mercoledì 21 dicembre 2016

Un Natale italiano

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(foto da internet)

Vicini e lontani, il Natale è un momento che avvicina tutti, una festa sentita e vissuta con molto trasporto non solo con animo religioso ma anche con un grande valore sentimentale che stringe le persone care per in un momento di raccoglimento. Strade vestite a festa, luminarie che illuminano monumenti e vie dello shopping ed alberi che fanno capolino dalle finestre pronti a trasmettere il calore di chi li addobbati.
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(foto da internet)

A tenere compagnia al countdown natalizio tanti mercatini ed eventi caratteristici che invitano a riscoprire il fascino della tradizione andando a caccia di qualche pensierino, esuli dalle solite idee commerciali. Anche se i prodotti dolciari che più si associano al natale sono il panettone e il pandoro, quando si parla di Natale non si può far a meno che viaggiare con la fantasia in quelle realtà innevate e ricoperte di bianco ad alta quota: in Alto Adige, tra il fascino delle montagne innevate, si recupera la tradizione dello scambio di doni artigianali tramandato dalle famiglie sudtirolesi nel corso di varie generazioni, un'atmosfera carica di simbolismo la si respira passeggiando tra i mercatini di Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico e Vipiteno, pittoresche realtà in grado di emozionare, magari sotto una lieve nevicata,  tra le casette in legno dove vengono esposti prodotti ed oggetti artigianali realizzati a mano, in legno, ceramica, stoffa o golosità come i Krapfen alla marmellata, strudel di mele, Bruchteln con crema di vaniglia, il tradizionale Zelten o del vin brulé
e, perfetto per ritemprare il corpo dalle basse temperature. 

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(foto da internet)

Oltra alle bancarelle natalizie, a dominare la scena il presepe, un’arte molto sentita che esprime il perfetto connubio tra sacro e tradizione popolare. Lo stivale, dal nord al sud, presta piazze e chiese come scenografie per allestire la scena della natività, rappresentazioni che si diversificano per i materiali utilizzati per ricreare la scena della nascita del Bambino Gesù: nella Napoli antica, in quel di San Gregorio Armeno, un quartiere intero è in onore del presepe, con artigiani alle prese con capolavori, classici o ironici, dove trovare statuine in terracotta realizzate a mano, non un’esposizione temporanea ma una vera e propria zona della città dedicata al Natale.

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(foto da internet)

C’è chi lo costruisce e chi lo interpreta: il presepe vivente è un momento condiviso in molte regioni, si contano circa 200 rappresentazioni della Natività durante il periodo festivo: in primis quello di Greccio, poco distante da Rieti, là dove, per mano di San Francesco, ci fu la prima riproposizione del miracoloso evento, risalente al 1223, che vede la partecipazione di personaggi vestiti in abiti medievali in un contesto spettacolare. Altamente suggestivo il presepe vivente lucano che viene realizzato fra i Sassi di Matera, "il più grande presepe vivente mai realizzato al mondo".

I chodini vi augurano un Buon Natale e un Buon Anno!


Ci rivediamo online lunedì 9 gennaio. 

lunedì 19 dicembre 2016

Ferruccio Busoni (e altri)


(foto da internet)

Scriviamo volentieri un altro post a richiesta dopo la trsmissione del programma Salvados, di Jordi Évole, in cui venne intervistato il pianista James Rhodes. Nella puntata in questione, Rhodes interpretò la Ciaccona in Do minore di Bach, trascritta da Ferruccio Busonie parlò del valore salvifico della musica. 
Busoni nacque ad Empoli (Firenze) nel 1866. Fu avviato agli studi musicali dai genitori, entrambi musicisti -suo padre Ferdinando Busoni, apprezzato clarinettista, e sua madre Anna Weiss, triestina di origine bavarese, un'ottima pianista colta e sensibile-, divenendo compositore e pianista di grande fama. 
Busoni fu una figura complessa; fu giudicato frettolosamente un grandissimo pianista e un mediocre compositore.  Solo dopo la sua morte la critica si avvicinò con maggior serenità e rigore alle sue opere.


