domenica 24 febbraio 2008

Quello che è meglio non dire

(foto da internet)
Indovinello: come si chiamano quelle parole che danno la giusta misura della conoscenza linguistica del parlante, il cui significato, non letterale, è estremamente legato al contesto?

Risposta: sono le parole brutte, sporche, quelle sconce, usate per offendere, più conosciute come parolacce, che esprimono il linguaggio delle emozioni. Sono quelle espressioni che danno voce all’inesprimibile: la rabbia, la sorpresa, la paura. Un insulto, un’esplosione verbale che oltraggia, un’ingiuria, un improperio, un’insolenza: il turpiloquio è una costante del comportamento umano, una corrente elettrica che attraversa da sempre il linguaggio individuale e collettivo, che compare dagli esordi della comunicazione verbale, in ogni civiltà.
Davanti a un’emozione, il parlante, attonito, rimane a corto di parole e ricorre a un intercalare, o a un’espressione che ha più valore di mille parole messe insieme: è quell’emozione che, essendo tale, non si riesce a verbalizzare in altro modo se non rifacendosi a un’espressione che, però, molto spesso, risulta volgare. Se da una parte le parolacce diventano un segno di povertà lessicale, dall’altra il giusto peso, nonché uso, del significato sono prerogativa del parlante nativo.




(foto da internet)
Il più “famoso”in Italia: cazzo! È un intercalare che non è usato con l’intenzione di offendere, infatti non ha più un significato letterale, è privo di qualsiasi riferimento sessuale. Occupa la settecentoventiduesima nel Lessico di frequenza dell’italiano parlato.
La parola presenta un’infinità di termini e derivati: cazzone, cazzuto, scazzo, incazzato, etc.).
Attenzione, però, perché, da qualche giorno, cazzo! non è soltanto un'espressione volgare, visto che costituisce anche una vera e propria ingiuria. E pertanto chi dice “Che cazzo vuoi” può essere legittimamente multato. Lo ha stabilito la Cassazione che sottolinea come l'espressione,”oltre che triviale”, è “sinonimo di disprezzo dell'uomo e della sua dignità”.
Certo le offese, nella maggior parte dei casi, hanno qualcosa in comune con il sesso (coglione, frocio, sfigato, etc.), ma perdono, poi, nell'uso più comune il significato originario. Ovvio: considerando che la paraloccia deve essere un insulto, un’imprecazione, o comunque un qualcosa di “sporco” o di volgare, non può poi non essere legata a temi intimi e intoccabili come la religione, il sesso o la morale, insomma tutto quello che riesce a dare subito forti emozioni.

(foto da internet)
Si crede che nella maggior parte dei casi sono pronunciate dai più incolti, ma Tullio De Mauro ci dice che «si può essere volgari anche in un buon Italiano medio». Dove non ha potuto la lingua colta c’è riuscita quella volgare: da nord a sud della Penisola, l’Italiano gergale fa uso libero delle parolacce. Ormai non c’è più bisogno di attingere dal dialetto, anche l’italiano diventa colorito, anche se, a volte, con qualche sfumatura di significato, a seconda della regione.
Esempio: tipica parolaccia diffusa a livello nazionale, ma specialmente a Roma, figlio di mignotta (da figlio di madre ignota), usata contro una persona per darle del “bastardo”. Questa, che pure pronunciata con durezza, è un'offesa abbastanza grave, ha poi in romanesco una connotazione quasi affettuosa. (I bambini figli di nessuno sono persone particolarmente furbe, abilissime nell'arte di arrangiarsi, abituate a lottare con la vita giorno per giorno. Per questo, non di rado, questa espressione viene rivolta a un amico furbo, che ha dimostrato la sua scaltrezza in qualche occasione speciale).
Attenzione: se quest’espressione la sentite in Sicilia può risultare molto offensiva.
Ci sono poi parolacce che, diffuse a livello nazionale e logorate dall’uso continuo, hanno perso il loro significato originario per acquisirne un altro: casino (“casa di tolleranza”, “bordello”) ha quasi sostituito il termine “confusione”, “caos disordinato”. Da qui i numerosi derivati: fare casino, fare chiasso, confondere le cose; incasinato, essere occupatissimo; casinista, disordinato nel pensare o nell'agire.

Curiosità: fregarsene ormai da tempo ha sostituito “infischiarsene”, ma ha perso completamente ogni riferimento al suo significato etimologico, visto che era usato, a mo’ di provocazione della propaganda fascista. (I bambini appartenenti all'organizzazione dei “Figli della Lupa” portavano scritto sulla camicia nera “Me ne frego della morte”).

E cosa direbbe la Cassazione del turpiloquio di Roberto Benigni sull’ormai sempre più solito cavaliere?
Voi, probabilmente, penserete Oh nooo!!! Sempre Berlusconi Che palle!!!

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Queste parole si debono insegnare alle Eoi. sono necessarie.

Anonimo ha detto...

Primo commento: ma che cazzo significa froscio?
Secondo commento. ma che cazzo significa coglione?
JORGE

Anonimo ha detto...

Anche in spagnolo o in valenciano molte parolaccie hanno perso il suo valore. Dire "cabrón" o "fill de puta" può essere un segno di affeto.

Anonimo ha detto...

Quando sono necessarie, sono necessarie. E' ridicolo dire corcholis...

Anonimo ha detto...

Secondo me le parolacce abbiano il suo valore, quando uno è arrabiato e litiga contro il suo partner bisognano no!,in quel stato se le usiamo allora abbiamo un'ottima padronanza dell'Italiano.
Credevo che cazzo o sfiga venivano dalle omonime parole ...
Come ha finito il fascismo non mi sorprende che quel termine abbia cambiato.
Saluti
Alberto

Melina2811 ha detto...

Ciao e buona domenica..

Anonimo ha detto...

Una parolaccia a tempo fa bene. Io le uso (con moderazione).

Anonimo ha detto...

Anche io le uso. Che palle Mariano!

Pilar ha detto...

Non mi piacciono per niente.
Se sentite un ragazzino repetire qualche parolaccia sentirete come un colpo e come sono di brutte.
Dobbiamo dare esempio, non credete?