lunedì 29 novembre 2010

Pasta reale


(Foto da angiecafiero.it)

La gastronomia siciliana è indissolubilmente legata ai popoli che l'hanno abitata. Ma sono stati gli Arabi quelli che hanno lasciato segni indelebili nella gastronomia siciliana: ancora oggi albicocche, zucchero, agrumi, pistacchi, mandorle e spezie sono i pilastri della cucina siciliana. E questi ingredienti lasciano la propria impronta nel gusto dolce di primi e secondi piatti e, com'è ovvio, soprattutto nei dolci.

Primo fra tutti il marzapane (dall’arabo manthaban), arrivato sull’isola dopo la dominazione musulmana e che le monache del Convento della Chiesa di Martorana a Palermo usavano per elaborare curiosi dolcetti con le forme e i colori di diversi frutti che si preparavano in occasione della festa di Ognissanti (vi ricorda qualcosa?). È per questo che il marzapane a Palermo viene denominato anche Frutta di Martorana. Per fortuna gli arabi dimenticarono nell'isola alcuni alambicchi, apparecchi fondamentali per l'elaborazione dell'acqua di fiori d'arancio, ingrediente imprescindibile della pasta di mandorle. Questi dolci invece in Campania ed in Puglia si mangiano soprattutto durante le feste natalizie.


L'impasto del marzapane, è conosciuto però in tutta la Sicilia con un altro nome: pasta reale, termine che assume diversi significati a seconda del luogo in cui ci troviamo: nell'accezione più tradizionale per "Pasta Reale" si intende la pasta di mandorle siciliana; esistono poi delle varianti salate tipo quella emiliana, detta anche zuppa imperiale, una frittata a base di uova, farina, burro, parmigiano e noce moscata che si inforna, si taglia a dadini e si fa cuocere alcuni minuti in brodo; ma si chiama"Pasta Reale" anche quell'impasto a base di acqua, burro, farina e uova con cui vengono formati degli gnocchetti che vengono serviti con brodo bollente e parmigiano grattuggiato.
Se volete preparare i diversi tipi di pasta reale, cliccate sui nomi dei diversi dolci e buon appetito!

venerdì 26 novembre 2010

Gigi Meroni (in memoriam)

(foto da internet)

Luigi Meroni, detto Gigi, fu uno squisito attaccante del Genoa e del Torino.
Morì giovanissimo, a soli ventiquattro anni, quando aveva ormai acquisito fama internazionale, investito da un'auto mentre attraversava un viale del capoluogo piemontese.
Orfano di padre dall'età di due anni. visse in gravi difficoltà economiche e si dovette impiegare giovanissimo in un laboratorio che fabbricava cravatte!
Crebbe calcisticamente nel Como e venne ceduto posteriormente al Genoa, la più antica squadra di calcio italiana, che all'epoca riviveva un momento di rilancio.
Nella città della Lanterna, Meroni ebbe momenti di grande notorietà. Nel 1964 fu ceduto, per 450 milioni di lire di allora, al Torino allenato da Nereo Rocco.
Partecipò, con la maglia della Nazionale, alla spedizione guidata da Edmondo Fabbri ai mondiali di Inghilterra del 1966.
Nell'Italia bigotta e benpensante di allora, venne definito il Calciatore-artista, per le sue prodezze fuori dagli schemi del catenaccio nostrano, il Beatle italiano, a causa della folta capigliatura e della barba, lo Ye-ye nazionale, e chi più ne ha, più ne metta....
Fu impossibile imbrigliare Gigi Meroni in un'unica ed esatta definizione; fu impossibile portare all'interno degli schemi precisi di quei tempi un personaggio così multiforme, una specie di eroe omerico moderno affascinante, perseguitato dal destino.
Non c'erano riusciti gli allenatori, i compagni di squadra, e neppure la critica sportiva. Meroni fu interprete originalissimo di un calcio e di un paese che stava affacciandosi alle rivolte sociali della fine degli anni '60. Il numero 7 del Toro fu, nel calcio italiano, il maggiore e forse l'unico interprete della domanda di libertà che investì l'universo giovanile di quegli anni.
Meroni fu calciatore estroso e imprevedibile, capace di gol e invenzioni impossibili, noto in tutto il mondo per il gioco particolarissimo, per la capigliatura e per le stravaganze estetiche.
Fu un personaggio inquieto e geniale: pittore e creatore del proprio inimitabile abbigliamento, ribelle, anarchico, protagonista di un amore difficile e invincibile con una donna sposata.
La sera del 15 ottobre del 1967, dopo l'incontro contro la Sampdoria dominato dai granata per 4-2, Meroni perse la vita nel centro di Torino in un banale incidente.