(foto da internet)

La sua immensa attività artistica è legata soprattutto alla monumentale trascrizione delle opere di Bach: l'edizione, nota sotto il nome di Bach-Busoni -pubblicata in sette volumi, venne terminata nel 1920, dopo oltre venti anni di duro lavoro-, possiede l'incredibile facoltà di trasformare il pianoforte in un'orchestra.   
Ferruccio Busoni apparve per la prima volta in pubblico, a Trieste, nel 1871, insieme con i genitori, che, consapevoli delle possibilità del ragazzo, non esitarono a sfruttare le sue singolari doti di virtuoso e lo avviarono a una intensa carriera concertistica. Nel 1874, si esibì per la prima volta come solista. Fin da giovanissimo iniziò a viaggiare e dall’Italia si trasferì a Vienna dove conobbe Brahms. Poi passò a Lipsia ed ebbe contatti con Tchajkovsky e in seguito, nel 1888, con Sibelius ad Helsinky. 


(foto da internet)

Nel 1890 si trasferì a Mosca, ed ottenne, per interessamento di Rubinstein, la cattedra di pianoforte nel conservatorio e vinse il premio Rubinstein con il Konzertstück op. 31 a, per pianoforte e orchestra. A Mosca conobbe Gerda Sjöstrand che divenne poco dopo sua moglie e fu preziosa collaboratrice nelle sue molteplici attività e gelosa custode della sua memoria.
Nel 1891 ricevette un invito dalla casa Steinway per recarsi negli Stati Uniti, dove rimase fino al 1894, quale insegnante di pianoforte nel New England Conservatory
Nel 1895 fece ritorno in Europa e si stabilì a Berlino, dove rimase fino al 1913. Alternò l'attività pianistica alla composizione e compose alcune tra le sue opere più significative, quali il Concerto in re maggiore per violino e orchestra,op. 35 a (1896-97) e il Concerto op. 39 per pianoforte, coro e orchestra. Nel 1905 iniziò la composizione della Turandot-Suite


(foto da internet)

Si cimentò anche con l'attività di librettista: volle realizzare un progetto di un'opera ispirata alla figura di Leonardo da Vinci in collaborazione con Gabriele D'Annunzio; tuttavia il connubio tra i due artisti non diede i risultati sperati e dopo un intenso scambio epistolare con il Vate, il musicista preferì rinunciare al progetto. 
A Berlino ricevette il riconoscimento della critica e di vere e proprie schiere di allievi che si rivolsero al maestro per essere iniziati ai valori più alti delle forme d'espressione musicale. Nel 1913 gli venne offerta la direzione del liceo musicale di Bologna che Busoni accolse con entusiasmo. 
Constatò, con certa amarezza, le condizioni della musica in Italia, chiusa entro i confini d'una tradizione teatrale dominata dalle figure di VerdiPuccini, Mascagni e Giordano. Il soggiorno a Bologna venne interrotto dallo scoppio della prima guerra mondiale, e Busoni decise di rifugiarsi in Svizzera. Nel 1915 si stabilì a Zurigo e vi rimase fino al 1920. Appartengono a quest'epoca il Rondò arlecchinesco op. 46 per orchestra e la Fantasia indiana per pianoforte e orchestra


(foto da internet)

Dopo la guerra manifestò il desiderio di tornare in Italia, ma la constatazione di non essere amato nel proprio paese lo spinse a recarsi, di nuovo, a Berlino, accettando la Meisterklasse di composizione presso l'Akademie der Künste. Dopo aver composto il Tanzwalzer op. 53 per orchestra e la Sonatina super Carmen, riprese l'attività di concertista e direttore d'orchestra attraverso l'Europa e nel 1922 si esibì anche a Roma. Morì a Berlino il 27 luglio 1924.
Torniamo al brano che che interpretò James Rhodes, nel programma Salvados. Si tratta della Ciaccona in Do minore di Bach trascritta da Busoni. La Ciaccona (Chacona o Chaconnedesigna un tipo di danza caratteristica spagnola, di origine cinquecentesca, nonché una forma musicale derivata dalla danza stessa.
Il termine fu successivamente applicato a qualsiasi opera in tempo moderato di 3/4, che consistesse, di solito, in alcune variazioni su di una linea di basso.



