venerdì 26 febbraio 2010

Il personaggio più amato dagli italiani (?)


(foto da internet)

La Rai ha lanciato un interessante sondaggio abbinato ad un programma televisivo: Il più grande italiano di tutti i tempi .
Prima di leggere i risultati mi sono detto che in testa alla classifica Dante, Leonardo e Michelangelo ci sarebbero stati di sicuro.
Sbagliavo di grosso. Udite, udite, in testa c'è Laura Pausini! Sì, avete letto bene!
Non c'è Cavour, non c'è la Levi Montalcini. Non c'è Dario Fo. I Nobel a casa!
La Pausini comanda la classifica con un plebiscito (27%). La cantante si piazza davanti a Leonardo da Vinci (17%), che c'è sì, ma è secondo! Poi, meno male, i giudici uccisi dalla mafia Falcone e Borsellino (11%), che però vengono superati da Totò (13%). Dante Alighieri è solo sesto (5%)!!
Il programma lanciato dalla Rai riprende un vecchio format della Bbc (e sapete chi vinse lì? Winston Churchill!).

(foto da internet)

La rosa di nomi da votare su internet, ma non solo, era composta da cinquanta personaggi italiani. L'obiettivo era quello di cercare il più ammirato o il più amato di tutti i tempi.
Si è partiti da circa 250 personaggi e la scrematura ha ridotto di un quinto i candidati.
Non ce l'hanno fatta i calciatori (incredibile in un paese come l'Italia!). Non c'è Totti, né i mitici Riva e Rivera.
Non c'è Mussolini (è già qualcosa!) e, per par condicio, non c'è Berlusconi (uff!).
Gli unici politici del dopoguerra presenti sono solo Moro e Pertini.
Non c'è Leopardi e nemmeno Marconi. Tra gli scienziati, Galilei e Fermi occupano un discreto ottavo e decimo posto (con circa il 3%).
La trasmissione, condotta da Francesco Facchinetti, coronerà (ahimé) il personaggio più amato dal pubblico (bue?).
Voi chi avreste votato?

mercoledì 24 febbraio 2010

Baciami ancora (dieci anni dopo)



L’ultimo bacio
racconta la storia di otto personaggi, delle loro passioni e delle loro paure. Tre diverse generazioni alle prese con un conflitto comune: il tempo. Diciottenni che vogliono diventare grandi, trentenni che non vogliono crescere e cinquantenni che si rifiutano di invecchiare.




Il tempo però passa inesorabilmente e ritroviamo i trentenni di allora dieci anni dopo, alle prese con i quaranta nel nuovo film di Gabriele Muccino Baciami ancora, in prima visione nelle sale cinematografiche italiane. La pellicola narra l’evoluzione della storia d’amore fra Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (prima Giovanna Mezzogiorno, ora Vittoria Puccini), le loro vite e quelle dei loro amici Paolo (Claudio Santamaria) , Adriano (Giorgio Pasotti), Alberto (Marco Cocci) e Marco (Pierfrancesco Favino).






Carlo e Giulia, ormai separati, sono in attesa di divorzio, anche se si vedono spesso perché hanno una figlia in comune, Sveva. Carlo si rende conto che non ha mai smesso di amare la sua ex-moglie e tenta in tutti i modi di riconquistarla.

Marco è in crisi con sua moglie Veronica: vorrebbero dei figli che non vengono.

Adriano torna dopo un decennio in giro per il mondo e due anni in un carcere della Colombia. Il suo desiderio più grande è recuperare il tempo perduto con il figlio abbandonato appena nato. La madre del bambino, Livia, ha intrecciato da poco una relazione con Paolo, il perdente del gruppo, in preda a una depressione che lo separa da tutti.

Alberto è l’unico che resta fedele ai propri principi e continua a cercare una vita fuori dagli schemi e dalla routine.

