Che cosa vuol dire tradurre? La prima risposta che ci viene in mente è: dire la stessa cosa in un’altra lingua. Ma cosa significa “dire la stessa cosa”?
È vero che il traduttore è un traditore? Se si legge un po' di teoria della traduzione, in realtà il “traduttore” è un “traditor”, secondo l’etimologia latina, dato che compie l'atto di “trasmettere”, “trasferire” un testo da una lingua all'altra. Il traduttore deve essere necessariamente un traditore dal momento che deve rendere “trasmissibile” e “recepibile” un testo in un’altra lingua e in un altro contesto; cioè, deve trasformare il testo originale in un nuovo testo, grazie a un processo di immedesimazione linguistico-culturale con l’autore.
Naturalmente le cose non sono così semplici, perché il traduttore di solito non possiede le doti scritturali dell'autore.
Tuttavia si può giungere a un compromesso che sta nel dialogo continuo con il testo: se ne ascolta la voce, il respiro, l'afflato. Pertanto, per “limitare i danni”, il traduttore non solo dovrebbe conoscere le due lingue, quella di partenza e quella di arrivo, ma dovrebbe afferrare e restituire, magari rinunciando ad una assoluta ma arida fedeltà, nel nuovo testo, i significati secondi che si celano fra le pieghe linguistiche e nelle figure di pensiero e che potrebbero perdersi, in parte o in tutto, nell’atto del tradurre.
In fondo, come sostiene Umberto Eco, la traduzione si fonda «su alcuni processi di negoziazione, essendo appunto un processo in base al quale, per ottenere qualcosa si rinuncia a qualcosa d'altro».
Come ci spieghiamo allora quello che cosa succede in Spagna con la traduzione di Andrea Camilleri? Secondo alcuni docenti di filologia italiana «In Spagna le traduzioni di Camilleri non fanno nessun riferimento alla scelta linguistica dell'autore». Non c'è nessuno che «talìa» (guarda), né «spia» (chiede), né si «arrisbiglia» (svegliarsi) o fa cose «vastase» (maleducate). Non c'è traccia di un «macari» (anche) e il contrario di sopra non è «sutta». L'eventuale «piccato» torna nei ranghi, diventa un peccato che chiunque potrebbe commettere. Tutti i personaggi parlano in modo pressoché comprensibile. Insomma, quasi tutto è normalizzato.
Sissignore, traduzione fedele, ma dall'italiano, non da quello stile tanto particolare che è la cifra inconfondibile di Andrea Camilleri. I suoi personaggi in Spagna parlano un castigliano standard e non una lingua ibrida ed evocativa come l'originale.
Inevitabili problemi legati al tradurre o tradimento premeditato? A parte l’assonanza del nome, sicuramente ci sarà qualcos’altro che spieghi il successo di Camilleri (solo la casa editrice Salamandra, dal 1999, ha mandato in libreria 17 libri, altri sono stati pubblicati da Destino).
Maria Antonia Menini Pagès, nata a Milano e cresciuta a Barcellona, ha tradotto la maggior parte dei lavori di Camilleri pubblicati in castigliano. «Camilleri — dice — non l'ho mai conosciuto, nemmeno per telefono. Di sicuro è l'autore più divertente che abbia mai tradotto e per me non è nemmeno così difficile. Certo, ho dovuto inventare uno stile, per rendere il colore dei suoi libri, per far capire al lettore che siamo in Sicilia. Di più non potevo fare. Mettere in bocca ai suoi personaggi un dialetto, per esempio l'andaluso, sarebbe stato fuorviante. Non so se sarebbe stato corretto nemmeno inventare una lingua per rendere al meglio quella che lui ha creato. In ogni caso, l'editore non me l'avrebbe consentito».