(foto da internet)

La Ciaccona di Bach venne composta originariamente per violino solo ed è l'ultimo movimento che chiude la Partita nº 2 (BWV 1004) (ascolta >>).
Vi proponiamo il brano trascritto da Busoni e interpretato al pianoforte da Rhodes (ascolta>>), e, in maniera magistrale, da Arturo Benedetti Michelangeli (ascolta>>).
Buon ascolto!




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venerdì 16 dicembre 2016

Il lardo (di Colonnata e di Arnad)


Alcuni studenti, dopo aver assaggiato la focaccia al lardo e rosmarino del ristorante Monviso, ci hanno chiesto lumi su questo prodotto. Lo facciamo volentieri. Vi presentiamo due tipi di lardo unici in Italia: il lardo di Colonnata a il lardo di Arnad. Il termine lardo deriva dal latino làrdum o làrinum e dal greco larinòs  (λαρινός), ovvero ingrassato, pingue.


(foto da internet)


Colonnata è un antico borgo, frazione del comune di Carrara, situato sulle pendici delle Alpi Apuane. È noto in tutto il mondo per le sue cave di marmo e per il lardo.
Il Lardo di Colonnata era anticamente il companatico dei cavatori di marmo delle Alpi Apuane, che lo affettavano e lo accompagnavano al pomodoro per condire le pagnotte rustiche. 
Un cibo preparato la mattina presto e destinato a sostenere per tutta la giornata i lavoratori delle cave, impegnati abitualmente a quasi 2000 metri di quota. Il lardo, e l'indispensabile fiasco di vino, doveva assicurare le calorie necessarie ad affrontare le ripide salite e la fatica degli scavi.
Il lardo ha origine attorno all'anno Mille, e la stagionatura avviene per un periodo tra i sei e i dieci mesi in speciali conche di marmo che si trovano in cantine o grotte scavate nella roccia. 


(foto da internet)

L'umidità naturale delle grotte e la porosità del marmo stabiliscono condizioni ideali per la maturazione. Le pareti delle conche vengono strofinate con aglio e il fondo ricoperto di sale marino, erbe e spezie.
Il lardo si adagia nelle conche in blocchi rettangolari la cui altezza può variare dai 3 agli 8 centimetri. Tra uno strato e l'altro si sistema una speciale salamoia composta di sale marino in grani, pepe nero macinato, rosmarino, aglio fresco e sbucciato spezzettato grossolanamente.
Questi sono gli ingredienti tassativi; comunque, ogni famiglia di produttori ha la propria ricetta che si tramanda di generazione in generazione.
Tra le spezie e le erbe aromatiche che possono conferire al lardo di Colonnata il suo particolare sapore vi sono anche la cannella, il coriandolo, la noce moscata, i chiodi di garofano, l'anice stellato, l'origano e la salvia.



(foto da internet)

All'interno è di colore bianco-rosato, qualche volta con la particolare striscia rosa che ne aumenta la bellezza e ne rende più intenso il gusto. I pezzi variano dai 4 agli 8 centimetri di spessore, per un peso da 0,5 kg a 1 kg.
Il profumo è fragrante e ricco di aromi mentre il gusto è delicato, quasi dolce, finemente sapido se proviene dalla zona delle natiche, arricchito dalle erbe aromatiche e dalle spezie usate nella lavorazione.
Si consuma ripulito dalla cotenna e dagli eventuali residui di sale, tagliato in fettine sottilissime adagiate su pane fresco, scaldato o appena abbrustolito.
Ideale accompagnamento sono, come per i cavatori di un tempo, il pomodoro e la cipolla crudi, senza alcun ulteriore condimento.
In alternativa può essere servito su pietanze calde, di carne o di pesce. Il sale della cotenna è ottimo per insaporire arrosti e grigliate, mentre la cotenna può essere cotta alla griglia o lessata per insalate di legumi e zuppe.