Muccino ha voluto che il suo amico Jovanotti scrivesse la colonna sonora del film. Il risultato? Eccolo!




lunedì 22 febbraio 2010

Il lavoro che fa male


(foto da internet)



Ormai lontana è la problematica della canzone di Adriano Celentano degli anni 70: Chi non lavora non fa l'amore. Infatti, i problemi sul lavoro nel tecnologico 2010 son ben altri!















Sfogliando i giornali abbiamo scoperto che sono quattro milioni gli italiani che si ammalano o soffrono per colpa del lavoro.
L’immagine di un Paese di lavoratori sofferenti arriva dall'Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl) nel rapporto presentato in occasione della XI Giornata nazionale di informazione sulla promozione della salute nei luoghi di lavoro.


(foto da internet)



Un gran numero di italiani si sentono inadeguati, soffrono di ansia e di depressione, e non solo!

Ma da dove vengono tanti disturbi pschici? Sembra che nascano dalla percezione di essere stressati, di non reggere ritmi sempre più veloci, di essere sottovalutati o di non essere all’altezza dell’incarico svolto. E sbaglia chi pensa che tutto dipenda dall’avere o meno un posto fisso o un contratto a tempo indeterminato.
Certo, la precarietà conta molto, ma tra i "nuovi malati" c’è anche chi non fa carriera, chi si ritiene vittima di soprusi da parte del datore di lavoro, chi si sente mobbizzato dai colleghi e chi è costretto a svolgere una mansione diversa da quella che sperava, sia per capacità che per titoli.
«Il ritmo di lavoro è stressante, siamo nella società dei turni di 24 ore – spiega Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento di medicina del lavoro dell’Ispesl – e a rimetterci è la salute mentale; questo fenomeno ormai rappresenta un’emergenza sociale. Basti pensare che una persona su quattro attraversa, almeno una volta nella vita, un episodio di depressione importante, che richiederebbe l’intervento del medico».


Sarà il caso di sposare la filosofia di Alberto Sordi in I Vitelloni:













Infatti, le classi di età più esposte al rischio di sofferenze di natura psicologica risultano essere quelle centrali (35-44 anni). «I problemi psicologici vanno letti anche in termini di denaro – aggiunge Iavicoli –. Dallo stress infatti deriva l’assenteismo che in tutta l'Unione europea ha un costo sociale che si aggira intorno ai 20 miliardi di euro».
La depressione e lo stress non sono le uniche patologie. Ci sono gli attacchi di panico, le fobie e l’ansia.
Ma cosa succede a chi si trova a soffrire per colpa del lavoro? Meglio una vacanza e Bum Bum:



venerdì 19 febbraio 2010

Non dire gatto....

(foto da internet)


Raiuno manda in onda, dal lunedì al sabato, una trasmissione interessante: La prova del cuoco. Si tratta di un programma di gastronomia condotto da Elisa Isoardi, affiancata da Anna Moroni e Beppe Bigazzi; da quest'anno, conta sulla collaborazione del noto cuoco Gianfranco Vissani, giudice in studio delle diverse gare culinarie del programma.
La puntata di mercoledì 10 febbraio ha suscitato un polverone informativo e, a quanto pare, giudiziario, a causa delle opinioni dell'esperto gastronomico Beppe Bigazzi.
Che cosa ha combinato il nostro? Bigazzi ha aperto lo spazio da lui curato -cibi tipici italiani e le tradizioni gastronomiche- con un discorsetto sul Carnevale e ha citato due proverbi toscani legati all'antica usanza di mangiare i gatti (sì, avete letto bene!): Febbraio gattaio e A Berlingaccio (leggi Carnevale) chi non ha ciccia, ammazza il gatto.
Poi ha continuato a parlare degli anni '30 e '40 in Italia; anni in cui, a causa della fame sofferta dalla popolazione, si ricorreva al sacrificio di questi animali domestici (la presentatrice, nel frattempo, si limitava a fare delle smorfie e a cercare di nascondersi dietro una bancarella!). Bigazzi ha affermato di aver mangiato la carne di gatto più volte. E fin qui il suo discorso non faceva una piega: un esperto che parla di ricette antiche -anche se qualcuno avrà sentito un brivido giù per la schiena- in una trasmissione gastronomica dovrebbe essere come andare a sentire un professore di storia che parla di Inquisizione e di roghi in un'aula universitaria.


