venerdì 22 dicembre 2017

Lavoretti manuali (IX): il pupazzo di neve




(foto da internet)

Ci siamo quasi. Il Natale è alle porte. Abbiamo pensato di chiudere questa sezione dedicata ai lavoretti manuali con un semplice addobbo natalizio da fare in casa con i più piccini: un pupazzo di neve.
Il nostro pupazzo si può usare come decorazione, si può appendere all’albero di Natale, si può aggiungere a una ghirlanda o si può regalare ai nostri amici e parenti
Materiale necessario:  innanzitutto, cercate in casa delle calze spaiate pulite (bianche e colorate). 
Per l'imbottitura si possono usare, a piacimento, il riso, i fagioli, il sale grosso o le lenticchie.
Elastici.
Forbici.
Spago.
Ago e filo.
Bottoni e decorazioni (bottoni, stelle, sonaglini).


(foto da internet)


Cominciate dalle calze bianche: tagliate la parte del piede e utilizzate solo il tubolareChiudete una parte con un elastico,  o con lo spago, e rivoltate la calza. Riempite il sacchetto ottenuto con il materiale scelto per l'imbottitura (riso, sale, ecc.), affinché il pupazzo abbia una buona base e rimanga in piedi. 
Chiudete l’altra estremità. Prendete le altre calze colorate. Tagliate la punta e il tallone del piede. Utilizzate la parte lunga della calza tagliata come se fosse il vestito del pupazzo. Infilatela sopra la calza bianca ripiena di riso. Legate lo spago intorno ai due bordi della calza colorata e stringete. Avrete ottenuto la forma del pupazzo a due palle di neve (la testa più piccola e la pancia più grossa). 



(foto da internet)

Con la punta tagliata della calza colorata formeremo il cappello del pupazzo di neve, attorno al quale potreste aggiungere una stella, un sonaglino, o dei bottoni legati ad uno spago. 
Abbellite il pupazzo cucendo gli occhi e il naso (gli occhi si possono ricavare facilmente con due bottoni, e il naso con dei ritagli di stoffa). Sul collo del pupazzo potete cucire altre decorazioni o bottoni colorati a vostro piacimento.
Sulla pancia del pupazzo potrete cucire dei bottoni colorati.
Un'altra alternativa per vestire il pupazzo è quella di creare una sciarpacon un pezzo di stoffa, o con una calza colorata, da legare attorno al collo.
Come sempre, per i più maldestri, ecco a voi un tutorial >>

p.s Il nostro blog chiuderà per le vacanze di Natale. Torneremo on line l'8 gennaio 2018. 
Buone feste!

mercoledì 20 dicembre 2017

La pubblicità di Natale, Che passione!

(foto da www.lastampa.it)

C’è tutta la storia del ’900, condensata, rivisitata ma ben presente e viva: sono duecento le immagini contenute nel volume Le pubblicità di Natale che hanno fatto epoca, pubblicato da Interlinea nella collana Nativitas. Cartoline, volantini, illustrazioni promozionali e augurali che raccontano il Natale di Motta, Gilette, Tobler, raccolte adesso in un libro di oltre 200 immagini a colori ed esposte fino al 19 gennaio nella biblioteca palazzo negroni di Novara. Partono da fine ’800 e arrivano alla metà degli Anni 70: le ha raccolte il genovese Walter Fochesato: dalla sua enorme collezione sono stati selezionati, insieme all’editore Roberto Cicala, i pezzi più rappresentativi.  


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(foto da internet)

"Le pubblicità di Natale che hanno fatto epoca" in mostra in biblioteca Eventi a Novara
Walter Fochesato possiede una collezione tutta particolare: le pubblicità che hanno a che fare con il Natale; una raccolta, rigorosamente cartacea, che è un trionfo di alberi e palle, candele e lumini, renne o Babbi Natale e tutta la multiforme varietà che a partire più o meno dall’inizio del Novecento ha reso più colorate (e commerciali) le feste degli italiani. La collezione Fochesato diventa un libro, Le pubblicità di Natale che hanno fatto epoca, e per festeggiarlo, ecco in mostra le riviste, segnalibri, volantini, biglietti augurali, copertine che pubblicizzano davvero di tutto, dal formaggino Mio ai Baci Perugina, dalla mitica lettera 32 della Olivetti alle strenne Bompiani. Il viaggio attraversa i terreni fantasiosi di cartellonisti e artisti (c’è anche una pubblicità futurista di Fortunato Depero), pubblicitari, grafici, e tanti, tanti anonimi.
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(foto da internet)

