sabato 7 aprile 2007

Luigi Comencini (in memoriam)

(foto da internet)


Si è spento a Roma, all'età di 90 anni, il regista Luigi Comencini.

Laureato in architettura, nel dopoguerra Luigi Comencini si dedicò al mondo giornalistico e divenne critico cinematografico; lavorò per "L'Avanti!", poi passò al settimanale "Il Tempo". All'età di trent'anni, nel 1946, debuttò alla regia con il documentario "Bambini in città"; due anni dopo firmò, con "Probito rubare", il suo primo lungometraggio. L'inizio della carriera di Comencini fu caratterizzato dalla volontà di realizzare film che parlassero di ragazzi: proprio da "Proibito rubare" (1948, con Adolfo Celi), sulla difficile vita dei giovani napoletani, fino a "La finestra sul Luna Park" (1956) in cui si racconta il tentativo di un padre emigrante di recuperare il rapporto con il figlio, rimasto lontano per molto tempo.
Dopo aver girato "L'imperatore di Capri" (1949, con Totò), il grande successo arrivò con il dittico di "Pane, amore e fantasia" (1953) e "Pane, amore e gelosia" (1954), entrambi con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida; sono gli anni in cui il cinema si dedicò a quel neorealismo rosa che ebbe notevole fortuna in Italia. E Comencini entrò con questi lavori tra gli esempi più significativi e apprezzati della corrente. Nei primi anni '60 fu tra i protagonisti nella genesi della commedia all'italiana: il suo lavoro più importante del periodo fu "Tutti a casa" (vedi>>) (1960, con Alberto Sordi e Eduardo De Filippo), pungente rievocazione del comportamento degli italiani subito dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943.

Ricordiamo anche i film "A cavallo della tigre" (1961, con Nino Manfredi e Gian Maria Volontè), pellicola carceraria dal forte impatto narrativo, "Il commissario" (1962, con Alberto Sordi), un noir con elementi rosa precursore rispetto ai tempi e "La ragazza di Bube" (1963, con Claudia Cardinale), dall'omonino romanzo di Carlo Cassola.

Comencini firmò anche un capitolo, il quinto, della saga di Don Camillo: "Il Compagno Don Camillo" (1965, con Gino Cervi e Fernandel). In seguito tornò sul tema dei ragazzi; rappresentare l'universo dei bambini sembra essere il suo obiettivo più caro: realizzò così "Incompreso: vita col figlio" (1964), riduzione dell'omonimo romanzo di Florence Montgomery; nel 1971 girò per la televisione italiana l'indimenticabile "Le avventure di Pinocchio" (vedi>>), con un grande Nino Manfredi nel ruolo di Geppetto, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che interpretarono il gatto e la volpe, e Gina Lollobrigida nei panni della Fata turchina. Poi nel 1984, sempre per la televisione, realizzò "Cuore" (con Eduardo De Filippo). Queste ultime opere, tratte rispettivamente dai romanzi di Carlo Collodi e Edmondo De Amicis, saranno destinate a rimanere nella memoria di generazioni di spettatori.

Nello splendido "Voltati, Eugenio" (1980), il regista indagò nei rapporti fra diverse generazioni, mantenendo un certo dovuto rigore, ma senza mancare della serena ironia di cui era capace. Degli anni '70 sono inoltre da ricordare lavori quali "Lo scopone scientifico" (vedi>>) (1972, con Silvana Mangano e Alberto Sordi), "La donna della domenica" (1975, con Marcello Mastroianni), un giallo satirico, "Il gatto" (1977), "L'ingorgo, una storia impossibile" (1978), "Cercasi Gesù" (1981). Le pellicole successive - "La Storia" (1986, tratto dal romanzo di Elsa Morante), "La Boheme" (1987), "Un ragazzo di Calabria" (1987), "Buon Natale, buon anno" (1989, con Virna Lisi), "Marcellino pane e vino" (1991, con Ida Di Benedetto) - sono forse non troppo convincenti; con il passare del tempo e a causa di problemi di salute, Luigi Comencini abbandonò l'attività.

Le figlie, Francesca e Cristina, intrapresero la professione di regista, e in qualche modo la continuità artistica del padre venne garantita.

Francesca Comencini ha dichiarato: "È come se io e mia sorella Cristina ci fossimo divise la sua eredità in termini di temi e linguaggi. Lui amava molto i personaggi fragili, i personaggi schiacciati dalla società, quelli più deboli come i bambini, del resto. E li seguiva e li accompagnava con grande commozione e partecipazione perché era sempre dalla parte degli antieroi." Sempre nelle parole di Francesca è possibile ritrovare una buona sintesi del significato sociale del lavoro del padre: "Quello che mi ha fatto sempre ammirare il lavoro di mio padre è stata la sua chiarezza e attenzione per il pubblico. Il suo impegno alla divulgazione e all'educazione. Per questo non ha mai snobbato i temi popolari e tantomeno la televisione, come invece hanno fatto molti autori. E per questo credo che abbia avuto il grande merito, insieme ad altri, di aver formato non solo degli spettatori ma anche dei cittadini".

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non conoscevo questo regista.