(foto da internet)

Però Bigazzi è toscano doc -elemento da non sottovalutare- e un certo gusto per la polemica ce l'ha nel sangue. Il nostro ha definito la carne del felino come "carnine bianche" e ha ricordato come si preparava il gatto.
Risultato: è stato sospeso dalla suddetta trasmissione dopo le proteste di Verdi, animalisti e del sottosegretario alla salute Francesca Martini i quali hanno ipotizzato, nei suoi confronti, gli estremi di reato, visto che gli animali d’affezione sono protetti per legge.
La signora Martini ha annunciato che si rivolgerà all’ Autorità Garante e al Direttore generale dell’Azienda affinchè vengano presi provvedimenti severi di fronte a dichiarazioni illecite e lesive nei confronti degli animali.
In Italia, i gatti sono animali d’affezione tutelati dalla legge 281 del 1991 che, nell’art.1 comma 1, recita: "Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente".
Inoltre la Convenzione europea di Strasburgo per la protezione degli animali da compagnia, reca norme particolarmente severe per la loro protezione. La Martini ha aggiunto che a Bigazzi potrebbe venire imputato il delitto di istigazione a delinquere previsto dall’art. 414 del Codice Penale, in quanto l’art. 544-bis dello stesso Codice Penale sancisce che "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi".
Bigazzi si è difeso ricordando che "negli anni '30 e '40 come tutti gli abitanti della Val d'Arno a febbraio si mangiava il gatto al posto del coniglio, così come c'era chi mangiava il pollo e chi non avendo niente andava a caccia di funghi e tartufi non ancora cibi di lusso. Del resto liguri e vicentini facevano altrettanto e i proverbi ce lo ricordano. Questo non vuol dire mangiare oggi la carne di gatto, ho solo rievocato usanze. Nella puntata di giovedì grasso ho parlato di un proverbio delle mie parti. Evidentemente qualcuno ha voluto capire che ho invitato a mangiare carne di gatto, ma è follia".
I vicentini tirati in ballo, sono, in effetti, chiamati magnagati in Veneto (c'è un vecchio adagio popolare che recita: Veneziani gran signori, Padovani gran dottori, Vicentini magnagati, Veronesi tutti matti) e anche il Folengo, parlando della città veneta, diceva Vicetia plena gatellis.
Per quel che riguarda i genovesi, invece, perché non ricordare la bellisima Creuza de ma di Fabrizio de André in cui un piatto che serve a sfamare le pance è proprio il paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi.
Che ne dite?

mercoledì 17 febbraio 2010

Sanremo

(foto da internet)



Era l'anno 1950, all'epoca la canzone Italiana era snobbata, e poco capita, dalla maggioranza del popolo, che parlava solo il dialetto, e non capiva alcuni testi neologistici e fuori tempo, contenuti in alcuni brani.
La canzone Italiana era, però, la preferita, anche se per qualche tempo gli Italiani si rivolsero a generi musicali di altre nazioni. Erano gli anni delle canzoni Francesi: il trionfo mondiale di Edith Piaf con La vie en rose divenne la beniamina anche di quegli ascoltatori, raffinati e colti, che non si riducevano ad apprendere solo una strofa o un ritornello.
I ritmi latino-americani ebbero una grande notorietà.
E questa era l'atmosfera in cui cominciò a prendere piede il festival della canzone italiana, che quest’anno giunge alla 60esima edizione.
In questi giorni l’Italia televisiva si ferma, perché c’è Sanremo, ma ben lontana fu l’emozione che quell’Italia semplice, per non dire primitiva, provò alla proclamazione della vittoria di Domenico Modugno con Volare!