Dalle automobili all'opera lirica, dai grandi magazzini all'abbigliamento, l'evoluzione della comunicazione ha accompagnato il boom economico e ha lasciato il segno nella réclame natalizia. Panettoni, dischi, profumi, elettrodomestici, libri, dolciumi: Natale riesce sempre a rendere dolce e attraente l’attesa dei doni sotto l’albero. Un esperto di illustrazioni, dopo il successo di Auguri di buon Natale, dedicato alle cartoline d’auguri, ha selezionato le pubblicità più belle che hanno fatto epoca e spesso sono espressione d’arte. Per non dimenticare che è stata la pubblicità a imporre Babbo Natale tutto vestito di rosso con una bibita in mano. Infatti unica eccezione ad una rassegna tutta italiana sono le campagne natalizie della Coca Cola, perché si ritrova qui l’iconografia di Babbo Natale che ci ha portato ad identificare il nostro San Nicola con un omone canuto e barbuto, abbigliato in uno sgargiante costume rosso con bordi bianchi, rubicondo e goloso. La sua trasformazione era iniziata già da tempo, come testimoniano i disegni di Norman Rockwell, ma la definitiva consacrazione avvenne con la grande campagna promozionale della bevanda, basata sulle illustrazioni di Haddon Sundblom, durante la grande depressione degli Anni 30. Immagini che dall’America giunsero anche in Italia, insediandosi per sempre nella nostra memoria. 


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“(foto (
 (foto da internet)
Un patrimonio condensato in un volume natalizio in cui si ritrovano le immagini dell’infanzia di chi ha qualche anno in più: «La scelta compiuta per questo libro - ha spiegato Cicala durante la presentazione - funziona per tutti: per gli appassionati d’arte, di industria, di lettura»

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(foto da internet)

Lo conferma lo stesso Fochesato, fra i maggiori esperti di letteratura per l’infanzia e storia dell’illustrazione. Da molti anni è coordinatore redazionale del mensile Andersen. Insegna al dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Genova e Storia dell’illustrazione all’Accademia di belle arti di Macerata: «Attraverso queste materiali passa la nostra storia personale, ma anche politica, sociale ed economica». Lo racconta bene la copertina di una rivista degli Anni 40, opera di Lele Luzzati: dietro le figure di Maria e Giuseppe in primo piano si intravedono gli echi della guerra nel paesaggio di fondo. La realtà in queste immagini viene rispecchiata, filtrata, migliorata ma non ignorata: «Le copertine natalizie di Grand Hotel della fine degli Anni 40 di Giulio Bertoletti ci rimandano ad un’Italia ottimista a tutti i costi, ben diversa dalle condizioni difficili di quell’epoca».  


lunedì 18 dicembre 2017

I muretti a secco





(foto da internet)

Il muro a secco è un particolare tipo di muro costruito con blocchi di pietra disposti e assemblati senza l'uso di malte.
Questo tipo di costruzione è presente in tutte le culture e rappresenta il primo tentativo di modificare l'ambiente per ricavarne un qualsiasi uso: dal riparo per i pastori alla delimitazione di un campo. 
Il muro a secco può essere realizzato con delle pietre grezze di varia forma e dimensione, e la sua realizzazione, di solito, comporta un approntamento della base su cui verrà costruito, anche mediante lo scavo di una traccia. Dalla precisione di tale composizione dipenderà la durata e la solidità del muro (vedi>>).


