(foto da internet)
Il mondo dello sport e non solo è rimasto attonito dopo l’annuncio della morte del pilota italiano Marco Simoncelli. Tutti abbiamo visto Marco, Marchino, Sic, così lo chiamavano gli amici, scaraventato sulla pista di Sepang a faccia in giù, disarcionato dalla sua due ruote tecnologica in maniera atroce. Proprio lui che negli ultimi tempi in più di un’occasione era stato così duramente criticato per il suo pilotaggio azzardato, al limite, quasi incosciente. Quello che non voleva perdere, che rischiava fino all’ultima curva, era sulla pista, con il corpo immobile, i riccioli al vento, il casco numero 58 sgretolato e rotolato. Frattura delle vertebre cervicali, segno di una gomma sul collo, cuore in choc, ferite alla testa e al torace.
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In realtà, forse, è stata solo colpa di una passione che era rimasta bambina, anche nella guida, da quando aveva otto anni e correva sulle minimoto. Marco era stato criticato dagli altri, da Lorenzo e da Pedrosa, per il suo stile casinista e sfrontato. Si raccomandavano i commissari prima della gara: «fai il bravo». Ma stavolta Marco non c'entra, non ha sbagliato manovra, anzi ha cercato di restare in sella, con il gomito e il ginocchio sull'asfalto, con la moto inclinata. Così è morto un pilota di Motogp: investito, schiacciato, travolto dai suoi compagni e dal compagno più amato, in una domenica mattina. Marco Simoncelli aveva 24 anni. Era un ragazzo, ma, in fondo, ragazzi lo sono tutti lo sono tutti, il motociclismo non è per vecchi. Gli sono passati addosso l'americano Colin Edwards e Valentino Rossi che lo avrebbe colpito in testa con la ruota anteriore. Marco è finito sotto. Due botte da 170 chili l'una. Solo sfortuna, non colpa, visto che i due piloti che l'hanno investito non avevano visuale. Ma per The Doctor non sará facile assimilare di essere passato sul corpo dell'amico, che aveva guidato, consigliato, protetto. È stato il destino a fargli travolgere il suo futuro, quelli che tutti dicevano sembrasse il nuovo Rossi.
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Marco era di Riccione, viveva a Coriano, accanto a Rimini, Valentino di Tavullia. Stessa aria, stessa voglia di strapazzare curve e rettilinei, quel pezzo di Romagna che nel biberon mette benzina. Marco veniva preso in giro: parli come Rossi, hai i riccioli come aveva Rossi, fai lo spiritoso come Rossi. Una fotocopia, che metteva allegria. Un ragazzino che tutti sgridavano, anche alla Honda, come ha detto il vicepresidente, ma per simpatia, per incitarlo a fare meglio, perché puntavano su di lui. L'erede di Rossi.
Quel ragazzo che quando si toglieva il casco aveva i capelli arruffati e sudati. E che è morto senza casco, slacciato da un colpo involontario.
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