Com’era bello quando le canzoni ascoltate la sera prima venivano fischiettate già il giorno dopo dai fornai o dai muratori al lavoro.
Ormai, più che di canzoni, si tratta di polemiche da televisione.
Eh sì, una volta all’anno, la tv si concede una faraonica follia, rispettata da tutti, persino dalla concorrenza, in quanto faraonica e in quanto follia.
Sanremo è diventato un rumoroso, abitudinario niente: prima il Festival si seguiva con un senso di attesa e coinvolgimento, adesso il pubblico se ne frega delle canzoni.


(foto da internet)


Non sarebbe eccessivo affermare che, ormai, il Festival è morto: da anni Sanremo non è più la festa della canzone italiana ma quella della tv. Personaggi che fanno parlare di sé ce ne sono per tutti i gusti!




(foto da internet)
Si gioca sull’equivoco solo per poter utilizzare la canzone come occasione festosa, soprattutto in questa sessantesina edizione in cui il festival coincide con il carnevale!!!
Staremo a vedere cosa succederà!!! Ma ... Sanremo è Sanremo!





lunedì 15 febbraio 2010

Tante Italie

(foto da internet)



Che l'Italia fosse un paese spaccato in due lo sapevamo. Che la crisi avesse accresciuto le disuguaglianze anche: i ricchi sono rimasti ricchi e i poveri sono ancora più poveri.
Si sa, c'è chi sta bene e chi sta peggio, ma la sorpresa è che i cittadini del Belpaese non sono affatto tutti uguali.
Quando si parla di qualità del welfare e costo per il bilancio pubblico, l'Italia emerge come un paese non solo spaccato, bensì frazionato, tanto da poter parlare di un'Italia dalle mille diversità. Ci sono regioni che spendono tanto e offrono buoni servizi pubblici e regioni che, pur investendo altrettanto, ottengono di gran lunga risultati minori. Ci sono poi quelle che ricevono dallo Stato una montagna di trasferimenti e altre che fanno i conti con un budget decismente più ristretto.
Questo è ciò che emerge dall'analisi della Ragioneria Generale sulla spesa statale regionalizzata. La prima regione della lista a ricevere fondi è il Lazio, che ottiene 34 miliardi, mentre l’ultima è la Valle d’Aosta, che si ferma ad uno e mezzo appena.






(foto da internet)

Si scopre così che i cittadini delle varie regioni, in termini di servizi pubblici essenziali (dalla scuola, alla sanità, alla sicurezza), "costano" allo Stato cifre estremamente diverse tra loro. In genere si può dire che "conviene" abitare in una regione a statuto speciale, ma non bisogna fare l'errore di considerare il livello di spesa un indice di qualità: nelle regioni del Sud per esempio l'istruzione ha un costo più elevato che altrove, eppure il tasso di abbandono scolastico è ancora molto elevato. Così è per la sanità: non è detto che le strutture più costose siano quelle che offrono le migliori performance.






(foto da internet)



Fra le amministrazioni più virtuose e quelle più spendaccione i gap sono molto elevati. Le graduatorie variano ulteriormente a seconda della voce di spesa: quanto alla Sanità, infatti, in testa alla lista della spesa c'è la Sicilia, con 439 euro procapite, seguita dal Lazio con 384 (di cui 30 se ne andrebbero però in ricerca e sviluppo), in Lombardia si scende a 110. Ma l'equazione "più mi sposto al Sud, più spendo" non regge: Campania e Calabria sono agli ultimi posti della classifica con rispettivamente 77 e 43 euro a persona.



(foto da internet)


Sorprese per quanto riguarda la scuola e la sicurezza. Un bambino alle elementari in Calabria costa 394 euro, nel Lazio 260 euro, in Lombardia 226, in Veneto, 240. La Campania spende per l'ordine pubblico 266 euro ad abitante, l'Emilia Romagna 171, la Sardegna 284, la Toscana 214. Difficile dire con certezza dove le scuole siano migliori e i cittadini si sentano più sicuri, resta il fatto che le differenze non sempre sono giustificate dalla qualità del servizio.

venerdì 12 febbraio 2010

Il cielo può attendere?