(foto da internet)

Un'altra funzione del muretto a secco nelle terre agricole era quello di mantenere un sistema arcaico di irrigazione, grazie alla condensazione del vapore acqueo presente in atmosfera. La capacità del cumulo di pietre di arrestare il processo inverso di evaporazione che si verifica nel terreno aperto determina un continuo rifornimento di acqua alle radici delle piante. 
Questa tradizione unisce la Costiera amalfitana, Pantelleria, la Sicilia, la Sardegna, la Liguria e in special modo le Cinque terre,  il Salento e la Valle d'Itria in Puglia



(foto da internet)


In Sicilia, le campagne della provincia di Ragusa offrono una miriade di muri realizzati a secco. La ragione della fitta maglia di muri a secco va ricercata nella precoce formazione di una classe di piccoli proprietari terrieri, che dalla prima metà del '500 frazionarono un immenso feudo e ne delimitarono le nuove proprietà. 

In Sardegna il muretto a secco è una parte familiare dell'ambiente dell'isola anche se, col tempo, si è persa la capacità di realizzarlo, ed è stato sostituito dalle reti metalliche, molto più economiche e facili da sistemare. Attualmente, però, c'è un rilancio importante di questo tipo di costruzione con dei corsi lanciati dalla Regione per insegnare ai più giovani l'allestimento dei muretti a secco.


(foto da internet)

In Puglia i muretti a secco sono il simbolo dei paesaggi salentini e della Valle d'Itria; realizzati per dividere gli appezzamenti dei terreni, potrebbero diventare anch'essi patrimonio dell'Unesco e sono stati segnalati dal governo italiano fra i tesori da tutelare nel patrimonio immateriale dell'Unesco.
Anche in Liguria, specialmente nelle Cinque Terre,  diventate vent'anni fa Patrimonio dell’Unesco anche grazie ai terrazzamenti che per secoli hanno garantito la tenuta dei terreni a strapiombo sul mare, c'è un tentativo di recupero della tradizione del muretto a secco con contributi regionali e con la nascita di  un'Associazione -Tu Quoque- che prende in comodato gratuito i terreni che i proprietari, per diversi motivi (invecchiamento o scarse entrate economiche dell'appezzamento), lasciano incolti.





(foto da internet)

Nei secoli, le Cinque Terre sono state conquistate dall’uomo che ne hanno cambiato l’aspetto, mantenendo però un contatto diretto con la natura e piegandola ai propri bisogni di vita. I fitti boschi originari vennero sostituiti poco a poco dalla coltivazione della vite in terrazzamenti, attraverso la frantumazione della roccia, la paziente realizzazione di muri a secco e la creazione di aree coltivabili. 

Quest’opera titanica si riflette nelle cifre: nel comprensorio vi sono circa 8.400.000 metri cubi di muri a secco, per una lunghezza di 6.729 km! 
Oggi, l’emigrazione e l’abbandono dell’attività agricola stanno provocando una rottura di questo biosistema, dove viene meno la presenza dell’uomo il degrado è immediato e la macchia prende il sopravvento. L’abbandono delle colture provoca eventi franosi ogni volta di maggiore estensione e la sottrazione alla fruizione di rilevanti porzioni di territorio.


(foto da internet)


L'Associazione Tu Quoque, negli ultimi due anni, ha organizzato otto campi di volontariato, uno di essi in collaborazione con l’Unesco, ed ha formato circa ottanta persone che hanno imparato i segreti di come impilare le pietre. Le splendide Cinque Terre continuano ad affascinare i turisti con i loro borghi e col mare turchese, ma, nel frattempo, i terrazzamenti continuano a dimostrare in silenzio la caparbia resilienza dei liguri.
Perché rinunciarvi?










venerdì 15 dicembre 2017

Lavoretti manuali (VIII): ratafià di visciole






(foto da internet)

Iniziamo dal frutto: la visciola è una qualità di ciliegia, di colore rosso scuro, con succo rosso sanguigno e sapore nettamente acido, detta anche amarena
Il termine ratafià, invece, è probabilmente voce di origine creola, e designa un liquore preparato per macerazione in acqua zuccherata e alcol di diverse frutta fresche. 
Altre ipotesi sull'origine del nome del liquore, fanno riferimento alla formula latina Pax rata fiat, ovvero La pace è fatta che sanciva un accordo di pace, con tanto di brindisi a tavola, con questo particolare liquore e alla formula di suggello, utilizzata al termine della stipula di notarili o accordi commerciali, rata fiat (es) e cioè (il documento è) ratificato