(foto da internet)

La Fiat 124 Coupé che lo uccise era guidata da Attilio Romero, un diciannovenne neopatentato, di buona famiglia, tifosissimo del Toro e grande fan di Meroni.
Molti anni dopo, nel giugno del 2000 -ironia della sorte-, Romero sarebbe divenuto presidente della squadra granata.
Più di 20.000 persone parteciparono ai suoi funerali, e il lutto scosse la città.
La chiesa cattolica si oppose alle esequie e criticò aspramente don Francesco Ferraudo, cappellano del Torino calcio, per aver celebrato le onoranze funebri di un "peccatore pubblico" con riti religiosi.
Meroni conviveva, infatti, con una ragazza di origine polacca, Cristiana Uderstadt, che all'epoca era ancora ufficialmente sposata con un regista romano.
Il quotidiano torinese La Stampa si unì alle richieste dei prelati e organizzò un movimento d'opinione per chiedere provvedimenti disciplinari contro il sacerdote.
Molti anni dopo, Nando Dalla Chiesa dedicò un libro al giocatore scomparso, intitolato La farfalla granata in cui si narra la storia di un campione, di un uomo e di un'intera generazione
che divenne adulta negli anni '60 con l'immagine del Che Guevara e con quella di Marilyn Monroe.
Per chiudere, vi proponiamo una canzone scritta dal gruppo musicale Yo Yo Mundi, dedicata all'indimenticabile numero 7 del Toro e intitolata Chi si ricorda di Gigi Meroni?.

mercoledì 24 novembre 2010

Addio ai cafonal!


(foto da internet)


Addio parolacce, dita nel naso e biancheria a vista. Il popolo dei cafoni ha le ore contate. A sorpassarlo arriva l'esercito dei «metropuritani», riconoscibili dall'abito composto e dai modi squisiti. È una tendenza che viene dall’America, e vieni dai fan di «Mad Men» - la serie televisiva americana retrò di Matthew Weiner – che sta recuperando il savoir faire degli Anni 60.
Beh, certo, la crisi, si legge sulle pagine di «Elle France» - ha ucciso la moda «bling- bling» tutta ori e lustrini da arricchiti. Ma chi avrebbe mai detto che Google e Youtube fossero le più potenti alleate del bon ton, visto che sono una minaccia permanente, e nessuno vuol vedere le sue performance, non politicamente corrette, su YouTube scattate durante un party «troppo allegro»? Attenzione, quando diciamo nessuno ci riferiamo a nessun essere umano "normale", con un po' di buon senso, giacché questa regola non sembra applicabile ai VIP o ai politici italiani….





(foto da internet)


Ormai le figlie del rock che fumano come ciminiere e bestemmiano come carrettieri hanno fatto il loro tempo. In caduta libera Mario Balotelli, del quale ormai si parla solo se e quando segna, come pure Naomi Campbell con le sue scenate sopra le righe troppo ripetute e ripetitive per non essere stucchevoli. E che dire di Eto’o o Kate Moss? Completamente sorpassati!



L'atteggiamento vincente che monta nell'aria è quello dell'educazione inappuntabile. Comportarsi a tavola come si deve: lei che accavalla le gambe tenendo strette le ginocchia per non esibire gli slip; lui che cede il passo al gentil sesso..., insomma da vere lady e da autentici gentleman. Lo conferma Derek Blasberg nel suo libro «Classy» (ed. Razorbill), che insegna come stare al mondo nel 2010, “manuale” che sta andando a ruba nella boutique parigina iper trendy «Colette»: «Persone da ascoltare e guardare con piacere, capaci di lasciare spento il cellulare, quando sono a cena in compagnia». Un segno dei tempi. Perciò non sembra mica un caso che in Inghilterra ci sia la rivista «The Gentlewoman», una vera e propria bibbia del garbo ritrovato.




(foto da www.lastampa.it)


Adottare i codici borghesi, sostengono gli esperti, è un antidoto all'indecenza dilagante. Semplifica i rapporti e serve a vivere meglio.
Morale della favola: ci si riveste con gusto e attenzione per certe occasioni. Gli abiti da cocktail e gli smoking rivivono un momento di gloria, si riacciuffano dal dimenticatoio guanti e cappello; in più si riassapora il gusto di ricevere in casa con tutti i crismi, rispolverando il servizio buono di famiglia. Fra le signore è diventata una gara apparecchiare le tavole con cura, mentre i mariti servono gli aperitivi. E gli invitati sanno che non possono toccare cibo finché la padrona di casa non inizia a degustare.