(Foto da internet)

C'era una volta un
paradiso e due malcapitati -Paolo Bonolis e Luca Laurenti- che condividevano il caffè con San Pietro. Per più di quindici, la Lavazza ha accompagnato gli italiani, nella loro passione per il caffè, con degli spot simpatici e facilmente riconoscibili.
La serie ebbe inzio nel 1995, con l'incontro tra Tullio Solenghi, appassionato consumatore di Lavazza appena arrivato dalla terra e San Pietro, interpretato da Riccardo Garrone.
Gli spot si basano su dialoghi divertenti centrati sulla bontà del caffè, tra nuvole soffici, il cielo azzurro e degli angeli bellissimi.
Nel 2000 a Tullio Solenghi subentra la coppia formata da Paolo Bonolis e Luca Laurenti. Da allora sono stati girati ben 60 episodi, con trovate originali che hanno riscosso un gran successo di pubblico.
Le storie, costruite su copioni abbastanza semplici, sono intrise di umanità, simpatia ed umorismo, ed hanno permesso alla Lavazza, secondo recenti studi, un altissimo gradimento da parte del pubblico italiano.
In questi anni, numerosi registi si sono cimentati con gli spot del famoso caffè: Alessandro D'Alatri, Gabriele Salvatores e Daniele Luchetti.

(Foto da internet)

Insomma, tutto andava a gonfie vele. Ma nell'orizzonte televisivo apparve, un bel giorno, la concorrenza feroce di George Clooney il quale, dopo gli spot girati in solitario per la società svizzera Nespresso, ha iniziato a cimentarsi, con John Malkovich come spalla d'eccezione, proprio col Paradiso o con un non ben definito Aldilà.
Sotto Natale è scoppiata la guerra degli spot. La Lavazza è scesa sul piede di guer­ra perché la con­corrente Nespresso gli avreb­be rubato l’idea e ha inti­mato ai concorrenti di sospendere la pubblicità.
Il garante, però, ha affermato che il Paradiso non è un'esclusiva e quindi la Nespresso potrà continuare a farne uso per i suoi spot.

Che ve ne pare? Quale spot vi piace di più?

mercoledì 10 febbraio 2010

Un mondo migliore


Riace dista soltanto sessantasei chilometri da Rosarno e sebbene i due municipi abbiano in comune regione, provincia e un paesaggio di aranceti e ulivi, qualcosa li rende diversi: il modo diametralmente opposto di ricevere gli immigrati. Ma dov'è la differenza?
Il comune di Rosarno è dominato dalla 'Ndrangheta, mentre quello di Riace è governato da Domenico Lucano, un sindaco che davanti allo sbarco di una folla di immigrati non pensa al modo di sbarazzarsene, bensì al modo di trasformare quest'emergenza in un'opportunità:
Nel 1998 un veliero carico di profughi curdi si arenò sulla nostra costa. Mi dissi che in quel naufragio c'era una simmetria che non andava sprecata. Uomini in cerca di case erano finiti in un luogo di case in cerca di uomini. Immigrati in fuga dalla guerra avevano trovato un posto svuotato dall'emigrazione. [...] All'inizio c'era un po' di diffidenza per la prima ondata di migranti che aiutammo: erano un centinaio di curdi turchi sfuggiti all'esercito di Ankara o iracheni scappati dai gas di Saddam. In pochi mesi trovai loro un rifugio. L'idea non è originale: in centro c'erano decine di case abbandonate, lasciate da chi era emigrato non "in AltItalia'', ma in un altro continente. Mi attaccai al telefono e i nostri concittadini emigrati in Venezuela, Argentina, Canada, Australia, non se la sentirono di negare un tetto a chi cercava la fortuna altrove, come avevano fatto loro decenni prima. Così è cominciato tutto.