(foto da internet)

L'altro lardo rinomato in Italia è quello di Arnadun comune della bassa Valle d'Aosta. Questo lardo si caratterizza soprattutto per due elementi: il primo è l’alimentazione dei maiali da cui si ottiene, che è a base di castagne e ortaggi; il secondo è la stagionatura, per la quale sono utilizzati sale, aromi maturali, spezie, ed erbe di montagna.
I pezzi, di diversa dimensione a seconda del taglio e con un’altezza non inferiore a 3 cm, vengono ottenuti dal lardo della spalla e del dorso di suini di almeno nove mesi di età. Ogni pezzo conserva sul lato la cotenna. La parte esterna è di colore bianco con possibile presenza di un leggero strato di carne, mentre il cuore è normalmente rosato chiaro senza venature.


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Il metodo migliore per una conservazione prolungata del lardo consiste nel coprirlo di vino bianco e collocarlo in contenitori sigillati. Tradizionalmente il lardo di Arnad si gusta con il caratteristico pane scuro valdostano, il pan dur, spalmato con miele, che ne esalta il sapore gradevolmente dolce. 
Buon appetito!

mercoledì 14 dicembre 2016

La nuova Sala Lettura della Feltrinelli

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Una scaffalatura altissima, fatta a cuneo come tutto il resto del progetto degli architetti Herzog & de Meuron. Il vertice di quegli ultimi libri là in cima, si staglia contro il vetro totale di soffitto e pareti come una piramide conficcata in cielo. È quel che da ieri potranno vedere tutti coloro che vorranno approfittare della grande Sala di Lettura all’ultimo piano della nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.  


 
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Fino al 17 dicembre la programmazione ruoterà attorno al programma intitolato Voices and Borders. Cinque giorni di letture, proiezioni, incontri e spettacoli organizzati in collaborazione con Comune e Fondazione Cariplo per presentare quelle che la Fondazione ha chiamato «sfide di cittadinanza»: Partecipazione, Confini, Sostenibilità, Fonti e Memoria. Una giornata, una sfida. Ogni giorno fino alle 23. L’ultimo giorno le conclusioni affidate alla parola-chiave Echoes. Il programma di questi giorni vedrà in primo luogo alcuni tra i testi più significativi del patrimonio archivistico della Fondazione — da Ernesto Che Guevara a Malcolm X, da Salvador Allende a Michail Bakunin — tradotti in azione dalla compagnia del Teatro Filodrammatici con la regia di Igor Oddo. Fino al mese prossimo resterà inoltre allestita, in collaborazione con la Galleria Lia Rumma, l’installazione «Nineteen Locations of Meaning» dell’artista Joseph Kosuth. 

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«Una volta di più Milano all’avanguardia»: lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio di saluto inviato in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, la «Piramide», a Milano. «L’avveniristica struttura architettonica, che ospiterà al suo interno spazi di aggregazione, di incontro e discussione, è destinata a diventare un polo culturale e sociale di grande importanza non soltanto per la città di Milano». La nuova sede della Fondazione è un palazzo «della cultura, della ricerca, dell’innovazione, realizzato con capitali esclusivamente privati, ma con intenti di autentico servizio pubblico, che pone una volta di più - ha concluso il Capo dello Stato - Milano all’avanguardia».