(foto da internet)


Perché questo rigurgito di buone maniere proprio adesso? «La buona educazione è uno scudo che ci protegge da un mondo difficile», dice lo storico Frederickc Rouvillois, autore de L'histoire de la politesse. Come dire: serve a oliare gli ingranaggi di una società che si orienta pericolosamente verso l'intolleranza zero e ne stempera le aggressività.

Udite, udite, secondo i sondaggi, chi è ben educato è visto come una perla rara dalle aziende, quindi trova più facilmente lavoro.


Chi l'etichetta non l'ha succhiata con il biberon deve «riperticare» le regole con disinvoltura. Partendo dai fondamentali non si sbaglia, ricordate le tre parole chiave: «buongiorno, grazie, scusi», visto che non basta scrivere a mano gli inviti su cartoncini Bristol (come fa da sempre Karl Lagerfeld), dove è di rigore aggiungere «RSVP» e ovviamente rispondere.


Attenzione, questo non significa comportarsi da bigotti. Oggi sembra più sovversivo cenare a lume di candela che partecipare a un after-hour (un fuori orario).

Concusione: i borghesi sono i nuovi punk.

lunedì 22 novembre 2010

Commedia leggera o agrodolce?


La commedia è per definizione un genere leggero, generalmente caratterizzato dalla rappresentazione di situazioni trattate in modo poco impegnativo e divertente.



E la leggerezza è il pregio principale di Lezioni di cioccolato, uno dei film che vedrete venerdì 26 novembre. Il cacao inteso come passione e divertimento. Mattia, titolare di una piccola impresa edile prende l’identità di un suo manovale egiziano ed è costretto a seguire al suo posto un corso di pasticceria organizzato da una grande azienda dolciaria. Equivoci, gag e lieto fine. Un film da assaporare con leggerezza. Sulla scia di Chocolat, un ennesimo omaggio cinematografico al cibo degli dèi.
Trama:
Mattia, titolare di una piccola impresa edile, viene costretto da un suo manovale che ha avuto un incidente e si è rotto le braccia per causa sua, a prendere la sua identità. Il manovale, un egiziano che ha il sogno di diventare pasticciere, si è infatti iscritto ad un corso, organizzato da una grande azienda dolciaria. Sono stati scelti 6 gourmet dilettanti ma già esperti che, guidati da un Maestro d'Arte Cioccolatiera, impareranno a inventare cioccolatini. Il migliore vincerà un finanziamento per aprire una cioccolateria. A darsi battaglia, a colpi di gag e cioccolato, il siciliano trendy-choc Corrado, il burbero veneto Milo, la zitella d'assalto Letizia, il vulcanico Luigi. (da Trovacinema.it)



Ma non tutte le commedie sono caratterizzate dalla stessa spensieratezza, anzi alcune mantengono lo spettatore tra le lacrime e il riso, come succede ne La lingua del santo di Carlo Mazzacurati. Una commedia agrodolce che narra con ironico realismo le avventure tragiche e comiche al contempo di due persone disperate alla ricerca di un colpo di fortuna che si materializza in una reliquia di incalcolabile valore, rubata in modo del tutto casuale.
Fabrizio Bentivoglio, uno dei protagonisti del film afferma:
Il nostro è un film che porta la gente dell’Italia precaria sullo schermo, anche se sembra a volte una favola intinta in un realismo picaresco. Basta togliere lo smalto dei colori, delle battute e situazioni comiche: ritrovi la vita delle persone nei bar, i problemi della solitudine, degli amori che si consumano, della pagnotta. È la commedia della vita italiana, non quella del cinema e tantomeno della tv.
Trama:
Willy, detto Alain Delon, guarda la laguna, l'unico luogo dove la sua mente diventa più chiara. Lui, ex rappresentante di articoli di cancelleria di lusso, separato da Patrizia, l'unica donna della sua vita con la quale ha vissuto per 23 anni e tre mesi, è scivolato verso il fondo e non riesce più a risalire. Condivide il suo destino di quarantenne in ritirata con Antonio, giocatore di rugby, buono ormai solo a tirare i calci piazzati. Insieme frequentano uno squallido bar e formano una coppia incensurata e maldestra di ladri. Quando, per caso, si trovano tra le mani una reliquia di Sant'Antonio, la loro vita sembra destinata a cambiare grazie ad un riscatto miliardario. (Da filmscoop.it)
Vi consigliamo vivamente la visione di questo commovente affresco di una realtà italiana un po' diversa da quella che solitamente fa capolino nel cinema italiano.

venerdì 19 novembre 2010

Bunga bunga (e dintorni)

Nel 1947, poco dopo la fine della guerra, una canzone intitolata Civilization -in italiano adottò il suggestivo titolo di Bongo Bongo Bongo-, è in testa nella hit parade.
La canta, a modo suo, il grande Natalino Otto, iniziatore del genere swing nel nostro paese. La canzone, interpretata da Renzo Arbore, è questa:



