martedì 26 febbraio 2008

La vita è (puro) teatro

(foto da internet)

Luigi Pirandello conosceva molto bene la pazzia: si sposò con una donna la cui lucidità cominciò a venir meno nove anni dopo il matrimonio. Per questo la follia è un tema ricorrente in tutta l’opera pirandelliana. Nella sua poetica l’uomo non ha una personalità, ma molteplici e i suoi personaggi possono essere contemporaneamente uno, nessuno e centomila.

Pirandello ha una visione molto personale della vita, come evidenziano le sue parole:

Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter saper né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.
Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita.
Così è. La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l'uomo all'inganno. Questa, in succinto, la ragione dell'amarezza della mia arte, e anche della mia vita.

Il grande drammaturgo inserisce ne “Il berretto a sonagli” la sua sorprendente definizione di follia: “Dire sempre la verità, la nuda e cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi e delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali, porterà presto all'isolamento e, agli occhi degli altri, alla pazzia.”

L’alienazione è quindi un rifiuto delle convenzioni sociali e, persino, della stessa convenzione teatrale che l’autore smaschera servendosi dell’espediente del “teatro nel teatro”, come accade in “Enrico IV”, sicuramente l’opera che riflette nel migliore dei modi tutta la complessità del rapporto tra verità e finzione dell’universo pirandelliano ed è un testo chiave della drammaturgia contemporanea.

(foto da internet)

Questa è la vicenda narrata nell’opera:

Un giovane nobile, durante una cavalcata in costume, cade da cavallo mentre sta impersonando il personaggio di Enrico IV, alla messa in scena prendono parte anche Matilde di Spina, di cui è innamorato, ed il suo rivale in amore Belcredi. Per colpa di quest’ultimo, Enrico IV cade da cavallo e batte violentemente la testa. Al suo risveglio, crede di essere veramente l’imperatore di Germania e parenti ed amici, per assecondarlo, allestiscono la sua villa come fosse la reggia del sovrano, ingaggiando persino dei giovani che svolgano il ruolo di consiglieri e valletti prestandosi al gioco. Belcredi ne approfitta per sottrarre Matilde al "sovrano" rivale. Dopo dodici anni Enrico guarisce e...

Se volete sapere come finisce la storia, perché non andare a vedere la rappresentazione teatrale? In fin dei conti, il teatro è scritto per essere visto, non per essere letto!

Enrique IV

Teatre Principal de València

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Non mi piace José Sancho.

Anonimo ha detto...

Non conoscevo questa opera teatrale di Pirandello.Io ho letto uno dei suoi capolavori,"Sei personaggi in cerca di autore".L'argomento di Enrico IV mi pare molto interesante,cioè, il significato della pazzia e il rapporto tra finzione e verità.Ho letto come finisce questa opera,ma non lo dico,meglio andare al teatro a vederla.

Lluna ha detto...

Vado a vedere quest'opera domenica con mia madre perché a lei piace molto Pepe Sancho.
A proposito, Pirandello non usava il congiuntivo, vero?
"io penso che la vita è...".

Cristina Manfreda ha detto...

Non me ne ero accorta. Sembra proprio che tu ABBIA ragione.