E così il borgo fantasma si è trasformato in un luogo vivissimo, popolato da 1500 riacesi di nascita e da 220 provenienti da zone di guerra (Palestina, Irak, Somalia, Eritrea, Etiopia) . Oggi Riace, il cui nome era conosciuto ai più soprattutto al rinvenimento a pochi metri dalla sua spiaggia dei due famosi capolavori di bronzo, ha ben altro di cui sentirsi orgogliosa: è diventata un esempio di politiche di integrazione e di accoglienza unico nell’Italia di oggi. Trasformato in una legge regionale che si è guadagnata il plauso dell’Unhcr, l’organizzazione Onu che ha duramente criticato il respingimento dei clandestini in Libia.
Con la legge regionale abbiamo dato incentivi a quei progetti che includono i rifugiati. La Calabria è fatta per il 90% di montagne e colline, un territorio dunque che tende allo spopolamento. Con questa legge ristrutturiamo i borghi, diamo incentivi all’edilizia popolare, utilizzando i fondi europei.
ha spiegato il presidente della regione Agazio Loiero.

Il famoso regista tedesco Wim Wenders, che ha appena finito di girare il suo corto Il volo nei paesi calabresi di Caulonia e Badolato utilizzando la gente del posto, presente al Summit dei premi Nobel per la pace ha affermato:

La vera utopia non è la caduta del muro di Berlino ma quello che sta accadendo in alcuni paesi della Calabria: Il vero miracolo non è qui ma in Calabria, dove ho visto un mondo migliore, dove la gente è capace di superare il problema dello spopolamento con l'accoglienza.


Ma a quanto pare non tutti apprezzano le storie a lieto fine!

lunedì 8 febbraio 2010

Il pane... che bontà!

(foto da internet)



Le giornate volano: spesso a ora di pranzo non si ha il tempo, né la voglia, di cucinare qualcosa di
caldo. Pensiamo che un'insalata possa risolvere il nostro pasto. Però, il pane in cassetta (che sia Bimbo se ci troviamo in Spagna, o Mulino Bianco se siamo in Italia) renderebbe triste il nostro già fugace pasto.
Siamo convinti che il pane, quello buono, potrebbe risolvere tutto, ma per mangiarlo, lo dobbiamo prima comprare... Infatti il pane deve essere necessariamente fresco (o si fa per dire).
Al supermercato sarebbe più comodo, ma dopo solo poche ore diventa gommoso. Meglio il fornaio, che, però, oggigiorno, non è garanzia di un'ottima qualità. E se poi ci aggiungiamo che parcheggiare con la macchina davanti al fornaio, senza che ci becchi la polizia -sempre in agguato di qualche incauto automobilista- risulta praticamente impossibile, la cosa si complica sempre di più.





(foto da internet)


Tutti diamo per scontata la presenza del pane nelle nostre tavole. Forse non abbiamo mai riflettuto sul suo reale valore. Il pane è il cibo per antonomasia: lo mangiano i neonati, i vecchietti sdentati, e per tutti è l'alimento più ricco di simbologia.
Nella sua apparente semplicità, è certamente uno dei più importanti patrimoni dell'intera umanità, se non l'alimento più indispensabile, il più nobile di tutti.
Parlare di pane, di un pane particolare, è assolutamente impossibile: è così radicato nelle culture dei popoli del mondo che ogni paese vanta ricchezze e tradizioni proprie. Pane semplice, pane lievitato, pane azzimo, pane speciale, pane condito e chi più ne ha più ne metta.
Senza poi contare le innumerevoli forme che può assumere, solo nella penisola italiana. Ma, nonostante la vastità dei tipi di pane che si producono nel mondo, c'è una cosa che li accomuna tutti, senza ombra di dubbio: la bontà.


Se paragonato ad altre preparazioni culinarie, è piuttosto semplice, eppure i pensieri, le emozioni e il fascino che l'odore e la fragranza del pane appena sfornato possono evocare non sono suscitate da nessun altro alimento. Questo lo rende senz'altro speciale e unico. Se si pensa inoltre al potere che ha di sfamare così tanta gente in tutto il mondo, per la sua bontà e semplicità è spesso considerato come alimento “soccorso” per tutti quei popoli che purtroppo si trovano in condizioni di disagio e di bisogno.