Ebbene, molti anni dopo, ci siamo risvegliati con questo motivetto nell'orecchio a causa di una giovane ragazza marocchina che, a quanto pare, avrebbe frequentato le feste organizzate da Berlusconi (sì, il nostro premier!) nella sua villa di Arcore. Questi i fatti:



Oltre a rispolvere, per l'occasione, la sopraccitata canzone i tormentoni sul Bongo Bongo (o Bunga Bunga, versione 2010) hanno invaso il web. Ve ne proponiamo alcuni:

a) quella di Elio e le storie tese:



b) la versione radiofonica del deputato futurista Luca Barbareschi:



c) Il Bunga party:



Meglio, comunque, la versione originale di Natalino Otto e il mitico duetto tra la Carrà e l'indimenticabile Alberto Sordi.
Come siamo caduti in basso (anche musicalmente)!

mercoledì 17 novembre 2010

Vieni via con me

(foto da internet)



In un Italia così sgangherata fa piacere leggere una notizia un po’ edificante: su RaiTre record di ascolti per la prima puntata di “Vieni via con me", con Fabio Fazio e Roberto Saviano, che nel suo primo intervento cita temi caldi della politica e società italiana.


Ma se è vero che «nella televisione italiana il diritto a parlare lo conquisti con gli ascolti», tutto fa pensare che questo programma meriti una rubrica quotidiana su una rete Rai. Perché la prima puntata di Vieni via con me , spazio faticosamente conquistato dopo le contrarietà dei capi della Rai e le polemiche, di pubblico ne ha conquistato parecchio, battendo un record di cui Rai tre, da più di dieci anni, non avrebbe neanche osato immaginare.



(foto da internet)


C’è il Paese, la gente comune e ci sono gli elenchi: da questi tre punti il programma parte per un viaggio in Italia attraverso incognite, antinomie, incertezze ma pure prospettive, aspirazioni, speranze. C’è una signora di 88 anni che prende 500 euro di pensione e dice di aver lottato una vita per un'Italia più giusta «e ancora spero di vederla». C’è una giovane precaria che fa la lista di tutti i lavori che ha fatto per pagarsi l'università. C’è una suora che vuole la moschea a Torino e ne spiega il perché.



(foto da internet)


La leggerezza di Fabio Fazio - co-conduttore insieme all'autore di Gomorra - che ha elencato «le prostitute che lavoravano a Pompei prima dell'eruzione, quelle colte e raffinate che si vendevano per influenzare i clienti potenti che gestivano la politica. Poi è crollato tutto ma il crollo continua ancora adesso». La linearità con cui lo stesso Saviano ha illustrato il meccanismo della macchina del fango, quel meccanismo che «mette a rischio la democrazia», e finisce per incrinare la libertà di espressione.



L’ironia coraggiosa con cui Nichi Vendola ha sciorinato ventisette modi per dire omosessuale, ma pure le drammatiche forme di "espiazione" loro riservate.




Roberto Benigni che ha travolto trascinato e, come no, emozionato cantandola, la canzone che dà il titolo al programma, Vieni via con me. Infine, mentre sullo sfondo campeggiavano le immagini del crollo di Pompei, Claudio Abbado che ha difeso la cultura dai tagli perché «la cultura è un bene comune e primario, è come l'acqua, come la vita e la vita è bella ».









Vi lasciamo con Vieni via con me!!! It's wonderful!!!

lunedì 15 novembre 2010

Due letterine che hanno rivoluzionato il mondo


(foto da internet)

Eh, sì, proprio la parolina più globale che ci sia,“OK ”, quella più usata, per non dire abusata, viene da un errore di ortografia. Un libro ricostruisce le origini dell'abbreviazione che fu introdotta negli Usa a metà Ottocento. Una vicenda che lo storico della lingua, Allan Metcalf, dell'American Dialect Society, ha ricostruito nel suo Ok: The Improbable Story of America's Greatest Word, in libreria, in Italia, il 9 novembre scorso.

E, ok, forse duecento pagine per una storia da due lettere potranno sembrare troppe, ma quella sillaba che ha fatto il giro del pianeta non è forse la più grande invenzione americana?Se volete cercare quante volte appare sul web è come riempire il mare col secchiello: l'uso dell'ok è universale. E che dire dell'abuso che ne fanno gli italiani?


(foto da internet)

E pensare che nacque per scherzo e a strapparlo dall'oblio ci pensò una campagna elettorale...