(foto da internet)


Questo liquore viene elaborato principalmente in Italia, Spagna (molto diffuso, ad esempio, nel nord della Catalogna), Francia e SvizzeraMolto nota in Italia è la ratafià piemontese, conosciuta anche come ratafia o ratafiat, nata intorno al 1600 nel monastero di Santa Maria della Sala, viene prodotta oggigiorno dalla storica ditta Giovanni Rapa ad Andorno Micca (Biella), Degna di nota è anche la produzione della ratafià dell'Antica Distilleria Alpina Bordiga di Cuneo

La ratafià è citata in Diavolo Rosso, una famosa canzone del cantautore piemontese Paolo Conte.



(foto da internet)

Preparazione:

ingredienti:
800 g di visciole mature
1 litro di vino rosso (rosso di Montepulciano, ad esempio)
500 g di zucchero
300 ml di alcol a 90° per liquori

Lavate le visciole ed eliminate il picciolo tagliandole in due, mettetele insieme al vino in un recipiente di vetro da 10 litri con imboccatura larga e con chiusura ermetica che verrà esposta al sole per circa 40 giorni, lasciando fermentare il tutto e rimestando periodicamente.
Filtrate il composto dopo il periodo sopraindicato. Per ogni litro ottenuto aggiungete 30 grammi di zucchero e 300ml di alcol.
Mescolate bene e lasciate macerare per due settimane in luogo fresco, poi filtrate di nuovo e imbottigliate.
Cin cin!











martedì 12 dicembre 2017

Il pizzaiolo napoletano patrimonio dell'Umanità

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(foto da internet)

Vi ricordate quando Mac Donald, sponsor della Expo 2015, prese in giro la pizza in una pubblicità? ebebne adesso è la pizza che si beffa del colosso del fast food. Infatti fare il pizzaiuolo è un’arte e ora questo antico mestiere è riconosciuto patrimonio dell’umanità.  Il via libera è arrivato nello scorso 6 dicembre dal consiglio dell'Unesco riunito a Jeju, nella Corea del Sud. Ed è stato voto unanime del Comitato di governo dell'Unesco per l'unica candidatura italiana. 

"Congratulazioni Italia", ha twittato l'Unesco annunciando l'inserimento dell'arte del pizzaiuolo napoletano nella "rappresentativa lista dei patrimoni culturali intangibili dell'umanità”.
Per l'Unesco, si legge nella decisione finale, "il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l'impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale.I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da ‘palcoscenico’ durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un'atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale".

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(foto da internet)

L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha premiato così il lungo lavoro del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che nel 2009 aveva iniziato a redigere il dossier di candidatura con il supporto delle Associazioni dei pizzaiuoli e della Regione Campania, superando i pregiudizi di quanti vedevano in questa antica arte solo un fenomeno commerciale e non una delle più alte espressioni identitarie della cultura partenopea. 

Subito dopo la proclamazione, in sala è scoppiato un lungo e fragoroso applauso che ha festeggiato il successo italiano a lungo atteso, e molti dei delegati presenti come amuleto avevano nella lunga notte del negoziato finale stretto in mano un cornetto napoletano porta fortuna, rosso come tradizione impone.

Congratulazioni sono arrivate dal sindaco Luigi de Magistris: "Riconoscimento storico: grazie ai pizzaioli napoletani, che vivono ed operano a Napoli e in tutto il mondo, grazie a tutti quelli che hanno firmato per questa petizione. È il segno della potenza di Napoli attraverso la sua arte, la sua cultura, le sue tradizioni, le sue radici,la sua creatività, la sua fantasia. Una grande vittoria per Napoli e per la pizza napoletana”.

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(foto da internet)


Pizza gratis per tutti per celebrare e festeggiare con centinaia di pizzaioli, tutti coloro che hanno contribuito al successo e i forni della più celebre e grande manifestazione dedicata alla pizza napoletana. L'appuntamento è per giovedì domani 14 dicembre a partire dalle 11, su iniziativa del Napoli Pizza Village.