(foto da internet)




È fatto di semplici ingredienti come l'acqua, la farina e il lievito, ma chi, almeno una volta, si è cimentato nella sua preparazione sa bene che non è semplice ottenere dei buoni risultati. Infatti, per preparare un buon pane occorrono tempo, buona volontà ed esperienza.
Perciò, trovare un pane buono è sempre più difficile!


In Italia, è sempre più diffusa l'importazione del pane dal sud, soprattutto dai luoghi più famosi come Altamura e la Puglia in generale.


Se vi va di cimentarvi in una ricetta di pane casereccio, poi rilassatevi e mangiatelo in compagnia di Zucchero:





venerdì 5 febbraio 2010

La spada nella roccia (e il nostro compleanno)



Cari chiodini vicini e lontani
, oggi è il nostro compleanno! Il blog compie quattro anni! Nel bilancio del 2009 potremmo segnalare l'uso di Facebook e di Twitter (vedi sidebar) e lo studio che stiamo facendo per poter lanciare, dal prossimo anno scolastico, un corso d'italiano on line. Le statistiche continuano ad essere soddisfacenti: abbiamo ricevuto circa 89.000 visite. Vi ringraziamo.
Vorremmo celebrare quest'anniversario con voi, proponendovi una visita (virtuale) in un luogo affascinante e misterioso della Toscana: l'Abbazia di San Galgano e l'Eremo di Montesiepi.


(foto da internet)

Il nostro itinerario parte da Siena. Si prende la statale 73, alla volta di Chiusdino, e si attraversa la provincia in direzione di Massa Marittima.
Il complesso monastico è celebre in tutto il mondo per la sua chiesa senza tetto, in stile gotico.
La fondazione dell'abbazia risale al 1218, ad opera dei monaci cistercensi. Fu realizzata per accogliere i pellegrini che affluivano numerosi al vicino eremo di Montesiepi. La grande chiesa, lunga 72 metri e larga 21, in stile gotico cistercense, con accanto il monastero fu terminata nel 1262.
Nel XIV secolo l'abbazia godette di grande potenza e di splendore, grazie anche ai privilegi concessi da vari imperatori, tra i quali Federico II, ed alle munifiche donazioni ricevute, a cui si aggiunse l'esenzione dalla decima da parte di papa Innocenzo III.
Poi iniziò la decadenza. Già a metà del '500 i monaci che vi risiedevano erano solo cinque e a metà del secolo successivo ne era rimasto solo uno. La struttura restò in completo abbandono fino a che, nel 1786, crollò il campanile, travolgendo anche parte del tetto.
Il luogo diventò cava di pietre e di colonne per la costruzione delle abitazioni della zona, poi, all'inizio del XX secolo, delle opere di manutenzione e di restauro l'hanno resa come la possiamo ammirare ancora oggi.



(foto da internet)

A poche centinaia di metri, si erge, su un colle, l'eremo di Montesiepi ove è custodita la spada nella roccia che la tradizione vuole sia stata conficcata nella pietra da Galgano Guidotti quando rinunciò agli agi della vita di nobile che aveva condotto.
Galgano Guidotti nacque nel 1148 a Chiusdino, da Guidotto e Dionigia, nel seno di una famiglia della piccola nobiltà locale, ed è venerato come santo della Chiesa cattolica. Morì il 30 novembre del 1181, giorno della celebrazione liturgica.
Secondo la tradizione, fu un figlio a lungo desiderato e destinato, per i costumi dell'epoca, ad una vita da cavaliere medievale. In questo contesto storico, Galgano ebbe una gioventù improntata al disordine e alla lussuria, salvo in seguito convertirsi alla vita religiosa e ritirarsi in un eremitaggio vissuto con la medesima intensità con cui aveva precedentemente praticato ogni genere di dissolutezze.
Le analogie con le vicende di Re Artù, i cavalieri della tavola rotonda e la ricerca del Graal sono numerose nelle storie che circondano San Galgano.
L'Eremo di Montesiepi ha una pianta circolare che ricorda i mausolei romani. Sulle pareti esterne si alternano fasce di pietra bianca e mattoni. Con la stessa alternanza è costruito anche l'interno della cupola.
Nell'Eremo, oltre al masso con la spada di San Galgano, sono presenti degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti.
Nei dintorni di San Galgano si può visitare il Mulino delle Pile, una costruzione del 1200 a pochi km dall'Abbazia. Recentemente è stato convertito in bed and breakfast, grazie anche alla notorietà acquisita per essere stato scelto come testimonial per la pubblicità dei prodotti Mulino Bianco.