Il papà di quella parolina, Charles Gordon Greene, non pensava certo che avrebbe avuto fortuna: (altrimenti l'avrebbe brevettata). L'editore del Boston Morning Post creava abitualmente acronimi per i suoi lettori: una lingua per fedelissimi simile a quella usata oggi su internet. Mister Greene inzeppava i suoi articoli di "NG" cioè no go, (non andare). "GC", gin cocktail, etc. Finché, il 23 marzo 1839, in una disputa con il rivale Providence Journal gli scappò quel "o. k." che, specificò, significava "all correct".

Ma perché con la O e con la K?
L'abbreviazione scorretta, arguisce Metcalf, era simile alla pronuncia. Come altre abbreviazioni usate sul giornale: per esempio "ow" per all right, tutto bene.
Non se ne sarebbe parlato, però, se di mezzo non ci fosse un presidente. Leggenda vuole che l'inventore dell'ok sia stato il populista e massacratore d'indiani Andrew Jackson, accusato dai suoi avversari di essere un illetterato. Nel 1828 produssero una sua finta e sgrammaticata lettera che ottenne l'effetto opposto: una valanga di voti. Non ci sono prove che siglasse i documenti davvero ok, oll korrect, m
a di certo sdoganò l'uso della K al posto della C.


(foto da internet)



Fu ancora un altro presidente a dare popolarità a quella parolina: Martin van Buren, nel 1840, in cerca di un secondo mandato. Veniva da Kinderhook, New York. E i suoi sostenitori lo chiamarono OK,Old Kinderhook, che nel nuovo significato stava anche per l'uomo giusto. Fu una campagna elettorale spettacolare. La sillaba campeggiò su ogni cartello, battezzò nuovi club. E una rissa diede vita al suo contrario, K. O.: che stava per kicked over, (espulsi, e non per il pugilistico knock-out). Da allora Ok è diventata abbreviativo diffuso fra i telegrafisti prima e i telefonisti poi.

Il cinema ci ha messo del suo e Ok è diventato così popolare da essere la prima parola pronunciata sulla Luna, fino all'ultima rivoluzione: i messaggini telefonici che hanno amplificato all'infinito il suo uso.
(tratto da www.repubblica.it)

In Italia il termine OK si è diffuso a partire dal 1943, quando le truppe statunitensi sbarcarono in Sicilia ed iniziarono la campagna militare che li avrebbe portati a risalire tutta la penisola. Da allora ha invaso la lingua in tal modo che è la parola più usata. D'altro canto, provate pure a cercare una parolina più efficace di OK e poi ce lo direte?


OK Italia???




venerdì 12 novembre 2010

L'Italia che crolla


(foto da internet)

La metafora del titolo è ormai inflazionata, ma a Pompei è davvero crollata la Domus dei Gladiatori, il cui nome classico è Schola Armaturarum Juventis Pompeiani, un edificio risalente agli ultimi anni di vita della città romana prima che l'eruzione la seppellisse.
La casa, secondo gli studiosi, doveva fungere da sede di una associazione militare e deposito di armature. L'ampia sala dove si allenavano i gladiatori era chiusa con un cancello di legno. Su una delle pareti apparivano gli incassi che contenevano delle scaffalature con le armature stesse che furono infatti ritrovate nello scavo.
La decorazione dipinta, persa nel crollo, richiamava al carattere militare dell'edificio: trofei di armi, foglie di palma, vittorie alate, candelabri con aquila e globi.
La casa attualmente non era visitabile internamente, ma si poteva osservare solo dall'esterno. Il Presidente Napolitano ha affermato che "quello che è accaduto a Pompei dobbiamo, tutti, sentirlo come una vergogna per l’Italia". Proviamoci.
Il crollo, secondo primi accertamenti, è avvenuto nelle prime ore del mattino ed è stato notato dai custodi appena arrivati al lavoro. La Domus è sulla via principale, via dell'Abbondanza, quella maggiormente percorsa dai turisti, in direzione Porta Anfiteatro.
Il disastro sarebbe dovuto al dissesto che ha provocato uno smottamento provocato dal terrapieno che si trova a ridosso della costruzione e che per effetto delle abbondanti piogge di questi giorni era completamente imbibito d’acqua.
Il crollo del tetto ha determinato la distruzione di parte delle murature, della facciata e dello spigolo dell’abitazione nell’insula adiacente.
Il sindaco di Pompei, Claudio d’Alessio, sostiene che "il crollo va attribuito ad un intero sistema che ha sottovalutato questo grande patrimonio e che non ha riposto attenzione sugli scavi di Pompei".
Allora, Pompei crolla, i musei italiani chiudono per mancanza di fondi e il ministro Bondi (competente?) se ne lava le mani. Niente di nuovo sotto il sole.
Nel frattempo Federculture ha indetto una giornata di mobilitazione scegliendo di “chiudere” i luoghi simbolo dell’arte per riaccendere il dibattito sul diritto negato alla cultura.



