venerdì 29 ottobre 2010

Americani (in cucina)


(foto da internet)


Gli americani nun magnano i maccaroni, affermava Alberto Sordi nel film Un americano a Roma. Va bene. Ma se dovessimo pensare alla cucina a stelle e a strisce la prima immagine che ci viene in testa è proprio quella dei fast food e degli hot dog? Ma la cucina Usa è solo quella? E' davvero possibile che in un territorio così vasto ci sia solo spazio per il grasso e per il colesterolo? Laura Evans, un'americana che vive da tempo in Italia, ha provato a farci conoscere l'altra cucina americana: quella legata alle ricette tradizionali e al piacere della convivialità. La Evans, texana doc, è autrice di un libro, pubblicato presso Tommasi editore, che già nel titolo, e nella dedica, chiarisce subito le sue intenzioni gastronomiche-culturali: Buon Appetito America - "Dedicato all'Italia che mi ha fatto scoprire l'America." Oltre a cimentarsi con la scrittura, la signora Evans, cura da tempo, con successo, un blog dedicato alla cucina americana: un'americana in cucina. Online ha pubblicato delle magnifiche ricette che cercano di approfondire la conoscenza delle radici statunitensi. E allora, ecco a voi zuppe di verdura, torte, carne e dolci, il tutto legato al desiderio di condividere con gli altri l'importante rito del pasto (in questo periodo non potremmo imparare qualcosina anche noi?).
Si va dal semplice barbecue in giardino, agli hamburger, ai dolcetti di Halloween per i bambini, che fanno da comun denominatore alla voglia di stare insieme.




(foto da internet)

La signora Evans è altresì protagonista di interessanti corsi di cucina americana come, ad esempio, quello svoltosi nella splendida tenuta di Poggio Casciano, nella Docg Chianti Colli Fiorentini, in occasione della cena Ruffino wine meets American Food.
E dato che, gastronomicamente, gli Usa rappresentano un po' -come la loro gente- la zuppa inglese di ricette provenienti da tutto il mondo, grazie al loro spirito giovanile e sbarazzino, le proposte dalla signora Evans stanno conquistando anche il pubblico italiano.
Noi, per finire, vi proponiamo il video dei dolcetti di Halloween (e la ricetta), piatto tipico di questi giorni.
Buon appetito e buon divertimento (a stelle e a strisce)!



mercoledì 27 ottobre 2010

Quelle battute memorabili

(foto da internet)



Il New York Times ci fa riflettere. Quand'è stata l'ultima volta che siamo usciti dal cinema con una bella battuta che ci è rimasta in testa? Ricordate Forrest Gump: «La vita è come una scatola di cioccolatini».
Forse perché il contenuto, il più delle volte, non è per niente dolce, ma le frasi memorabili del grande schermo sembrano ormai scomparse. Quelle battute che non sono soltanto una curiosità da appassionati, bensì rappresentano anche l'indice della vitalità dell'arte.
Cinque anni fa l'American Film Institute chiese a un panel di 1500 operatori del cinema di stilare la classifica delle battute migliori. Nella top ten il film più giovane aveva trent'anni: Guerre Stellari. La frase celebre? Suvvia: «Che la forza sia con te».




(foto da internet)



In vetta alla classifica di Hollywood è stato incoronato l'immortale Via col vento: «Francamente me ne infischio». E al numero due svetta l'altra battuta del cinema più famosa di tutti i tempi, da Il Padrino: «Gli farò un'offerta che non può rifiutare».
E chi si sognerebbe oggi di sfidare questi pesi massimi?
No, non ci sono più le battute di una volta. Il New York Times, che non vuole farsene una ragione, ha provato a chiederlo agli esperti: perché? Chissà, è la risposta raccolta, perché magari oggi in un film conta più l'immagine, e anche qui, come nel resto del mondo sempre più virtualizzato, la parola è la prima a scomparire.





(foto da internet)





Lo scrittore Laurence Mark, sceneggiatore di Jerry Maguire, non se la sente di dare la colpa agli sceneggiatori. E allora, che dire dei traduttori? Per esempio la frase d'amore spezzato di Mark, famosa, «You had me at hello!», in italiano non ha avuto alcuna sorte: «Mi avevi già convinta al ciao!». La versione italiana, in realtà, non rende giustizia alla frase; infatti sembra che Renéé Zelleweger stia parlando, delusa e tra le lacrime, a Tom Cruise, che vuole riconquistarla, del mitico motorino, e non che lui l'aveva saputa riconvincere...
Colpa o no della traduzione, la domanda sorge spontanea: perché la battuta non scatta più come una volta?