Al Casamento Torre nel Real Bosco di Capodimonte è ancora attivo il forno di campagna dove fu cotta la prima pizza margherita. Qui, nell’estate del 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito della pizzeria Brandi preparò le diverse pizze per la Regina Margherita di Savoia: Mastu Nicola bianca con strutto, basilico, pecorino e pepe; pomodoro, alici, aglio, origano e olio; pomodoro, mozzarella, basilico, olio e pecorino; calzone  fritto con ricotta e cicoli secondo la tradizione dell’Ottocento. La regina preferì quella con la mozzarella e il pomodoro che, in suo onore, fu chiamata margherita.



Un sito storico da valorizzare, secondo il direttore del Museo di Capodimonte, Sylvain Bellenger, che entro un mese aprirà le porte del Giardino Torre del Bosco di Capodimonte grazie a un bando europeo che coinvolgerà, a rotazione, i pizzaioli napoletani.

lunedì 11 dicembre 2017

La camera delle meraviglie






(foto da internet)

Wunderkammer è un termine tedesco che significa camera delle meraviglie o gabinetto delle meraviglie; viene usato per indicare particolari ambienti in cui, dal XVI al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari.
Ebbene, una camera delle meraviglie (vedi>>) è stata scoperta per caso a Palermo, in Via Porta di Castro,  a pochi passi dal mercato storico di Ballarò
Nell’appartamento privato di due giornalisti, Giuseppe Cadili e Valeria Giarrusso, si trova una stanza da Mille e una notte scoperta a seguito di un restauro. L'intonaco bianco celava meravigliose pareti dipinte di blu, con scritte in argento, che hanno resistito il passar del tempo. Di pianta rettangolare, la camera delle meraviglie, detta anche stanza blu, ha suscitato l’interesse di studiosi di università di tutto il mondo che hanno condotto degli studi per decifrare le scritte in arabo. L'Università di Bonn ha stabilito che la storia e i simboli della stanza risalgono al XIX secolo. Ciononostante, non si è ancora compreso il vero significato dei simboli presenti.




(foto da internet)

La camera misura tre metri e mezzo per tre metri e mezzo, la cui somma è sette, la cifra che attraversa tutte le religioni, il mistero e l’ignoto.  Anche il colore scelto, attrae l'attenzione, quel blu di Persia assai ricorrente nei portoni e nelle finestre di alcuni paesi arabi e nelle piastrelle moresche in Spagna e Portogallo. 
Arabisti, iranisti e anche archeologi si sono interessati della stanza. Ma, per ora, nessuno è riuscito a decifrare il mistero delle scritte:  sette versetti per ogni parete, forse spezzoni di sure o formule di alchimisti, oppure antiche liturgie di augurio. E anche i sette disegni fra ogni parete e il tetto sono un mistero: non si è riusciti a capire se siano solo lucerne, o rappresentino, invece, l'occhio di un Dio.




(foto da internet)

Tra gli esperti che si sono cimentati con il mistero della stanza palermitana, ricordiamo l'ipotesi di Vittorio Sgarbi, il quale sostiene che essa sia stata una stanza della meditazione, simbolo perfetto dell’eterna presenza araba in Sicilia. Altri ancora hanno indicato che la camera è una vera e propria piccola moschea dentro una casa probabilmente appartenuta a un ricco mercante. 
Il professor Werner Arnold, dell’Università di Heidelberg, uno dei maggiori specialisti di studi semitici, ha affermato che le scritte sono composte da un miscuglio di lettere siriache e arabe senza apparentemente un senso logico.
Per ora, il mistero resta intatto e per chi volesse dare un'occhiata a questa  bellissima stanza delle meraviglie, Giuseppe Cadili e Valeria Giarrusso, proprietari dell’appartamento, permettono di visitare la wunderkammer solo di domenica, dalle 10 alle 18.
Buon viaggio!








lunedì 4 dicembre 2017

Oltre il congiuntivo



(foto da internet)


