita di chi li produce… perché Food Valley non è solo “buon cibo”, ma è un modo di vivere. La proclamazione UNESCO è una straordinaria conferma di questa realtà, in cui la tradizione si accompagna a una spiccata capacità d’innovazione nel campo della sicurezza alimentare e della ricerca, grazie alla presenza dell’Efsa (European Food Safety Agency) e dell’haute cuisine con Alma, la Scuola internazionale di cucina con sede a Colorno, di cui è rettore lo Chef Gualtiero Marchesi. A tutto ciò si aggiungono ristoranti stellati e accoglienti trattorie, rassegne e manifestazioni fieristiche internazionali come Cibus, senza dimenticare le sagre e i mercati che invitano a una passeggiata e allo shopping.

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La rete delle città creative Unesco è attualmente composta da 69 membri, dove sono rappresentati 32 Paesi, per sette ambiti creativi (Craft and Folk Art, Design, Cinema, Cibo, Letteratura, Musica e Arti Digitali). In Italia diverse città dell’Emilia-Romagna hanno ottenuto il prestigioso riconoscimento andando a formare un ideale tour lungo la Via Emilia. Iniziando il viaggio da Ovest si parte dai sapori di Parma, per poi passare alla Ghirlandina di Modena, alla musica di Bologna, alle ceramiche di Faenza, ai palazzi di Ferrara fino ad arrivare alla costa Est con i mosaici di Ravenna. L’Emilia Romagna si trova in un’ottima posizione strategica fungendo da confine tra il nord Italia e il centro-sud, vicina alle 5 Terre, alla Toscana, a Venezia e a Milano, raggiungibile in poco tempo con i treni Alta Velocità dalle principali città italiane.
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Ma oggi parliamo di Parma non per la sua squisita gastronomia o per i suoi legami privilegiati con la musica, ma perché punto di riferimento culturale. Nel 2020 sarà la Capitale italiana della Cultura. Nell’attesa, dà un assaggio di ciò che offrirà tra due anni valorizzando, per tutta la primavera, la creatività contemporanea del nostro Paese. Parma, terra d’arte e buon cibo dell’Emilia Romagna, è pronta per dare il via, il prossimo 14 aprile, a PARMA 360 Festival della creatività contemporanea. Quella di quest’anno è la terza edizione. Un appuntamento ormai stabile che vede in programma, fino al 3 giugno, iniziative ed eventi in diversi spazi istituzionali e privati della città. 
Vario il programma: ci sono mostre di pittura e di fotografia, di arte digitale e di scultura. Non mancano concerti, performance, laboratori e attività formative con le personalità più importanti del settore.

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La manifestazione è anche l’occasione per valorizzare il patrimonio artistico del capoluogo, trasformando il territorio in un vero e proprio museo diffuso: ecco che l’arte contemporanea invade chiese sconsacrate, palazzi storici e spazi di archeologia industriale non sempre noti agli abitanti. E che gioielli storici come l’Ospedale Vecchio, le ex Chiese di San Quirino e San Tiburzio e l’area industriale dell’ex SCEDEP fanno da sfondo a opere ultramoderne. Il tutto, con un imprinting “green”. 
Fil rouge dell’iniziativa, infatti, è il tema della sostenibilità ambientale e del rapporto tra uomo, paesaggio e natura. 
Il festival diventa, così, un’occasione significativa per riflettere sul crescente senso di responsabilità dell’individuo nei confronti del pianeta e sugli effetti che i comportamenti sbagliati di oggi possono avere sulla qualità della vita delle prossime generazioni.