lunedì 28 maggio 2007

La fame dello Zanni (ovvero il teatro in aula)

(foto da internet)


Ha scritto Antoni Navarro nel suo blog: "Il teatro è una scorciatoia pedagogica".
Siamo d'accordo. Ogni anno, nelle nostre classi, cerchiamo di fomentare l'uso del teatro come risorsa pedagogica mediante un semplice teatro di burattini, con personaggi nati da un rotolo di carta igienica, un po' di lana e dei pennarelli colorati.

Parlare un lingua, e sappiamo che può sembrare strano (!), significa anche, a nostro avviso, avere una forte conoscenza di sé, degli altri, degli oggetti e della realtà spazio-temporale in cui ci si trova. Noi crediamo che attraverso l’attività teatrale gli studenti vengono costretti a stare, per un certo tempo, nel cosiddetto altro da sé; e per poter realizzare questa necessità, dovranno essere nella massima condizione se stessi.
Tutto ciò richiede un importante lavoro: gli alunni saranno in grado di far vivere i loro personaggi teatrali se riusciranno a calarsi in se stessi, e nella solitudine del proprio essere, dirigendo la loro emotività, potranno controllare le loro pulsioni istintive per far emergere l’altro da sé. E', in difinita l'incontro dell'allievo con se stesso, con la sua interiorità, con il suo Io (a volte stravolto da un filtro affettivo alto) di cui ne potrà cogliere la potenzialità, la ricchezza creativa e creatrice. E' questo forse il valore fondante del far teatro a scuola.

Nell'ultima sessione del corso Italiano per Principianti, organizzato dal Cefire di Sagunt, parleremo, quindi di teatro (con una sorpresa!). Per introdurre questo tema che ci sta a cuore, abbiamo scelto un testo di Dario Fo: La fame dello Zanni.

Zanni (o Zanul, Zuan, Giovanni, Joan, ecc.), era il burlone che si esprimeva in dialetto e che affrontava nei suoi monologhi tutti i temi tipici della successiva Commedia dell'Arte: l'amore, il matrimonio burlesco, il lavoro e i rapporti con il padrone, la fame, i sogni e la morte.

Nella letteratura italiana lo Zanni è presente nelle opere di Pietro Aretino, il quale, nel 1534, descrisse uno Zanni che, nascosto dietro a una porta, contraffaceva tutte le voci… il filo storico col burattinaio non è evidente?

La figura profana dello Zanni cominciò a muoversi in Italia e in Europa grazie al lavoro di attori comici e figure che raccontavano storie di persone, i loro amori, le speranze di una vita spesso assai dura.



Furono gli attori itineranti, e gli attori che operavano presso le corti e i palazzi aristocratici, che diedero fama allo Zanni. Vennero censiti dai cronisti di corte, rimanendo perciò nelle cronache e nei resoconti, e giungendo fino a noi oggi. La figura dello Zanni, nel Cinquecento si sdoppiò in due caratteri: l'uno semplice e leale, Arlecchino, l'altro furbo e ingannatore, Brighella. Accanto a loro le maschere di Pantalone, Pulcinella e tutte le altre presenti nella Commedia dell'Arte animarono il teatro dell'epoca. I personaggi si muovevano sulla scena improvvisando battute e smorfie, piccoli drammi e grandi equivoci, burle di ogni tipo. L'esiguo testo scritto - il cosiddetto canovaccio - fungeva da riferimento e spunto per le acrobazie verbali e sceniche più disparate. L'improvvisazione richiedeva la definizione del personaggio, scena dopo scena, spettacolo dopo spettacolo. Nacque, così, un carattere e una fisionomia.

La fame dello Zanni di Dario Fo (leggi la trama>>), è la storia di una fame atavica recitata in grammelot con sproloqui e contorsioni da artista circense, ma è anche la denuncia delle condizioni di vita dei più umili: la loro disperazione, l'essere perennemente l'anello più debole della catena, vittime ignare dei soprusi e dell'ingiustizia.

Buon divertimento!

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Non capisco niente del grammelot, però il messaggio arriva.

Anonimo ha detto...

Hai ragione per imparare una lingua bisogna impegnare tutti i sensi tanto lo visuale quanto l'uditivo oltre leggere.
Saluti
Alberto

Anonimo ha detto...

Molto interessante l'opera di Fo.

Anonimo ha detto...

LA FAME DELLO ZANNI

Il teatro… Che bello modo di sentire nella propria pelle quello che sente e vive un’altra persona. Non può avere un gesto di generosità e umiltà maggiore che spogliarsi della personalità di ognuno, dimenticarsi di uno stesso e potere abbracciare quello che giammai saremmo capaci di accettare. Gli artisti sono così, possono consegnare la sua anima facendo credere al pubblico che gli piace essere il centro di attenzione giusto quando non sono loro stessi. Dalle poltrone gli ascoltiamo e siamo capaci di compartire e sentire le loro parole, i loro gesti... tutto vola nell’aria e non sa di dove viene. Il teatro... Che bello modo di sentire!

antoninavarro ha detto...

Mamma mia Gianpiero hai fatto tutto un discorso sulla commedia dell'arte. Ne Antoni Faba, ne Carlo Bosso (direttore dal Tag di Venezia) non lo farebbero meglio!