(foto da internet)




Casablanca ha ben sei frasi nella top cento dell'American Film Institute, a partire dalla mitca «Suonala ancora, Sam».
Probabilmente, la maggior parte delle battute dei film di oggi si perdono, ma quelle che rimangono un po' più nella mente del pubblico sembrano aver perso quella laconicità prima tanto apprezzata, proprio fino a Forrest Gump, ancora lui, con quello slogan che è diventato una specie di manifesto degli ingenui di tutto il mondo: «Stupido è chi lo stupido fa».



(foto da internet)



Un esempio sembra Oliver Stone e la famosa frase del primo Wall Street: «L'avidità è giusta». Mentre la frase "famosa" del sequel uscito 15 anni dopo sarebbe «Tu smetti di dire bugie su di me e io la smetterò di dire la verità su di te». Bella frase, ma non non universale.
Insomma, non ci sono più le battute di una volta. E se qualcuno prova a dire il contrario, via, sapete già come smontarlo: «Lascia perdere, Jack: è Chinatown». Ma, state tranquilli: «Domani è un altro giorno» .


lunedì 25 ottobre 2010

Ritratto di mio padre



(foto da Internet)

Il documentario Ritratto di mio padre, di Maria Sole Tognazzi, apre le porte della memoria di famiglia, per raccontare il padre Ugo. La regista presenterà il film su suo padre il 27 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, a venti anni esatti dalla sua morte. L'apertura della quinta edizione di questo festival era prevista per il 28 ottobre, ma la data è stata cambiata per rendere omaggio al grande attore, scomparso il 27 ottobre 1990. Maria Sole Tognazzi commenta:
Considero a tutti gli effetti Ritratto di mio padre come il mio terzo lungometraggio. Questa volta, attraverso mesi di lavoro in moviola con il mio montatore Walter Fasano, rovistando fra Super8, fotografie, articoli di giornale, racconti, ho cercato di ri-costruire la figura di mio padre, cercando di riaccendere frammenti di memoria, brandelli di emozioni, scoperte e ri-scoperte di un uomo che ho imparato a conoscere nel tempo, che continuo a conoscere tuttora.
Il più controverso tra i mitici «colonnelli della risata» ha interpretato come pochi altri l'essenza della stramberia e della follia più sottile. Ironico e tendente alla satira, protagonizzò alcune provocazioni memorabili, come quando il duo Tognazzi-Vianello decide di mettere in burletta un incidente accaduto la sera prima alla Scala e rigorosamente taciuto dai principali mezzi di stampa.


O come quando si fece fotografare ammanettatto, simulando l'arresto del capo delle Brigate Rosse, di cui la rivista "Il male" pubblicò numerose false prime pagine dei principali quotidiani nazionali.
Impossibile dimenticare il mitico Conte Mascietti, protagonista dei famosi sketch di "Amici miei" di Monicelli, artefice del linguaggio nonsense della esilarante supercazzola.



E per concludere, anche Mina, cremonese doc come lui, ha voluto rendere un personalissimo omaggio al grande attore a pochi giorni dall'anniversario della sua morte nel suo ultimo articolo su La Stampa: Ugo, la quarta t di Cremona.