"Avreta? E già è femminile", dice il mitico Totò, nella famosa scena della lettera dettata a Peppino De Filippo, nel simpatico compendio di strafalcioni del film Totò, Peppino e la malafemmina di Camillo Mastrocinque

Il Dizionario Treccani, alla voce strafalcione, dice: strafalcione [der. di strafalciare]. - [errore grossolano, nel parlare o nello scrivere: dire uno s.; un compito pieno di s.] ≈ (fam.) castroneria, (pop.) marrone, (non com.) scorso, (fam.) sfarfallone, (fam.) sfondone, sproposito, svarione (...).
La palma degli strafalcioni, tra i politici italiani, spetta, in questi tempi, a Luigi Di Maioil leader del Movimento 5 stelle.



(foto da internet)

Di Maio, figlio di un'insegnante d'italiano e di latino, ha frequentato il liceo classico (!) ed è stato iscritto presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli senza tuttavia completare gli studi.
È, attualmente, vicepresidente della Camera dei deputati. 
Gli strafalcioni del pentastellato sono numerosi: l'ultimo svarione del Nostro fu quello nella trasmissione Che tempo fa, condotta da Fabio Fazio; il politico, in diretta, affermò di essere andato all'estero per incontrare i suoi alter ego! (sic) (per omologhi).





(foto da internet)

Sempre il buon Di Maio, tempo fa, si cimentò con un insidioso tweet, incentrato sul congiuntivo, sul suo account, che diceva (tema: cyberspionaggio): "Se c'è rischio che soggetti spiano massime istituzioni dello Stato...", che ricevette gli sfottò dal popolo della rete. Di Maio incassò le critiche, eliminò il tweet e ci riprovò: "Se c'è rischio che massime istituzioni dello Stato venissero spiate qual è il livello di sicurezza...".
Gli utenti di Twitter raddoppiarono la dose e si scatenarono: "Ritenta, sarai più fortunato", scrisse uno, mentre un altro si offrì per pagare al deputato un doposcuola di grammatica. 
A peggiorare la situazione ci fu anche un altro tentativo (e tre!) del Nostro di rimediare quanto sopra, questa volta su Facebook. Di Maio scrisse: "Se c'è il rischio che due soggetti spiassero le massime istituzioni dello Stato qual è il livello di sicurezza...". Un pastrocchio infinito.


(foto da internet)


Comunque, Di Maio non è nuovo a questi scivoloni grammaticali. Uno dei più noti fu quello che lo vide sul palco di un comizio organizzato con Grillo a Nettuno, in cui il deputato disse testualmente: "Come se domani presentassi venti esposti contro Renzi, lo iscrivessi nel registro degli indagati e verrei in questa piazza e urlerei Renzi è indagato". 
Oltre alla grammatica, Di Maio si è cimentato anche con la geografia e con la storia,  a settembre paragonò Renzi a Pinochet in Venezuela (sic) e recentemente dichiarò che la Russia si affaccia sul Mediterraneo...
Un altro pentastellato doc, Alessandro Di Battistadiplomato al liceo scientifico Farnesina della capitale, laureato al DAMS dell'Università degli Studi Roma Tre, ebbe dei seri problemi con l'imperativo (che in italiano, nella terza persona del singolare, si prende in prestito dal congiuntivo), alla Fantozzi, che snocciolò in alcuni talk show:  "mi facci finire" e "Lei non mi interrompi".  





(foto da internet)

Nel 2014 ancora un altro pentastellato, il portavoce alla Camera Davide Tripiedi, cominciò il suo intervento in aula con un "sarò breve e circonciso" (sic). A correggerlo -sbagliando pure lui!- intervenne Simone Baldelli, deputato di Forza Italia: "Coinciso (participio passato del verbo coincidere, ndr), quello è un'altra cosa". In due per cercar di tirar fuori il termine conciso, ma proprio no...
Ma gli strafalcioni sono davvero bipartisan: basti pensare alla famosa gaffe dell'ex ministro berlusconiano dell'Istruzione Mariastella Gelmini, che disse: "Alla costruzione del tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso (circa 730 km di distanza, ndr), attraverso il quale si è svolto l'esperimento, l'Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro". 