(foto da internet)

Oltre al disastro di Pompei, crolli e incuria si sono ormai registrati in tutta Italia: a Roma, alla Domus Aurea e alle Mura Aureliane, in Sicilia nella villa romana di Piazza Armerina alle terme romane di Montegrotto a Padova, alla necropoli etrusca di Cerveteri. A rischio crollo sono gli ipogei ellenistici di Lagrasta e Cerbero in Puglia, le torri di Bologna, la cupola del Brunelleschi a Firenze e la villa reale di Monza.
Le manutenzioni ordinarie di siti prestigiosi sono ferme da più di vent’anni.
Chi aveva detto che l'Italia ha il più grande patrimonio artistico del mondo?
La soluzione? Inesistente... o forse ce n'è una; forse potremmo chiedere qualche soldo alla nipote di Mubarak, o direttamente a suo zio, chissà...

mercoledì 10 novembre 2010

Fra lacrime e risate



DRAMEDY
Definizione di recente concezione indica quella categoria di film che non possono essere classificati né come commedie né come film drammatici, perché in realtà sono una via di mezzo fra le due tipologie.
Questo è il genere a cui appartiene Mine vaganti, il primo film che il dipartimento d'italiano della EOI di Sagunto vi propone per venerdì 12 novembre. È un ritorno alle origini di Ferzan Ozpetek, che realizzò precedentemente un'altra pellicola di questo tipo, Le fate ignoranti, che lo ha reso famoso a livello mondiale.

Trama:
Nella casa c'è molta attesa per il ritorno di Tommaso. La mamma Stefania il padre Vincenzo , la zia Luciana, la nonna e la sorella Elena, vorrebbero tutti che Tommaso affiancasse il fratello Antonio nella nuova gestione del pastificio di famiglia. Non mancano però colpi di scena ed il soggiorno di Tommaso si protrarrà più a lungo del previsto...





MOCKUMENTARY

Dalla fusione delle parole inglesi mock=finto e documentary=documentario) è un genere cinematografico nel quale degli eventi fittizi, appositamente realizzati per la trama, sono presentati come reali. A questo genere appartiene il secondo film di venerdì, Riprendimi.

Trama:

Una troupe di due persone sta girando un documentario su una giovane coppia, Giovanni e Lucia, attraverso la quale vuole mostrare l’aspetto meno spettacolare della vita dell’attore, quello dell’insicurezza economica e del precariato. Ma tale è la precarietà anche affettiva di Giovanni, che in una crisi che sa dell’adolescenziale, decide di lasciare moglie e figlioletto pochi giorni dopo l’inizio delle riprese del documentario. La troupe allora decide di usare questa separazione per raccontare come l’instabilità lavorativa della nostra generazione ne influenzi l’atteggiamento sentimentale.




Vi auguriamo buon divertimento!

lunedì 8 novembre 2010

Chocabeck

(foto da internet)
Il 3 novembre scorso, è uscito, per la gioia dei fans di Zucchero Fornaciari, l'album Chocabeck. Il nuovo lavoro di Zucchero è stato presentato alla stampa, a Brescello, lo storico paesino dei litigi tra Peppone e Don Camillo di guareschiana memoria.
Chocabeck è un disco che segna un ritorno all'infanzia e a quel tipo di musica capace di rievocare le emozioni che ciascuno di noi ha vissuto in quel periodo spensierato. Con l'espressione Chocabeck, Zucchero, durante l'infanzia, era solito chiedere al padre se ci fosse il dolce della domenica e proprio per questo ha scelto tale titolo per il suo ultimo cd.
L'album presenta canzoni che vantano la collaborazione di artisti quali Francesco Guccini, Bono e Brian Wilson, fondatore dei Beach Boys. Zucchero si rifugia musicalmente in ricordi e affetti struggenti dell'infanzia nella Bassa Emiliana, impreziositi dai flauti, tromboni, banjo, corni inglesi, viole e violini.

Il cd, in versione italiana, si apre con Un soffio caldo, scritto a quattro mani con Francesco Guccini. Il suono della domenica, ha il testo di Bono. Iggy Pop ha invece scritto i testi di Chocabeck e Alla fine.


(foto da internet)

Brescello, poco lontano dalla sua nativa Roncocesi, dove fra gli anni '50 e i '60 si girarono i cinque film di Peppone e Don Camillo, con Gino Cervi e Fernandel, ha accolto Zucchero con il suono delle campane della chiesa nella quale Don Camillo riceveva la paternale dal Crocifisso, quando esagerava nelle sue lotte politiche. Una gran festa, con giostre in strada e gnocchi fritti, ha salutato la conferenza stampa al museo di Peppone e Don Camillo.

