(foto da internet)
Nella Roma millenaria, Fontana di Trevi con i suoi due secoli e mezzo è giovanissima. Eppure, sarà per l’incrocio magico che si porta nel nome — Trevi viene da trivio, confluenza di tre strade — per la bulimia di leggende che la coinvolgono o la bellezza che ne ha fatto un canone estetico, se il mondo cercasse il proprio ombelico, sicuramente potrebbe essere una candidata. Sono milioni gli occhi che l’hanno vista, le macchine fotografiche o i cellulari che l’hanno impressa, le mani che l’hanno toccata.
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Ora il Campidoglio cerca di correre ai ripari con una barriera protettiva per la vasca della Fontana di Trevi che impedisca di sedersi sul bordo. Una decisione che ha dato vita a polemiche. L’impegno a progettare e realizzare la nuova struttura secondo le indicazioni delle Soprintendenze, è in un atto d’indirizzo alla sindaca Virginia Raggi e alla sua giunta approvato dall’Aula. La mozione chiede anche: che sia «istituito un presidio fisso potenziato» di vigili pure per il «controllo delle vie di accesso a Fontana di Trevi e all’area del Colosseo» in funzione anti-abusivismo. Al di là della barriera, il vicesindaco Luca Bergamo conferma «la necessità di un confronto di idee sulla gestione più complessiva dei flussi».
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Dev’essere colpa, almeno un po’, di Federico Fellini. Se nel 1960, girando La dolce vita, non avesse messo a mollo nella Fontana di Trevi il fascino prorompente di Anita Ekberg, con l’infreddolito Marcello Mastroianni (era marzo, sotto i vestiti aveva una muta) in una delle scene più famose del cinema, la storia sarebbe diversa. Invece sono decenni che si fanno i conti con imitatori, esibizionisti, turisti, vandali e un’infinita schiera di imbecilli.
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Le origini ne fanno un monumento a quel rapporto d’amore, ai confini con la sensualità, che Roma vive con l’acqua. La Fontana di Trevi è un capolinea: termina con lei l’ultimo degli antichi acquedotti ancora in funzione: quello dell’acqua Vergine. Niente a che fare con la purezza dell’acqua, che è raccolta lungo il corso dell’Aniene da una serie di «vene» e dopo una ventina di chilometri in sotterranea sgorga nel centro di Roma. Si chiama così perché sarebbe stata una vergine a indicarne la fonte ai soldati assetati di Marco Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto, lo stesso che ha impresso il nome sul frontone del Pantheon. Siamo nel 19 a.C.
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Passano 15 secoli, per arrivare al 1453 quando papa Niccolò V incaricò Leon Battista Alberti di restaurane il terminale. Nel 1640 papa Urbano VIII Barberini chiamò Gian Lorenzo Bernini per trasformare piazza e fontana, creando uno sfondo scenografico addossato a Palazzo Poli. E Bernini preparò un lussuoso progetto da 36.000 scudi, ma Urbano VIII preferì impiegare quella somma per fare guerra ai Farnese per il Ducato di Parma e Piacenza. Non andò bene, nel 1644 Urbano VIII morì e con lui quel progetto. Solo nel 1732 papa Clemente XII affidò la nuova Fontana di Trevi a Nicola Salvi. Nessuno dei due la vide. La grande scenografia con al centro la statua di Oceano sarebbe stata ultimata da Giuseppe Pannini e inaugurata il 22 maggio 1766 da Clemente XIII.
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In questi 254 anni ha fatto in tempo ad essere citata in ogni resoconto dei Grand Tour, considerata da milioni di turisti un pozzo magico dei desideri (il lancio delle monetine); depredata da chi se ne infischia dei desideri; venduta da Totò a uno sprovveduto americano in Totò truffa del 1962. Colorata, incisa con cuoricini e iniziali, assediata giorno e notte. Ma nel nostro tempo ipertecnologico per un imbecille che fa il pediluvio c’è sempre una telecamera o un cellulare. Con multe sacrosante e insufficienti.
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Le fontane storiche, come le statue o le meravigliose piazze, fanno parte di quel patrimonio di arte e bellezza offerto a Roma e in tutta Italia senza cancelli e senza biglietto. Un tesoro libero e gratuito unico al mondo.
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