venerdì 22 ottobre 2010

Il palapugno





Il Palapugno o pallone elastico, detto anche balùn in piemontese e nella lingua ligure, è un gioco antico di squadra che si gioca su un terreno di gioco privo di rete.
Si pratica fasciandosi il pugno con una serie di strisce di stoffa alle quali si sovrappone un pezzo di cuoio e una striscia di gomma che serve per ammortizzare il colpo ed aiutare il giocatore nell'indirizzarlo. Questa specialità è storicamente radicata nel basso Piemonte e nella Liguria dove è praticata a livello professionistico.
Il pallone elastico è da sempre un emblema della cultura contadina e del folklore piemontese: è stato narrato da scrittori come De Amicis, Pavese e Fenoglio.
Il gioco si svolge tra due squadre di quattro giocatori, chiamate quadrette: un battitore, una spalla, due terzini. Il campo di gioco in terra battuta, detto sferisterio, è fiancheggiato, ma non sempre, su uno dei lati lunghi da un muro di appoggio e al di sopra di esso da una rete. La palla è di gomma.
I punti si contano come nel tennis: quindici, trenta, quaranta, gioco. La partita consiste di 11 giochi.
Il battitore, che è in genere il giocatore più forte, può prendere una rincorsa fuori dal campo prima di colpire la palla al volo effettuando la battuta che, per essere considerata valida, deve superare la metà del campo e rimbalzare all'interno delle due linee laterali. La squadra in ricezione può colpire la palla al volo o dopo il primo rimbalzo (come nel tennis), con il pugno o, nei colpi ravvicinati, con la mano aperta, talvolta protetta da un guanto. In ogni caso si può usare una sola mano per volta. Tutti i contatti della palla con parti del corpo diverse dall'avambraccio sono considerati falli.
Lo scopo è quello di mandare la palla il più possibile vicino alla linea di fondo campo avversario o, ancora meglio, oltre la stessa. In quest'ultimo caso si fa un "fuori campo" (o, in piemontese, "intra" e, in ligure, "ciellu"), il colpo più spettacolare, che frutta direttamente un quindici. Se il giocatore, invece, manda la palla direttamente oltre il muro d'appoggio o al di là della linea laterale, fa un fallo e la squadra avversaria guadagna un quindici.
Se non si commettono falli o fuoricampo, il gioco continua finché una delle due squadre, non riuscendo più a colpire il pallone al volo o al primo salto (cioè quando è valido), lo ferma (o lo manda avanti) con una qualunque parte del corpo dopo che ha rimbalzato più di una volta per terra: in questi casi la palla non è più giocabile e può essere fermata indifferentemente con le mani o i piedi. Nel punto di arresto l'arbitro segna una caccia mediante un'apposita bandierina. La caccia può anche essere segnata quando la palla, dopo aver rimbalzato almeno una volta in campo, esce lateralmente: in questo caso viene posizionata nel punto di uscita dal bordo del campo.


(foto da internet)

Dopo aver segnato un massimo di quattro cacce, le squadre si scambiano il campo. A questo punto inizia la seconda fase del gioco e le due squadre si disputano la conquista delle cacce che sono appena state segnate dall'arbitro.
Per conquistare una caccia, la quadretta deve fermare la palla in modo valido avendo alle proprie spalle il punto in cui è stata segnata la caccia, definito dalla bandierina corrispondente. Si fanno punti quando il pallone valido va oltre la linea di fondo campo avversaria, quando si conquista una caccia, quando l'avversario commette fallo: ognuna di queste situazioni vale un quindici.
Le partite possono durare da poco più di un'ora a parecchie ore, quando le squadre in campo sono molto equilibrate.

Non vi ricorda un po' il gioco della pilota?

mercoledì 20 ottobre 2010

La lingua si trova scavando nella storia


(foto da internet)

Sembra strano, ma fino a solo tre anni fa, nella Costituzione italiana, non era contemplato l’italiano come lingua ufficiale della nazione. Finalmente, nell’articolo 12, è stata inserita la frase che recita: «L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica».
Sembra così ovvio, che si fa fatica a pensare che la precisazione sia stata oggetto di disputa. I partiti di sinistra moderata, di centro e di destra erano d'accordo, ma Rifondazione Comunista,
invece, temeva che quella precisazione finisse col rendere obbligatoria la conoscenza dell'italiano
all’extracomunitario che richiedeva la cittadinanza. Anche la Lega Nord diceva no all’aggiunta manifestando, come no, ben altre preoccupazioni. Temeva che i dialetti e le minoranze venissero schiacciate dalla «prepotenza» della lingua nazionale, temeva addirittura che l’obbligatorietà dell’italiano si configurasse come la rivincita del solito centralismo di Roma padrona, che avrebbe dimenticato ancora una volta di valorizzare gli idiomi locali e le minoranze...

Sappiamo tutti che la nostra lingua di comunicazione e di cultura è l’italiano, diventata, dopo tanto sudore, la lingua di tutti. È la lingua della scuola, dei tribunali, dei giornali, della Tv, coincide, insomma, con la nostra vita. Sacrosanta è la tutela, sacrosanto il recupero delle proprie radici, della piccola patria, che s’incarna anche nel dialetto e nella «diversità» linguistica.
Ma ormai ci si dovrebbe riconoscere in questa grande lingua comune che è l’italiano, che fa da collante, che segna fortemente un’identità.