Davanti alla stampa, Zucchero ha spiegato il significato del titolo del disco: Chocabeck vuol dire suono di becco vuoto, era quel che gli rispondeva suo padre quando a tavola, la domenica, chiedeva che cosa c'era di dolce.

Il prossimo anno inizierà il tour con la nuova fatica del cantante emiliano: il debutto è previsto per l'8 maggio 2011 a Zurigo.

venerdì 5 novembre 2010

Thriller o commedia?



Un thriller ambientato nel mondo dell'arte e il remake di una commedia spagnola del 1998 sono i film previsti per oggi. Apparentemente senza nulla in comune, le pellicole hanno però lo stesso attore protagonista: Riccardo Scamarcio. Idolo delle teenager italiane, l'attore pugliese si cimenta in due ruoli diametralmente opposti: in Colpo d'occhio è un ambizioso scultore di talento che si affida ad un prestigioso critico d’arte capace di costruire carriere o affossare artisti;
mentre ne L'uomo perfetto è un aspirante attore che si ritrova a interpretare un ruolo assolutamente inatteso.


Adrian è un giovane e ambizioso scultore di provincia desideroso di affermare il suo talento nel mondo dell’arte. Fin dalla sua prima esposizione a Roma, la sua personalità non passa inosservata agli occhi di Gloria, una giovane studiosa d’arte. Tra i due nasce una relazione e ben presto Gloria l’agente di Adrian. Ma un altro critico sembra notare il lavoro di Adrian: Lulli, un intellettuale di fama internazionale. L’uomo conosce molto bene Gloria, essendone stato prima il tutore e poi l’amante, fino all’arrivo di Adrian. La ragazza guarda con sospetto l’improvviso interessamento di del suo ex-amante verso l’opera del suo compagno, che invece ne è profondamente lusingato.


Lucia è una giovane e brillante pubblicitaria ama segretamente il suo amico d'infanzia Paolo, che sta per sposare Maria, la sua migliore amica. Lucia non si dà per vinta e architetta un piano: decide di ingaggiare un attore squattrinato, Antonio, e plasmarlo secondo i gusti dell'amica. Maria sicuramente non potrà resistere alla tentazione se si troverà davanti L'uomo perfetto!
Buon divertimento!

mercoledì 3 novembre 2010

Lo sciupio del cibo

(foto da internet)

Lo spreco alimentare ha molte facce e genera una filiera parallela a quella produttiva, ma in senso contrario. Si spreca nei campi agricoli, nelle cooperative, nelle industrie di trasformazione, nelle imprese di distribuzione, nelle case dei consumatori. Sprecando sprecando, si rinuncia al 26% del pesce, al 36 dei cereali, al 41 della frutta e della carne, al 48 delle verdure. Si buttano ogni anno 3,7 miliardi di euro, il valore di una media manovra economica.
Non è solo l'Italia; secondo la Fao, la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire 12 miliardi di persone.

Questo è quello che ci racconta il libro nero sullo spreco agroalimentare in Italia che, oltre a denunciare il volume degli sprechi, vuole anche cercare di capire le cause, individuare gli anelli della catena in cui avviene la «dispersione» e provare a proporre soluzioni.


(foto da internet)


Teoricamente, ogni italiano disporrebbe ogni giorno di 3.700 chilocalorie di cibo, ma si trattrebbe di una volta e mezza il suo fabbisogno energetico. In realtà, l'eccesso di calorie a disposizione non sempre, anzi quasi mai, viene consumato. A detta degli esperti, se così fosse, l'intera popolazione soffrirebbe di obesità, mentre «solo» il 67% degli uomini, il 55 delle donne e il 33 dei bambini è in sovrappeso.

In gran parte, dunque, l'eccesso di calorie a disposizione viene perso lungo tutta la filiera. Ogni giorno, una certa quantità di cibo, pur essendo perfettamente consumabile, viene gestita come se fosse un rifiuto.

Un paradosso con conseguenze pesanti sotto diversi punti di vista: alimentare, ambientale, sociale, economico.

Il primo anello della catena è lo spreco nei campi. L'anno scorso, secondo i dati Istat, il 3, 3 per cento della produzione agricola è rimasta sui campi: i picchi riguardano gli ortaggi (12,5), i legumi e le patate (5,2).

I motivi? Si va da ragioni meramente estetiche a quelle commerciali (prodotti fuori pezzatura) o di mercato (costi di raccolta superiori al prezzo di mercato). Quello che conta, comunque, è che la quantità di ortofrutta sprecata nel 2009 avrebbe potuto soddisfare le esigenze di una seconda Italia, o di una Spagna.