(foto da internet)

E poi c'è Matteo Renzi, che, a quanto pare, fa fatica con le citazioni. Attribuì erroneamente a Jorge Luis Borges, durante l'intervento in occasione della sua visita in Argentina, un testo poetico anonimo (La amistad) e scivolò su Dante Alighieri di fronte al parlamento Ue: il famoso verso della Divina Commedia "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", si trasformò in una banale conoscenza
Strafalcione dell'ex premier anche sul latino: il  segretario democratico ospite in tv, volle citare Virgilio  "Amore omnia vincit",  e subito venne corretto dal direttore dal conduttore: "Amor..."
E ancora ricordiamo Clemente Mastella, che, nel 2008 in Senato, quando dichiarò che non avrebbe più votato la fiducia a Romano Prodi, lo fece recitando  i versi della poesia “Lentamente muore”, con tanto di attribuzione (sbagliata) al cileno Pablo Neruda. La poesia, ahimè, era della brasiliana Martha Medeiros.





(foto da internet)

E che dire di Maurizio Gasparri, anch'egli con la maturità classica in tasca, che su Twitter, e sulla candidatura di Giorgia Meloni a sindaco di Roma, confermò: "È vero che è figlia della storia di destra e proprio per quello a suo tempo le chiesimo la disponibilità". Chiesimo e via, quasi come il grande Totò...



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In questi giorni il cantante-professore Lorenzo Baglioni ha lanciato una canzone intitolata Il congiuntivo (vedi>>),  che ha raggiunto, in un giorno, quasi un milioni di visualizzazioni.  Baglioni fa l'insegnante di matematica e, allo stesso tempo, calca le scene da cantante rap. 
Ha affermato: "Ogni secondo in Italia vengono sbagliati 79 congiuntivi. È ora di dire basta! Tutti insieme possiamo cambiare le cose: condividi il video".
Baglioni ha anche ottenuto il riconoscimento dell'Accademia della Crusca, e i suoi fan lo acclamano sui social: "Lorenzo Baglioni ministro dell'Istruzione". E richiedono: "una statua, un busto, un santuario a queste menti geniali che spiegano la scienza e la grammatica con la musica e col sorriso".
Giustissimo. Dove si deve firmare?

p.s. Il nostro blog chiuderà per il ponte dell'Immacolata sino a lunedì 11 dicembre. A presto.



venerdì 1 dicembre 2017

Lavoretti manuali (VII): la passata di pomodoro






(foto da internet)

Ecco a voi un lavoretto da fare d'estate: la passata di pomodoro. Un tempo, infatti, questa stagione era considerata il momento idoneo per preparare in casa le provviste alimentari. Fare la passata di pomodoro per l'inverno, richiedeva un lavoro di squadra che occupava grandi e piccini.
La passata di pomodoro fatta in casa garantiva alle famiglie di avere in dispensa un prezioso tesoro: tutta la genuinità del pomodoro di stagione era conservata per i mesi freddi dell'anno. 
Col passar del tempo, l'abitudine di fare la passata in casa si è persa a causa dei ritmi di vita diversi da quelli di un tempo e della comparsa sul mercato di prodotti industriali disponibili tutto l'anno, ma, negli ultimi anni, la riscoperta di questo prodotto semplice e naturale è in aumento.
La preparazione di una buona passata di pomodoro fatta in casa è semplice. Una volta si utilizzavano degli spazi all'aperto (giardini, verande o campi) in cui si lavorava come formichine. Oggigiorno, con gli spazi ridotti delle nostre case, si può preparare la passata in più volte, senza dover acquistare quantità eccessive di pomodoro ed essere circondati da tantissimi barattoli.




(foto da internet)


Il primo passo riguarda la scelta del pomodoro: per la passata perfetta occorrono a) dei pomodori maturi (ad esempio i San Marzano),  biologici o di sicura provenienza; b) dei barattoli con le capsule nuove; c) un imbuto e d) un passaverdure.  Se volete, potete procurarvi anche delle erbe aromatiche da aggiungere alla conserva (ad esempio il basilico).
Una volta pronta, la passata di pomodoro dovrà essere invasata in barattoli sterilizzati ed integri, che verranno chiusi con dei tappi nuovi, in modo così da garantirne il sottovuoto. Attenzione: i barattoli, se non rovinati nella parte dell'avvitatura, potranno essere riutilizzati negli anni successivi, ma i tappi non possono essere utilizzati più di una volta!