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Ha detto il sindaco di Milano Giuseppe Sala: «La cultura è un fattore di attrattività e inclusione sociale. Il nostro obiettivo, oltre al bene di Milano, è volete qualcosa di più: Milano deve avere il coraggio e l’ambizione di essere luogo di riflessione collettiva e ricostruzione del pensiero», spiega. «Le grandi città hanno il dovere di lavorare sullo sviluppo della nostra vita, con opere è un pensiero che ridisegni la socialità e la nostra vita nel futuro».
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Fra i vari obiettivi della Fondazione, anche quello di diffondere la cultura e la cittadinanza europea. Un’iniziativa che il governatore della regione Lombardia, Roberto Maroni, ha detto di giudicare «In maniera molto positiva, perché c’è bisogno di rifondare o fondare una cultura europea. Noi non siamo contro l’Europa, ma per una nuova Europa che funzioni davvero. Uno stato federale che ancora non c’è: l’Europa dei popoli».

lunedì 12 dicembre 2016

Castel Gandolfo





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Papa Francesco, dopo aver rinunciato ad abitare nel palazzo apostolico di Città del Vaticano, ha deciso di chiudere un altro appartamento: quello di Castel Gandolfo. Da ottobre, infatti, il palazzo ai Castelli, residenza estiva dei pontefici dall'inizio del '600, è diventato un museo. Il Vaticano lo includerà alle altre stanze dell'edificio che da più di un anno sono visitabili da fedeli e turisti.
Le Ville Pontificie di Castel Gandolfo sono dei resti importanti di una delle più famose ville dell'antichità: l'Albanum Domitiani, la grandiosa residenza di campagna dell'imperatore Domiziano, la quale si sviluppava per circa 14 chilometri quadrati dalla Via Appia fino a comprendere il lago Albano




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Il borgo di Castel Gandolfo, forma parte dei cosiddetti Castelli Romani, una zona che si sviluppa sull’area dei Colli Albani, nell’antico territorio del Latius Vetus
I Castelli Romani possono essere suddivisi in tre grosse aree:  area Tuscolana (Colonna, Frascati, Grottaferrata, Monte Porzio Catone, Monte Compatri, Rocca di Papa e Rocca Priora), area Appia Albana (Albano Laziale, Ariccia e Castel Gandolfo) e area Lanuvina (Lanuvio, Genzano di Roma e Nemi).
I Castelli Romani sorsero, dopo la caduta dell’Impero Romano quando le famiglie iniziarono a costruire nella zona le loro fortificazioni e, durante il Medioevo, i primi castelli. Molti abitanti di Roma decisero di rifugiarsi nei castelli delle nobili famiglie romane tra le quali si annoverano i Savelli, gli Annibaldi, gli Orsini e i Colonna




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Grazie al sostegno economico delle famiglie facoltose queste zone conobbero da subito un grande sviluppo sociale, economico e politico. 
Nel 1870 la zona dei Castelli Romani venne annessa al Regno d’Italia e dopo poco crebbe anche dal punto di vista urbanistico, grazie alla costruzione della linea ferroviaria che collegava i Castelli con Roma
Il periodo di sviluppo economico e sociale venne bruscamente interrotto dalle due Guerre Mondiali, in seguito alle quali città come Frascati, Marino e Albano Laziale vennero rase al suolo.
Oggi i Castelli Romani sono considerati una delle migliori zone residenziali dei dintorni di Roma. Oltre alla bellezza dei luoghi, la zona è rinomata per la tipica cucina romana e per i prodotti caratteristici come la famosa porchetta di Ariccia e il vino bianco di Frascati. 





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Papa Urbano VIII fu il primo papa a soggiornare a Castel Gandolfo, nel XVIII secolo. Molti secoli dopo, Papa Francesco ha deciso di aprire al pubblico un'altra zona della splendida dimora: vi si può ammirare la Camera da Letto, una stanza bellissima, con le finestre rivolte al mare, che, dopo lo sbarco americano ad Anzio, nel gennaio del '44, e con l'infuriare delle ostilità in queste zone, venne riservata alle partorienti, tanto che proprio sul letto del Pontefice nacquero, in quei mesi, circa quaranta bambini che furono chiamati i figli del Papa