(A Guido e Fina, con affetto)

mercoledì 3 febbraio 2010

A carnevale... ogni scherzo vale

(foto da internet)

Cari chiodini piccini piccini della scuola Santa Anna di Quartell, ci siamo!

Giovedì 11 febbraio inizia il Carnevale! Abbiamo pensato di festeggiarlo insieme a voi e vi abbiamo preparato delle sorprese.

Grazie al nostro amico Maestro Alberto, vi proponiamo dei link che potrete usare a lezione con le vostre maestre o a casa con i vostri genitori! Eccoli:

Allora, buon divertimento e... aspettateci!
Ciaoooo!!!

lunedì 1 febbraio 2010

Quando i Comuni vanno in rosso

(foto da internet)




Ormai per i Comuni italiani non esiste più alcuna difficoltà a far quadrare il bilancio. Come hanno fatto? Inverosimile, ma vero: ricorrono alle multe.

Il problema, così, diventa tutto degli italiani, che, a conti fatti, a fine anno pagano in sanzioni l'equivalente di una tassa. Non sarà che gli italiani al volante sono davvero troppo indisciplinati? Sicuro, risponderete voi, ma, alla resa dei conti, sembra che nelle amministrazioni comunali le sanzioni comminate in base al Codice della strada fruttino più delle addizionali Irpef.

Sapete quanti sono gli italiani che nello scorso anno hanno dovuto pagare una multa? Numerosissimi, da un’indagine sembrerebbe circa 24 multe al minuto o, per dirla in un altro modo, 1427 all'ora: divieto di sosta, sorpasso vietato e semafori ignorati sono costati, in media, 76 euro a ogni italiano. Mentre ogni vigile, sempre mediamente, ha compilato verbali per 43mila euro. I numeri non stupiscono, se si considera che le multe per violazioni del Codice della strada sono una delle voci che compongono i conti comunali. Spesso, così, le contravvenzioni risultano una voce irrinunciabile per garantire l'equilibrio economico del Comune.





(foto da internet)


Vigili spietati quando necessario: ebbene sì. Infatti la crescita di queste voci, ormai, è una tendenza che non fa più notizia tanto al Nord, quanto al Sud del Paese. A Verona, facendo un esempio che vale per tutti, l'amministrazione ha messo in conto di incassare oltre 13 milioni di euro dalle multe (contro i 10 milioni del 2009). Il meccanismo ormai consolidato si traduce in una maggiore spietatezza delle pattuglie delle forze dell'ordine. E, analizzando il flusso degli introiti per le multe nelle casse comunali, si scopre che, almeno per quanto riguarda le amministrazioni più grandi, il maggior numero di contravvenzioni viene comminato nella seconda parte dell'anno (quando l'obiettivo di bilancio da raggiungere diventa più evidente e pressante).





(foto da internet)



I soldi recuperati dalla scarsa disciplina degli italiani al volante, secondo l'articolo 208 del Codice della Strada dovrebbero essere utilizzati per incrementare la sicurezza stradale e prevenire gli incidenti. Ma è proprio su questo punto che si svela il "trucchetto" utilizzato dai Comuni: il 50% dei Comuni non utilizza le risorse derivanti da suddetti proventi come previsto per legge, bensì per non far andare i Comuni fuori strada!!!
Insomma, proprio quello che succede nel comune catalano di Puigcerdà!!!