mercoledì 3 novembre 2010

Lo sciupio del cibo

(foto da internet)

Lo spreco alimentare ha molte facce e genera una filiera parallela a quella produttiva, ma in senso contrario. Si spreca nei campi agricoli, nelle cooperative, nelle industrie di trasformazione, nelle imprese di distribuzione, nelle case dei consumatori. Sprecando sprecando, si rinuncia al 26% del pesce, al 36 dei cereali, al 41 della frutta e della carne, al 48 delle verdure. Si buttano ogni anno 3,7 miliardi di euro, il valore di una media manovra economica.
Non è solo l'Italia; secondo la Fao, la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire 12 miliardi di persone.

Questo è quello che ci racconta il libro nero sullo spreco agroalimentare in Italia che, oltre a denunciare il volume degli sprechi, vuole anche cercare di capire le cause, individuare gli anelli della catena in cui avviene la «dispersione» e provare a proporre soluzioni.


(foto da internet)


Teoricamente, ogni italiano disporrebbe ogni giorno di 3.700 chilocalorie di cibo, ma si trattrebbe di una volta e mezza il suo fabbisogno energetico. In realtà, l'eccesso di calorie a disposizione non sempre, anzi quasi mai, viene consumato. A detta degli esperti, se così fosse, l'intera popolazione soffrirebbe di obesità, mentre «solo» il 67% degli uomini, il 55 delle donne e il 33 dei bambini è in sovrappeso.

In gran parte, dunque, l'eccesso di calorie a disposizione viene perso lungo tutta la filiera. Ogni giorno, una certa quantità di cibo, pur essendo perfettamente consumabile, viene gestita come se fosse un rifiuto.

Un paradosso con conseguenze pesanti sotto diversi punti di vista: alimentare, ambientale, sociale, economico.

Il primo anello della catena è lo spreco nei campi. L'anno scorso, secondo i dati Istat, il 3, 3 per cento della produzione agricola è rimasta sui campi: i picchi riguardano gli ortaggi (12,5), i legumi e le patate (5,2).

I motivi? Si va da ragioni meramente estetiche a quelle commerciali (prodotti fuori pezzatura) o di mercato (costi di raccolta superiori al prezzo di mercato). Quello che conta, comunque, è che la quantità di ortofrutta sprecata nel 2009 avrebbe potuto soddisfare le esigenze di una seconda Italia, o di una Spagna.


(foto da internet)

Il secondo anello è lo spreco nelle cooperative o organizzazioni di produttori. In un anno 73 mila tonnellate di prodotti vengono ritirati dal mercato per evitare il crollo del prezzo (tra le destinazioni, il compostaggio e la distillazione). Di questi, solo il 4 per cento non viene sprecato. Con un ulteriore paradosso: la UE finanzia l'acquisto e la distruzione di questi prodotti. Ovvero, un controsenso, uno spreco nello spreco, perché, contemporaneamente si finanziano gli agricoltori per rimanere in campagna per la produzione per poi distruggere parte di quei prodotti.

Attenzione, perché anche l'industria alimentare non è scevra dagli sprechi. Un'indagine a campione stima la dispersione in 2 milioni di tonnellate di prodotti, il 2,2 per cento. In gran parte, diventano rifiuti, che equivale a dire un costo aggiuntivo.

Quanto ai mercati all'ingrosso e alla distribuzione organizzata, la quota di spreco è stimata intorno all'1 per cento, sempre per «motivi di mercato».

La situazione peggiora nell'ultimo anello: i consumatori. Nelle mense scolastiche lo spreco raggiunge il 13-16 per cento, nelle famiglie il 17 sull'ortofrutta e il 39 su latte, uova, carne, formaggi. Le cause sono le stesse: eccessi di acquisti e danneggiamento/deterioramento del prodotto per eccesso di giacenza in dispensa.





(foto da internet)


Gli esperti hanno misurato l'impatto sociale, economico e ambientale dello spreco. Provano a rispondere alla domanda: Che fare?
Due le proposte: da un lato si dovrebbe favorire la conoscenza del problema a ogni livello, per far crescere la consapevolezza soprattutto nei consumatori, e dall'altro di dovrebbero promuovere delle politiche fiscali che incentivino i comportamenti virtuosi.

L'esempio è la tariffa sui rifiuti: dove funziona bene (per esempio, a Verona) è possibile ottenere uno sconto su quanto viene donato e non gestito come rifiuto. L'effetto è duplice: chi non spreca risparmia 100 euro per ogni tonnellata di frutta o verdura e consente di nutrire mille persone al giorno.

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