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Poi ancora una piccola Cappella Privata nella quale i papi si sono potuti recare a pregare in solitudine, e la Biblioteca e lo Studiolo dove i pontefici si sono dedicati a scrivere encicliche e preparare omelie. Quindi, due stanze riservate al segretario particolare e al segretario aggiunto. Poi il Salone degli Svizzeri, chiamato così giacché, un tempo, era adibito al corpo di guardia armato che, dal 1506, presta servizio al Papa. Per finire troviamo la Sala del Concistoro, che è stata utilizzata per le riunioni del collegio cardinalizio alla presenza del Papa.
La residenza di Castel Gandolfo fu molto amata da alcuni papi: a Giovanni XXIII piaceva andarsene a spasso, senza avvertire nessuno, nei paesi vicini o sulle magnifiche colline, e Pio XI vi creò una fattoria con le coltivazioni, il pollaio e le mucche da latte, che ancora oggi rifornisce giornalmente dei suoi prodotti la Città del Vaticano.



venerdì 9 dicembre 2016

Di barbieri e di pali



(foto da internet)


Ad ottobre, a Roma, si è tenuto il primo raduno di barbieri. Circa 2000 partecipanti si sono sfidati in gare di taglio e hanno confrontato tecniche e stili diversi.
Ci siamo ricordati di un'insegna curiosa: il palo del barbiere, un’insegna antichissima che distingue questa attività sin dal Medioevo. Si tratta di un’asta con un pomo di bronzo all’estremità, e una spirale di strisce bianche e rosse che ne percorre la lunghezza (nella versione americana, compare anche il colore blu).
Il palo era associato alle caratteristiche delle attività che il barbiere svolgeva: salassi, suture, estrazioni denti, ricomposizione delle fratture, estrazione di denti marci e rimozione di pidocchi, pulci e zecche, con conseguente spargimento di sangue. Questo rappresentava, quindi, bende insanguinate avvolte intorno a un palo.






(foto da internet)

Probabilmente il palo originale aveva anche un lavabo in ottone nella parte superiore (a rappresentare il vaso nel quale si raccolgono le sanguisughe) e un vaso inferiore (che rappresenta il bacino di raccolta del sangue).
Dal tonsor romano al Figaro, il barbiere è stata una figura di spicco nella vita quotidiana.
Il tonsor nell'antica Roma svolgeva le funzioni sia di barbiere, per il taglio della barba, che di parrucchiere per le acconciature dei capelli. La tonstrina era un luogo d'incontro, di pettegolezzi, di scambio di notizie, un vero salotto di varia umanità. Alcuni tonsores assai maldestri furono oggetto poetico, ad esempio, di Marziale, il quale, nei suoi Epigrammi (XI, 84),  ironizza sulle capacità del barbiere Antioco

Unus de cunctis animalibus hircus habet
Barbatus vivit, ne ferat Antiochum.


Unico di tutti gli animali il caprone ha buon senso:
vive barbuto per non vedersela con Antioco


Figaro, invece, il personaggio delle Nozze di Figaro (vedi>>) di Mozart e de Il barbiere di Siviglia (il factotum della città!) di Rossini, e grazie al grande successo di queste opere, è divenuto un modo scherzoso e bonariamente ironico per indicare questa professione.





(foto da internet)

Torniamo al palo del barbiere: come abbiamo segnalato, la versione con il colore blu è americana, probabilmente in omaggio ai colori della bandiera Usa. Un'altra teoria vuole che il palo yankee abbia il colore rosso per il sangue arterioso, quello blu per il sangue venoso e il color bianco per le fasciature.
Fu il primo Concilio Lateranense, nel 1123, a sancire il divieto, imposto ai sacerdoti cattolici e ai diaconi, di praticare la medicina a discapito della loro funzione ecclesiastica. Costoro, infatti, fino ad allora, curavano i malati e spesso eseguivano piccole operazioni.  Dal divieto in poi, e per circa un secolo, furono proprio i barbieri ad assumere questo ruolo.