(foto da internet)

Per la preparazione ci vogliono 2 Kg di pomodori maturi e delle foglie di basilico (opzionale)

Lavate accuratamente i pomodori, mettendoli preferibilmente a bagno in acqua e bicarbonato, sciacquateli e tagliateli a spicchi.
Lavate anche il basilico. Mettete, in una pentola molto capiente, i pomodori. A fuoco bassissimo iniziate la cottura; con il calore i pomodori rilasceranno la loro acqua. Fate cuocere, a fuoco basso, per circa un'ora e mezza, mescolando ogni tanto.
Mettete i pomodori ancora caldi in una terrina, e passateli, un po' alla volta, nel passaverdure, in modo da raccoglierne la polpa e scartare la buccia e i semi.
Disponete la passata di pomodoro, aiutandovi con un imbuto, in barattoli sterilizzati, chiudeteli per bene e metteteli sottovuoto.


(foto da internet)

Per la scelta dei barattoli da usare, vi consigliamo di usare quelli che hanno il tappo predisposto per il sottovuoto (si riconoscono perché, di solito, al centro del tappo c'è un cerchietto e, se premuto, emette il tipico rumore clac).
I barattoli dovranno essere in vetro trasparente, dato che questo materiale non assorbe gli aromi, offre la possibilità di controllare il prodotto e potrà essere riutilizzato, se in buono stato, ad ogni stagione. 
I tappi, invece, bisognerà acquistarli ogni anno perché, una volta prodotto il sottovuoto, non garantiscono più la loro efficacia. Prima di utilizzare i barattoli, bisognerà lavarli con acqua calda e sapone, e successivamente sterilizzarli in acqua bollente.
Come abbiamo già visto nei post dedicati ai sottaceti e alla marmellata, per far ciò dovrete avvolgerli con dei canovacci puliti e metterli in una pentola capiente. Coprite con dell'acqua fredda e dal bollore, dovrete far sterilizzare i barattoli, e i tappi, per circa venti minuti. Posteriormente,  spegnete il fuoco ed attendete che l'acqua si raffreddi prima di estrarli. Quando l'acqua si sarà raffreddata estraete i tappi e i barattoli, e metteteli ad asciugare a testa in giù su un canovaccio pulito.



(foto da internet)

Fase del sottovuoto: prendete i vasetti appena sterilizzati, mettete in ognuno di essi due o tre foglioline di basilico lavate e asciugate, e versate la salsa ancora bollente aiutandovi con un imbuto. Riempite sino quasi al bordo, e poi chiudete con il tappo a vite. 
Avvolgete ogni barattolo con uno strofinaccio, sistematelo in una pentola ampia e riempitela di acqua fredda (fino a tre quarti del barattolo). Fate cuocere a fuoco lento per 30 minuti dal primo bollore, dopodiché fate raffreddare i vasetti dentro l’acqua. Una volta estratti i barattoli è opportuno verificare che si sia creato il sottovuoto, spingere quindi con il dito al centro del tappo e questo, ovviamente, non dovrà più flettersi. Se il sottovuoto non si fosse formato (per un difetto di fabbricazione del vasetto o della capsula), dovrete trasferire il contenuto in un nuovo barattolo sterilizzato e ripetere il processo. 
Attenzione: se durante il processo sopraccitato fosse entrata dell'acqua all'interno del vasetto, dovrete gettare il tutto! 
La passata, bell'e pronta, dovrà essere conservata in dispensa, al riparo dalla luce solare. Incollate su ogni barattolo un'etichetta sulla quale indicherete il nome della conserva e la data di preparazione. 
La vostra passata di pomodoro si conserverà, per circa un anno, fino al momento dell'apertura.
Per i più maldestri, ecco a voi un tutorial.
Buon lavoro!