(foto da internet)


Non si tratta di un attentato alle minoranze che sono tutelate per legge: «La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche,
greche, slovene e croate e quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo»
.
L’Italia, si sa, è un mosaico di lingue e dialetti. Gli alloglotti veri e propri (in genere disposti lungo i confini, o in aree isolate) sono circa il 5% della popolazione.
Tra le minoranze neolatine vanno annoverate, oltre al sardo e al friulano, le «franco-provenzali»,
le «occitane», nel Meridione sopravvivono isole galloitaliche.
E ci sono le minoranze «francesi», e le «ladine» delle valli dolomitiche, disposte attorno al massiccio del Sella, e le «catalane» ad Alghero, e minoranze non neolatine, come le «walser», le «carinziane», le «sudtirolesi» in Alto Adige, le «slovene» lungo la fascia dei confini orientali, e le antiche «croate» del Molise, che risalgono al sec. XIII, le «albanesi» in una cinquantina di paesi centro-meridionali, infine le «greche» del Salento e in tre o quattro paesi della provincia di Reggio Calabria. Ci sono poi «minoranze diffuse» o migranti (lingue zingare, il giudeo-italiano).
Ovvero, un colorito, vivace mosaico, delizia del linguista e del folklore.

(foto da internet)



Ma quel che conta innanzitutto è constatare, oggi, che, da decenni ormai, l’italiano esiste come lingua media comune nota e praticata dalla quasi totalità dei parlanti.
E propria questa diversità rende ricca la lingua, così come in questi giorni lo ha esposto Gian Luigi Beccaria, linguista e storico della lingua italiana, in un convegno sui problemi e sulle prospettive dei licei: «Nuovi Licei: l'avventura della conoscenza» organizzato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, il cui obiettivo principale era riflettere sul modo di far appassionare i ragazzi allo studio della lingua italiana.

Vi presentiamo uno stralcio del testo presentato dal linguista, pubblicato, in maniera più approfondita e con esempi, da La Stampa:
«Ogni cultura, attraverso le parole, continua ad appartenerci, vive ogni giorno nel presente, celata tra le pieghe delle parole. Dietro di esse si svelano le tracce della piccola e della grande Storia. E anche si può far vedere come coesistano nella sincronia del presente elementi arcaici che vivono fianco a fianco agli strati più moderni, come i sedimenti colti si affianchino ai sedimenti popolari.
Indugiare a riflettere sulla lingua aiuta a rispondere a domande del tipo «Come siamo?», «Perché siamo così?», «Che cosa del passato è sopravvissuto nell'oggi?». Occuparsi delle origini di una lingua, della lingua italiana nel caso specifico, rilevare le correnti dotte e popolari che la solcano, vedere il rapporto della lingua coi dialetti, guardare a quest'Italia plurilingue, a un'Italia delle Regioni, guardare alle minoranze linguistiche, riflettere su sostrati e adstrati, fermarsi eventualmente sulla toponomastica e l'onomastica, sono altrettanti modi che ci permettono di vedere come in una lingua storia e cultura si intreccino in maniera evidente e inestricabile. Partendo dalle attestazioni presenti, è sempre possibile discendere verticalmente gli strati della lingua, calarci nel fondo delle radici. È appassionante compiere cammini a ritroso, tesi a una concreta ricostruzione storico-culturale. [...]»




(foto da internet)


«Stratificato in modo stupefacente è il Mezzogiorno. Pensiamo a come, in Sicilia, arabo, mondo galloromanzo e iberoromanzo si abbraccino strettamente. In Sicilia sono giunti fenici (secolo IX a.C.), greci (VIII a.C.), romani (212 a.C.), quindi vandali, arabi (IX-XI d.C.), normanni (XI-XII), gli spagnoli vi si stanziano per quattro secoli e mezzo (1282-1713). Di conseguenza le parlate del Mezzogiorno hanno largamente accolto grecismi, arabismi, francesismi penetrati con normanni e angioini, e spagnolismi. Ogni età lascia in eredità i suoi memorabili segni verbali

Sono constatazioni facili da trasmettere e da verificare, e non possono non suscitare curiosità e desiderio di ulteriori eventuali indagini, quelle che si possono fare benissimo a scuola, regione per regione, e che certamente appassionano, perché tra l'altro implicano eventuali inchieste familiari, tra i nonni, i vicini anziani. [...]».

lunedì 18 ottobre 2010

Venerdì cinema



Un altro venerdì all'insegna del cinema italiano all' EOI di Sagunt. Continuano le proiezioni del ciclo Il cinema italiano del terzo millennio. Approfittiamo dell'occasione per segnalarvi dell'errore nel post in cui annunciavamo questa attività: Riprendimi, Lezioni di cioccolato e La giusta distanza si proietteranno soltanto alle 19:00.