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Il servizio più importante da essi eseguito era il salasso, una pratica medica allora molto usata. I chirurghi veri e propri ritenevano l’arte del salasso una pratica minore e spedivano dal barbiere tutti i pazienti curabili con un semplice prelievo di sangue.
Allo scopo di rendere nota la propria attività, nelle città medievali le botteghe dei barbieri iniziarono ad usare il palo a strisce come simbolo che pubblicizzasse i servizi offerti. 
Oggigiorno l'uso di questo tipo di insegna è molto ridotto, ed è limitato solitamente a quelle attività che vogliono mantenere uno stile tradizionale; comunque, fa piacere trovare ancora, in qualche vecchia barbieria, il vecchio palo bianco-rosso.


mercoledì 7 dicembre 2016

Marketing e sociologia casalinghi

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I professionisti della pubblicità sbarcano a Voghera. Dalla casalinga. Era giusto mezzo secolo fa che si iniziò a parlare della casalinga di Voghera: quando la Rai faceva indagini sulla comprensione dei fatti di cronaca, proprio questa categoria sociale di questa cittadina del Pavese risultava quella in fondo alla classifica. Insomma, capiva poco di tutto. E da allora, complice Alberto Arbasino che riprese l'espressione nei suoi articoli, la casalinga di Voghera è diventato il simbolo della persona qualsiasi, dell'uomo (cioè donna) della strada. Per questo l'agenzia di comunicazione milanese Le Balene ha deciso di farsi ospitare da una casalinga di Voghera per una settimana, lavorando a casa sua, "per stare a contatto con le persone vere, che secondo noi la pubblicità ignora sempre di più, preferendo parlare a se stessa"

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(foto da internet)


Da colazione al dopocena i pubblicitari hanno lavorato nel tinello-studio della signora Michela, ricevendo i clienti (hanno debuttato una azienda di energia e un sito di annunci immobiliari) e discutendo con loro come sempre strategie di comunicazione e di pubblicità, ma con Michela e gli altri pronti a partecipare e dare consigli e pareri. "I clienti le hanno chiesto più volte se quello di cui parlavamo fosse comprensibile e convincente, in fondo è a lei che ci rivolgiamo e si sono molto divertiti. Certo, ha un effetto straniante parlare qui, con la stufa a pellet e i peluche della figia, anziché in un ufficio come sempre. Ma forse per questo ho notato più concretezza in tutti noi".

Casalinga di Voghera 2.0, i creativi portano l'ufficio nel tinello: "E lì testiamo il marketing" 
(foto da www.repubblica.it)

La scelta della famiglia è avvenuta in modo originale: uno dei creativi è andato al mercato di Voghera vestito da uomo sandwich, con un cartellone che diceva "Pòrtat a cà tri fiulòt d'la reclàm", ovvero "Portati a casa tre ragazzi della pubblicità" nel dialetto locale. Molte casalinghe si sono avvicinate curiose e sono iniziati i casting, pardon i colloqui. "Ne abbiamo selezionate 7/8 e abbiamo approfondito il discorso. Michela ci ha convinto per il suo entusiasmo e la voglia di vivere con noi per qualche giorno. Perché non ci limitiamo al lavoro: con lei parliamo, mangiamo, e tra l'altro è pure una grande cuoca, passeggiamo, andiamo al mercato con lei. Chi meglio di una persona così potrà farci capire cosa si aspettano oggi gli italiani da un prodotto o da una campagna pubblicitaria? La vita vissuta è sempre più sincera rispetto a quella prodotta da una ricerca di laboratorio".
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(foto da internet)

L'obiettivo era far interagire quattro aziende (Philips, Sorgenia, Casa.it e Action Aid) con una famiglia-tipo italiana per favorire uno scambio di idee diretto e senza filtri. Così il soggiorno di Michela si è trasformato in una sala riunioni e le campagne pubblicitarie sono nate sul divano e in cucina, con dirette streaming dal bagno per testare gli elettrodomestici e organizzare le pulizie di casa. Un esperimento di mobile working che si è concluso con 24 ore di lavoro no stop in cui i pubblicitari hanno presentato ai quattro brand i progetti realizzati nel corso della settimana.

