mercoledì 20 ottobre 2010

La lingua si trova scavando nella storia


(foto da internet)

Sembra strano, ma fino a solo tre anni fa, nella Costituzione italiana, non era contemplato l’italiano come lingua ufficiale della nazione. Finalmente, nell’articolo 12, è stata inserita la frase che recita: «L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica».
Sembra così ovvio, che si fa fatica a pensare che la precisazione sia stata oggetto di disputa. I partiti di sinistra moderata, di centro e di destra erano d'accordo, ma Rifondazione Comunista,
invece, temeva che quella precisazione finisse col rendere obbligatoria la conoscenza dell'italiano
all’extracomunitario che richiedeva la cittadinanza. Anche la Lega Nord diceva no all’aggiunta manifestando, come no, ben altre preoccupazioni. Temeva che i dialetti e le minoranze venissero schiacciate dalla «prepotenza» della lingua nazionale, temeva addirittura che l’obbligatorietà dell’italiano si configurasse come la rivincita del solito centralismo di Roma padrona, che avrebbe dimenticato ancora una volta di valorizzare gli idiomi locali e le minoranze...

Sappiamo tutti che la nostra lingua di comunicazione e di cultura è l’italiano, diventata, dopo tanto sudore, la lingua di tutti. È la lingua della scuola, dei tribunali, dei giornali, della Tv, coincide, insomma, con la nostra vita. Sacrosanta è la tutela, sacrosanto il recupero delle proprie radici, della piccola patria, che s’incarna anche nel dialetto e nella «diversità» linguistica.
Ma ormai ci si dovrebbe riconoscere in questa grande lingua comune che è l’italiano, che fa da collante, che segna fortemente un’identità.



(foto da internet)


Non si tratta di un attentato alle minoranze che sono tutelate per legge: «La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche,
greche, slovene e croate e quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo»
.
L’Italia, si sa, è un mosaico di lingue e dialetti. Gli alloglotti veri e propri (in genere disposti lungo i confini, o in aree isolate) sono circa il 5% della popolazione.
Tra le minoranze neolatine vanno annoverate, oltre al sardo e al friulano, le «franco-provenzali»,
le «occitane», nel Meridione sopravvivono isole galloitaliche.
E ci sono le minoranze «francesi», e le «ladine» delle valli dolomitiche, disposte attorno al massiccio del Sella, e le «catalane» ad Alghero, e minoranze non neolatine, come le «walser», le «carinziane», le «sudtirolesi» in Alto Adige, le «slovene» lungo la fascia dei confini orientali, e le antiche «croate» del Molise, che risalgono al sec. XIII, le «albanesi» in una cinquantina di paesi centro-meridionali, infine le «greche» del Salento e in tre o quattro paesi della provincia di Reggio Calabria. Ci sono poi «minoranze diffuse» o migranti (lingue zingare, il giudeo-italiano).
Ovvero, un colorito, vivace mosaico, delizia del linguista e del folklore.

(foto da internet)



Ma quel che conta innanzitutto è constatare, oggi, che, da decenni ormai, l’italiano esiste come lingua media comune nota e praticata dalla quasi totalità dei parlanti.
E propria questa diversità rende ricca la lingua, così come in questi giorni lo ha esposto Gian Luigi Beccaria, linguista e storico della lingua italiana, in un convegno sui problemi e sulle prospettive dei licei: «Nuovi Licei: l'avventura della conoscenza» organizzato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, il cui obiettivo principale era riflettere sul modo di far appassionare i ragazzi allo studio della lingua italiana.

Vi presentiamo uno stralcio del testo presentato dal linguista, pubblicato, in maniera più approfondita e con esempi, da La Stampa:
«Ogni cultura, attraverso le parole, continua ad appartenerci, vive ogni giorno nel presente, celata tra le pieghe delle parole. Dietro di esse si svelano le tracce della piccola e della grande Storia. E anche si può far vedere come coesistano nella sincronia del presente elementi arcaici che vivono fianco a fianco agli strati più moderni, come i sedimenti colti si affianchino ai sedimenti popolari.
Indugiare a riflettere sulla lingua aiuta a rispondere a domande del tipo «Come siamo?», «Perché siamo così?», «Che cosa del passato è sopravvissuto nell'oggi?». Occuparsi delle origini di una lingua, della lingua italiana nel caso specifico, rilevare le correnti dotte e popolari che la solcano, vedere il rapporto della lingua coi dialetti, guardare a quest'Italia plurilingue, a un'Italia delle Regioni, guardare alle minoranze linguistiche, riflettere su sostrati e adstrati, fermarsi eventualmente sulla toponomastica e l'onomastica, sono altrettanti modi che ci permettono di vedere come in una lingua storia e cultura si intreccino in maniera evidente e inestricabile. Partendo dalle attestazioni presenti, è sempre possibile discendere verticalmente gli strati della lingua, calarci nel fondo delle radici. È appassionante compiere cammini a ritroso, tesi a una concreta ricostruzione storico-culturale. [...]»




(foto da internet)


«Stratificato in modo stupefacente è il Mezzogiorno. Pensiamo a come, in Sicilia, arabo, mondo galloromanzo e iberoromanzo si abbraccino strettamente. In Sicilia sono giunti fenici (secolo IX a.C.), greci (VIII a.C.), romani (212 a.C.), quindi vandali, arabi (IX-XI d.C.), normanni (XI-XII), gli spagnoli vi si stanziano per quattro secoli e mezzo (1282-1713). Di conseguenza le parlate del Mezzogiorno hanno largamente accolto grecismi, arabismi, francesismi penetrati con normanni e angioini, e spagnolismi. Ogni età lascia in eredità i suoi memorabili segni verbali

Sono constatazioni facili da trasmettere e da verificare, e non possono non suscitare curiosità e desiderio di ulteriori eventuali indagini, quelle che si possono fare benissimo a scuola, regione per regione, e che certamente appassionano, perché tra l'altro implicano eventuali inchieste familiari, tra i nonni, i vicini anziani. [...]».

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