In Italia, dopo San Valentino e in attesa di Carnevale, c’è il Festival della canzone: da ieri sera è partito l’annuale appuntamento con la musica di casa nostra. Polemiche a parte, la Panini pubblica un Almanacco che racconta la storia infinita dell’Italia che canta in un volume di 1.000 pagine, a colori. Per la prima volta si raccolgono gli aneddoti, anche quelli apparentemente più insignificanti, della più famosa kermesse canora del Belpaese, con la cronaca di ogni festival dal 1951. Non solo e non tanto le star, già eroi popolari e sopravviventi di luce propria, ma quell’esercito formidabile dei comprimari, delle mezze tacche, delle meteore, degli oscuri e degli oscurissimi, che l'ordine alfabetico e la diligente confezione dell'opera consegnano ai posteri con dignità.
L’uguaglianza grafica connaturata all'Almanacco è l’esatto contrario della discriminazione critica: la cavalcata nella memoria di almeno tre generazioni basta per scoprire che il primo, costumato, successo della Pizzi, nell'Italia del 1951, tanto costumato non era, visto che Grazie dei fiori alludeva a un amore incompiuto per probabile illegittimità dello stesso, e portava le atmosfere quasi licenziose del tabarin in mezzo ai commendatori e alle matrone imperlate seduti ai tavolini del Casinò.
Ci sono le biografie di centinaia di italiani che ci hanno provato e non ce l'hanno fatta: un elenco di artisti non-protagonisti, di italiani e italiane di provincia e di paese che hanno sognato, seppur per un istante, di fare il cantante. Un elenco così fitto da far riflettere su come e quanto la “tentazione artistica”, in questo strano paese, sia un sogno, una scorciatoia da ben prima che la televisione, con i suoi reality, offrisse a tutti l’occasione o l’illusione di esibirsi in pubblico. Emerge un’Italia che nell’arte di campare include anche la speranza di campare con l’arte.
Ad essere sinceri, sul Festival di Sanremo esiste una sterminata produzione critico-saggistica che che ha coinvolto intellettuali, scrittori, polemisti senza eccezione alcuna. Una produzione per lo più giornalistica che ha riempito le puntate del dopo Festival, così come i quotidiani e le riviste. Questo accanimento critico si è ingigantito mano a mano che il Festival, nato nel 1951 come intrattenimento per il dopocena dei clienti milanesi e torinesi del Casinò di Sanremo, è diventato evento mediatico dell'anno, per accaparrare poi lo scettro della RAI, con tutti gli annessi e connessi, e con quella spropositata invadenza e pomposità che è attualmente.
Il dibattito televisivo, in realtà, ha ingoiato la storia della gara canora, ovvero delle canzoni e dei cantanti. Molti ricordano chi ha condotto la scorsa edizione del festival, pochissimi il cantante e la canzone vincitori.
E mentre cerchiamo di capire come sarà il Festival della recessione, ci godiamo Roberto Benigni, ospite d’onore della prima serata, che ha consiglia al presidente del governo la strada per diventare un mito: «Berlusconi ti propongo di diventare un mito come Mina, come Greta Garbo: devi sparire, devi andare lontano. Più lontano vai e più mito sei, magari con Apicella scrivi una canzone e ogni tanto la mandi, come Mina», giacché la più grande cantante italiana, a suo giudizio, ormai è come Bin Laden: manda solo filmati.
4 commenti:
Bravo Benigni.
Mi piace molto questo spot.
Alicia
Un'almanacco da leggere, senza dubbio.
Amparo Santaúrsula
Volevo soltanto dirvi che il video l'ho fatto io, non è della Rai. E' un video protesta di risposta al video di San Remo con Vasco che è diventato quel che è non certo grazie al festival, 11 milioni di dischi venduti non è male per uno arrivato ultimo e penultimo.
Sempre e comunque grande Luigi Tenco!
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