lunedì 5 dicembre 2016

Via Margutta 51A



(foto da intenet)

Via Margutta 51A è un indirizzo mitico nella storia del cinema. Via Margutta si trova a Roma, in pieno centro, nel rione Campo Marzio, alle pendici del Pincio
Negli anni ‘50, dopo il film Vacanze romane, diventò una strada esclusiva, residenza di personaggi famosi, tra cui il regista Federico Fellini, le attrici Giulietta Masina e Anna Magnani, e il pittore Giorgio de Chirico.



(foto da internet)

Via Margutta, in origine, era una stradina sul retro dei palazzi di Via del Babuino, dove si trovavano magazzini e scuderie. Nel medioevo un ignoto artista istituì la prima bottega dove si facevano ritratti, fontane e ringhiere: fu l’inizio di una fiorente industria che attirò la migrazione di artisti che lentamente costruirono case, botteghe e giardini sostituendo baracche, stalle ed orti. Via Margutta fino al 1600 si chiamava via dei Nari dall'omonimo casato di una famiglia che aveva in quella zona case e terreni. Secondo alcuni l'attuale nome dovrebbe derivare dal soprannome Margutte di un barbiere, di nome Giovanni, che aveva la bottega in quella strada. Secondo altri, invece, sembrerebbe che il cognome del suddetto Giovanni fosse Margut: in effetti a Roma, nel XV secolo, era registrato un casato con un tale nome.


(foto da internet)

In questa via, si tiene annualmente una mostra di pittura: cento Pittori a Via Margutta, un importante rassegna patrocinata da Comune e dalla Provincia di Roma, dalla Regione Lazio, e che, da molti anni, costituisce un interessante appuntamento per appassionati d'arte che trasforma Via Margutta in una galleria d'arte all'aperto.
Nella via si possono ammirare alcuni monumenti di interesse storico, come, ad esempio, il Palazzo Patrizi Nari (XIX secolo), la Fontana delle Arti (1927) e il Collegio Torlonia (XIX secolo). Via Margutta, come abbiamo detto poc'anzi, ebbe grande fama nel 1953 grazie al film Vacanze romane di William Wyler, con Audrey Hepburn e Gregory Peck.
Wyler convinse il proprietario dell'immobile (lo scultore Alcide Ticò) a girare all'interno dell'abitazione alcune scene che diedero fama mondiale al soppalco della sua casa, e la fecero diventare una delle location più famose al mondo, meta, ancor oggi, a più di sessant'anni anni di distanza, di pellegrinaggi culturali. 
Proprio a Via Margutta 51A, nel 1952, un tassista faceva scendere dalla sua automobile Audrey Hepburn e Gregory Peck.


(foto da internet)

Ultimo depositario di questa fantastica storia è Fabrizio Falconi, portiere, da dodici anni, del palazzo in cui si girò il film. I turisti che accorrono a vedere i luoghi delle riprese sono dirottati da Falconi nel cortile, dato che non è possibile visitare l'appartamento di Gregory Peck-Joe Bradleyluogo indelebile nell'immaginario collettivo di chi ha adorato la storia d'amore tra il giornalista Joe e la principessa Anna




(foto da internet)

p.s. si racconta che alle riprese girate in esterni di Vacanze romane assistevano migliaia di romani. Il regista Wyler ascoltava attentamente le reazioni della gente: se sentiva dire "un'altra, giratela un'altra volta", lo faceva, e se, invece, sentiva commenti come "buona, questa è buona", si fidava del pubblico e teneva la scena. 
Oggi, lontani nel tempo, vorremmo rivedere la principessa Anna e Joe Bradley (un'altra volta! Un'altra volta!) nella casa di Via Margutta 51A!