(foto da internet)

Il secondo anello è lo spreco nelle cooperative o organizzazioni di produttori. In un anno 73 mila tonnellate di prodotti vengono ritirati dal mercato per evitare il crollo del prezzo (tra le destinazioni, il compostaggio e la distillazione). Di questi, solo il 4 per cento non viene sprecato. Con un ulteriore paradosso: la UE finanzia l'acquisto e la distruzione di questi prodotti. Ovvero, un controsenso, uno spreco nello spreco, perché, contemporaneamente si finanziano gli agricoltori per rimanere in campagna per la produzione per poi distruggere parte di quei prodotti.

Attenzione, perché anche l'industria alimentare non è scevra dagli sprechi. Un'indagine a campione stima la dispersione in 2 milioni di tonnellate di prodotti, il 2,2 per cento. In gran parte, diventano rifiuti, che equivale a dire un costo aggiuntivo.

Quanto ai mercati all'ingrosso e alla distribuzione organizzata, la quota di spreco è stimata intorno all'1 per cento, sempre per «motivi di mercato».

La situazione peggiora nell'ultimo anello: i consumatori. Nelle mense scolastiche lo spreco raggiunge il 13-16 per cento, nelle famiglie il 17 sull'ortofrutta e il 39 su latte, uova, carne, formaggi. Le cause sono le stesse: eccessi di acquisti e danneggiamento/deterioramento del prodotto per eccesso di giacenza in dispensa.





(foto da internet)


Gli esperti hanno misurato l'impatto sociale, economico e ambientale dello spreco. Provano a rispondere alla domanda: Che fare?
Due le proposte: da un lato si dovrebbe favorire la conoscenza del problema a ogni livello, per far crescere la consapevolezza soprattutto nei consumatori, e dall'altro di dovrebbero promuovere delle politiche fiscali che incentivino i comportamenti virtuosi.

L'esempio è la tariffa sui rifiuti: dove funziona bene (per esempio, a Verona) è possibile ottenere uno sconto su quanto viene donato e non gestito come rifiuto. L'effetto è duplice: chi non spreca risparmia 100 euro per ogni tonnellata di frutta o verdura e consente di nutrire mille persone al giorno.

lunedì 1 novembre 2010

Viaggio lampo nel cioccolato


Ha appena chiuso i battenti Zip, un viaggio lampo nel cioccolato, diciassettesima edizione di Eurochocolate, la più grande manifestazione interamente dedicata al cioccolato. In questa occasione, l'accoglienza è stata strepitosa e la kermesse ha superato il milione di visitatori e distribuito oltre 250 tonnellate di cioccolato.
Fra gli appuntamenti del festival: la presentazione dei Tortelli freschi al cioccolato di Giovanni Rana, l'assaggio di un Soldino in formato gigante in piazza IV novembre, la selezione di cioccolati artigianali della Boutique del Cioccolato e la realizzazione da parte di quattro artisti di altrettanti cubi di cioccolato da 11 quintali l'uno.



Fra i protagonisti dell'evento, Luca Mannori, che ha presentato in esclusiva per Eurochocolate i cioccolatini all’Acqua Surgiva. Surgiva, l' acqua preferita dai sommelier italiani per le sue proprietà organolettiche, è "l’Acqua per il Cioccolato", quella che meglio riesce ad esaltare tutto il gusto del cibo degli dèi.
Mannori, famoso per le sue torte design, afferma:
Mangiamo sempre più cioccolato, e lo mangiamo meglio. Il consumatore è più informato ed esigente, cerca la qualità e ha cambiato gusto. Da un cioccolato molto dolce, si sta andando verso l'amaro, prodotto con alte percentuali di cacao, fino al 75-80 per cento. Perciò è ancora più importante che la materia prima sia di qualità. [...] Il cioccolato oggi si abbina un po' a tutto, si sperimenta, ma è bene evitare gli eccessi.

Il Maître Chocolatier ha inoltre regalato agli amanti di questa squisitezza la ricetta esclusiva del suo tartufo bianco.


foto da internet

Ingredienti:
  • 170 g. di panna
  • 575 g. di cioccolato bianco
  • 38 g. di burro di cacao
  • 35 g. di glucosio
  • 50 g. di burro
  • 1 bicchierino di marsala
Preparazione:

Bollire la panna e versarla sul cioccolato fuso assieme al burro di cacao. Raffreddare e aggiungere il burro morbido e il marsala, amalgamando bene. Colare negli stampi e lasciar riposare a 18º circa. Il giorno dopo glassare con il cioccolato bianco e coprirlo con scagliette di cioccolato bianco.

Buon appetito!