Gli italiani e la pasta è un amore che continua. È, probabilmente, una delle immagini più diffuse del made in Italy, un po' caricaturale ma sicuramente vera, simbolo della convivialità per un terzo delle famiglie italiane e un piatto presente in media cinque volte la settimana sulle tavole italiane. Di pasta, l’Italia ne produce 3.100.000 tonnellate annue, con un consumo pro-capite che è pressoché simile da Nord a Sud. Nelle dispense delle case italiane si trovano in media 5 kg di pasta, in almeno cinque formati diversi. I più gettonati sono: spaghetti, penne, rigatoni, maccheroni e fusilli.
Secondo i dati dell’Unione Industriale Pastai Italiani (UNIPI), circa il 30% degli italiani afferma che la pasta è un cibo sano, mentre il 10% la considera uno dei prodotti tipici della cucina del Belpaese. I tipi di pasta preferiti sono la corta e la rigata.
Attenzione, piace così tanto che nel 37% delle case non avanza mai e, quando capita, viene cucinata nuovamente oppure riutilizzata per un’altra ricetta.
Sul fronte dei mercati, l’Italia è leader mondiale in consumo e produzione, in quanto possiede la più importante filiera in Europa che dal grano duro conduce alla pasta. Nonostante l’industrializzazione delle fasi di produzione, la qualità del prodotto non è stata danneggiata, soprattutto perché la bontà dipende esclusivamente dalle materie prime: grano e acqua.
E allora, quale italiano del 2009, che si reca al supermercato a rifornire la propria dispensa di tanti tipi di pasta, non si accorgerebbe che la pasta è diventata un alimento caro, dal prezzo addirittura raddoppiato rispetto all’anno scorso.
Com’è possibile se il prezzo del grano è sceso? L’incognita è finalmente stata risolta dall’Antitrust. Il motivo è: speculazione. Si traduce così, infatti, l'alleanza che i pastifici italiani avevano stretto per decidere insieme gli aumenti di prezzo e limitare la concorrenza. Il cartello riuniva praticamente tutti i grandi produttori: Amato, Barilla, Agnesi, De Cecco, Divella, Garofalo, Di Martino, Russo, La Molisana, insomma la stragrande maggioranza di aziende del settore. In totale, ventisei che, insieme all'Unipi dall'ottobre del 2006 fino almeno al marzo 2008 si sono accordati sugli aumenti da far pagare ai distributori e consumatori.
La multa in totale ammonta a più di 12 milioni di euro, mentre altri mille euro sono stati la sanzione nei confronti dell'Unionalimentari, (unione nazionale della piccola e media industria alimentare) che, in quanto associazione d'impresa, ha divulgato una propria circolare per indirizzare gli associati verso un aumento uniforme di prezzo.
L'Antitrust non ha contestato gli aumenti delle singole aziende, quanto la decisione congiunta e le modalità anticoncorrenziali con cui si è arrivati a tali aumenti. Infatti, è stato dimostrato che le imprese hanno concertato una comune strategia di aumenti dei prezzi. Questo ha permesso alle aziende di piccole dimensioni, caratterizzate da costi produttivi più elevati, di aumentare i prezzi. Le catene distributive, in presenza di incrementi generalizzati, sono state infatti costrette ad accettare i nuovi listini. Da parte loro le imprese maggiori, che non volevano essere le sole ad aumentare i prezzi, hanno azzerato il rischio di perdere significative quote di mercato.
È stata messa in atto una fastidiosa speculazione, aggravata dal periodo di crisi nera che si sta attraversando. Forse, però, non bastano le sanzioni dell'Antitrust: si suggerisce che come forma di risarcimento per tutti i consumatori danneggiati, i produttori multati debbano operare un taglio dei prezzi di almeno il 20% su tutti i loro prodotti.
4 commenti:
La pasta De Cecco si vende al Corte Inglés?
Trini
Io compro la pasta Gallo. Non è cattiva.
Qui è lo stesso con il latte.
A me piace tantissimo la pasta ma ne mangio solo una o due volte alla settimana perché si devono mangiare anche altre cose.
Amparo Santaúrsula
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