Mio fratello è figlio unico, regia di Daniele Luchetti, uscito nei cinema ad aprile 2007, si ispira al romanzo Il fasciocomunista - Vita scriteriata di Accio Benassi, scritto dal recente vincitore del Premio Strega: Antonio Pennacchi. Il titolo del libro è già tutto un programma! Il film racconta la storia di Accio e Manrico Benassi, due fratelli che non hanno nulla in comune. O meglio, in comune hanno soltanto un profondo affetto reciproco e l’amore che provano per la stessa ragazza. Il loro dramma personale e familiare si snoda fra le lotte politiche dell’Italia degli anni '60. Un film consigliabile sotto tutti punti di vista, ma soprattutto per l'interpretazione memorabile di Elio Germano, vincitore ex aequo con Javier Bardem del premio come migliore interprete maschile del Festival di Cannes 2010, per la sua interpretazione in La nostra vita, film diretto anche da Daniele Luchetti.



Il titolo del film, diverso da quello del romanzo da cui è tratto, è un omaggio all’omonima canzone di Rino Gaetano.


Generazione 1000 euro si ispira ad un inchiesta de El Pais, intitolata La generación de los mil euros. Il film racconta la storia di Claudio, un ventisettenne emiliano, laureato in matematica, che lavora a Milano. Il suo lavoro gli piace, ma il suo stipendio di 1.028 euro netti al mese senza tredicesima non gli permette certo di fare programmi per il futuro. Una storia, purtroppo, comune a molti giovani, che costituiscono una vera e propria generazione di precari, di laureati con ottimi voti, di ragazzi pieni di sogni nel cassetto, costretti a dover convinvere con contratti di 6 mesi, quasi mai rinnovati. Un film decisamente sorprendente, con una sceneggiatura brillante che descrive con cinica precisione la situazione paradossale in cui si trovano oggi i "dottori" dei nostri giorni; ogni volta più disoccupati e poveri.

venerdì 15 ottobre 2010

Quel bullo di Don Rodrigo...

(foto da internet)


l Promessi sposi, il capolavoro di Alessandro Manzoni, viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana, ma anche un passaggio fondamentale nella nascita della nostra lingua. È, tutt'oggi, una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano. Sui banchi di scuola lo abbiamo amato e odiato in proporzioni assai variabili. Non c'è nessuno studente italiano che resti indifferente al nome di questo romanzo. Orbene, per rivisitare il testo del Manzoni e per avvicinarlo al grande pubblico, sono sorte delle interessanti iniziative che vorremmo presentarvi.
La prima è quella di Umberto Eco, grande studioso del capolavoro manzoniano, che sta riproponendo, in questi giorni, una versione ironica, basata su un linguaggio contemporaneo, del testo. La sua ultima fatica inizia come una fiaba: "C'era una volta ...un re!".
La seconda, è un musical di Tato Russo, che da anni è in tournée nei teatri italiani, con uno spettacolo intitolato, appunto, I promessi sposi musical.
Molti anno or sono, esattamente nel 1967, la Rai tentò, con grande successo, l'adattamento televisivo del romanzo nazionale. Lo sceneggiato, diretto da Sandro Bolchi, tenne incollati davanti allo schermo milioni di spettatori, riscuotendo un grande successo di pubblico e di critica anche per l'estrema fedeltà al testo letterario cui è ispirato (vedi>>).
Anni più tardi, l' indimenticabile trio Solenghi-Lopez-Marchesini, propose una divertente rivisitazione del capolavoro del Manzoni. Vi proponiamo, di seguito, alcuni sketch (1, 2, 3).