Juan Milà, editore di Salamandra, spiega la filosofia che ha orientato le scelte della casa editrice: «Il castigliano è più standardizzato dell'italiano. Sarebbe difficile riprodurre certi effetti senza arrivare a toni colloquiali o parlate regionali. Forse uno scrittore, con grande padronanza dei registri linguistici, potrebbe cercare un linguaggio che evochi con precisione la stessa ricchezza dell'originale. Ma i costi di un'operazione del genere sono altissimi. La nostra idea è fare un testo per lettori castigliani “globali”, magari anche fuori di Spagna. Pensiamo che le nostre traduzioni siano ottime, precise, in buon castigliano, e trasmettano la freschezza di Camilleri. Sacrificare qualcosa è inevitabile».
Juan Milà, editore di Salamandra, spiega la filosofia che ha orientato le scelte della casa editrice: «Il castigliano è più standardizzato dell'italiano. Sarebbe difficile riprodurre certi effetti senza arrivare a toni colloquiali o parlate regionali. Forse uno scrittore, con grande padronanza dei registri linguistici, potrebbe cercare un linguaggio che evochi con precisione la stessa ricchezza dell'originale. Ma i costi di un'operazione del genere sono altissimi. La nostra idea è fare un testo per lettori castigliani “globali”, magari anche fuori di Spagna. Pensiamo che le nostre traduzioni siano ottime, precise, in buon castigliano, e trasmettano la freschezza di Camilleri. Sacrificare qualcosa è inevitabile».
Ma non tutti sono d'accordo: «La lingua di Camilleri è un regalo, sempre, al di là del contenuto. Per il colore, per l'ironia, perché è un'arte in sé. E può essere tradotta» assicura il professor Vicente González Martín, che dirige l'area di filologia italiana dell'università di Salamanca, dove il 21 ottobre aprirà un'altra cattedra di italiano intitolata alla Sicilia. «Il suo linguaggio — prosegue González — corrisponde alla sensibilità siciliana del Pirandello di Lìolà. Dentro ci sono i paesaggi e la storia dell'isola. In lui la lingua diventa contenuto». Una versione che la rispetti, quindi, sarebbe indispensabile. Perché, fatto salvo il significato, «taliare» descrive un mondo mentre «guardare» fa riferimento ad altri orizzonti. La traduzione iniste il professor González Martín è un lavoro da filologi. Gli editori, invece, per esigenze commerciali e perché hanno fretta puntano su traduzioni che usano un registro standard, ovvero scelgono la via più facile.
Camilleri, dal canto suo, ha ammesso che «i traduttori sono di due razze, superficiali e scrupolosi», ma non ha mai polemizzato sulla resa della sua prosa all'estero.
6 commenti:
Interessantissima la riflessione sulla traduzione, anche attraente lo scrittore Andrea Camilleri, pensavo sarebbe molto difficile capirlo fino che ho letto è il creatore del Commissario Montalbano, mi piace vedere qusti film. Chiaramente quelli che sanno più capirono dei registri linguistichi che io non arrivo ancora.
Molto interessanti anche come hanno fatto i diversi traduttori secondo la lingua del paese: francese, tedesco, portoghese...
Tutto un regalo questo post per gli amanti delle lingue.
Grazie tante Giuliana.
Problema difficile di risolvere.
Penso che sia molto difficile tradurre perfettamente un libro o qualcosa del genere a un'altra lingua perché si deve conoscere questa con tutti i detagli.
Amparo Santaúrsula
Per me, tutto quello che é tradotto, sia d'una lingua in un'altra, sia un libero a un film...sempre é un po' differente. Ma é possibili che gli editori, per vendere piú, sempre prendono le vie piú semplice.
Non é semplice tradurre.
Encarna
Ha ragione nel dire che i traduttori sono di due razze, superficiali e scrupolosi, è vero, non si può tradurre l'anima d'una tessitura parola per parola, ma aggiungo è un lavoro affannoso e pesante poco riconoscente dal mondo letterario ormai globalizzato grazie al ruolo che svolge il mestiere del tradutore
Il 3o settembre è la Giornata Mondiale della Traduzione.
Saluti
Salve !!
Mi pare un argomento importante da trattare visto che nella scuola di lingue siamo tutti un pò :“traduttori” o “traditori” com'è detto nel artìcolo. Ê vero che la traduziòne è molto suggestiva massimo quando si tratta di testo scritto.
Congratulazioni.
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