(foto da internet)

E poi, come sempre, ci sono state le noiose presentazioni scolastiche (non se ne può più!)... ma, dulcis in fundo, abbiamo scovato un' ingegnosa drammatizzazione del testo da parte del gruppo Oblivion, il quale, parodiando delle note canzoni di musica leggera, in poco meno di dieci minuti offre allo spettatore un riassunto completissimo dell'opera del Manzoni.
Buon divertimento!

mercoledì 13 ottobre 2010

Forza, Italia

(foto da internet)


Forza, Italia è il nuovo libro di Bill Emmott, ex-direttore del prestigioso settimanale inglese «Economist», ora free lance giramondo e fresco nuovo editorialista de «La Stampa».
È un compendio di humour tutto inglese, se si ricordano le furibonde polemiche che negli anni scorsi hanno contrapposto il severo settimanale britannico al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che lo giudicò «unfit», ovvero inadatto a governare.
Attenzione il titolo è «Forza, Italia», con una virgola che divide il giornalista dalla visione di Silvio Berlusconi, pur condividendo con quest'ultimo l'ottismismo, aspetto istintivo del primo ministro italiano, senza, però, cadere nella trappola della provincialissima mania italiana di affibbiare a tutti un'etichetta: destra-sinistra, berlusconiano-antiberlusconiano. Insomma, in questo libro, Emmott si avventura in un viaggio italiano per contraddire la cattiva opinione che gli italiani hanno di sé; è un reportage su ciò che di buono si muove in Italia.



Nessun giapponese s'è mai stupito del fatto un giornalista studiasse il Giappone e ci lavorasse per ricavarne dei libri.
Sicuramente un francese non si stupirebbe se uno straniero si interessasse al suo paese.
Un inglese potrebbe al massimo sorriderne, ma troverebbe la cosa assolutamente normale e, probabilmente. si allontanerebbe in punta di piedi con la scusa di non disturbare per evitare di doverlo aiutare.
Insomma non accade in nessuna parte del mondo. Solo in Italia.
Comincia da questa disarmante constatazione il nuovo libro di Emmott che attacca sia la sinistra che la destra, dipende da chi fa la parte del cattivo.


(foto da internet)


La grande frattura non è dunque tra destra e sinistra, nord e sud, ma tra Mala Italia e Buona Italia. Tanti piccoli eroi di quest'ultima sono i protagonisti di un libro che ha un'ambizione: insegnare agli italiani l'ottimismo sull'Italia.

lunedì 11 ottobre 2010

Le parolacce? Analgesici naturali!


(foto da internet)

A qualcuno sarà capitato di dire una parolaccia dopo essersi schiacciato il dito nella porta. Un semplice sfogo? Non proprio: secondo una recente ricerca pubblicata sulla rivista Neuroreport, le parolacce sono una vera e propria risposta fisica al dolore, ed esercitano un effetto analgesico.

Gli psicologi che hanno realizzato questo studio, coordinati da Richard Stephens, hanno testato la loro teoria su un campione di volontari, che hanno accettato di dire parolacce mentre tenevano il più possibile la mano in un secchio d’acqua ghiacciata. L’esperimento è stato poi ripetuto con parole neutre. Nella prima fase, il cervello percepiva meno il dolore e la soglia di tolleranza si alzava di quasi il 50%, a differenza della seconda.

“Se si dicevano parolacce, si poteva sopportare il dolore provocato dall’acqua ghiacciata per 2 minuti. Senza bestemmiare, si resisteva solo per 1 minuto e 15 secondi“, hanno spiegato i ricercatori. “Probabilmente le reazioni ‘aggressive’ di chi bestemmia aumentano la sopportazione del dolore fisico“, hanno concluso. Per gli scienziati, questo è il primo studio che è riuscito a dimostrare gli effetti benefici della parolaccia. “Spiegherebbe come mai la pratica di bestemmiare in reazione al dolore si sia originata e sia diventata cosi’ comune. Anche alle persone più educate capita di farsene sfuggire una. In questi casi: il nostro studio ne dà una ragione“.

(foto da internet)

I meccanismi fisiologici di questo nesso, in realtà, non sono ancora chiari: l’ipotesi degli scienziati sarebbe che le parolacce stimolano una reazione correlata all’istinto di conservazione, detta “fight or flight”, ovvero “combatti e fuggi”, che altererebbe la percezione del dolore.

In conclusione, dire parolacce giova alla salute e fa accumulare meno cortisolo, l'ormone dello stress.