sabato 17 novembre 2018

Birra addio...


(foto da internet)

Il cambiamento climatico scalderà di oltre un grado e mezzo il nostro pianeta e sarà sempre più difficile coltivare l’orzo e produrre i lieviti; diminuirà drasticamente la produzione della birra e il prezzo aumenterà.
La birra è la bevanda alcolica più consumata al mondo. La resa dell’orzo, il suo ingrediente principale, è legata alle condizioni ambientali, ed è particolarmente suscettibile ad aumenti di calore e siccità. 
Dei ricercatori hanno simulato al computer cinque diversi scenari climatici futuri e ne hanno calcolato l’impatto sulle coltivazioni di orzo: ne è emerso che, a seconda della gravità dello scenario, le produzioni potrebbero diminuire dal 3 al 17%. Il che si tradurrebbe in una corrispondente diminuzione della disponibilità di birra e in un aumento del prezzo della bevanda.


(foto da internet)

In Irlanda, ad esempio, tra 60 anni, il prezzo di una pinta potrebbe aumentare tra il 43% e il 338%, a seconda della gravità dello scenario. In Italia correremo il rischio di pagare quasi quattro euro in più per una birra media.  Prima, però, che giunga l'apocalisse, il nostro Paese viene considerato, nel panorama birrario internazionale, un fenomeno interessante, se si tiene conto delle sue radicate e intense tradizioni vinicole. In Italia, infatti,  si verifica da anni, un aumento costante del consumo di birra.  
Il leader italiano in questo settore è il gruppo che porta il nome dei proprietari, i Peroni; seconda fabbrica italiana per volume di produzione è la Dreher, controllata dal colosso birrario olandese Heineken. Seguono Wurher che produce birre con marchio Wuhrer, Simplon e Kronenbourg, e Sib-Nuova Birra Messina. Poretti è presente nel mercato con le birre Splugen. Tuborg, Carlsberg e altre marche minori. Ci sono poi Forst di Merano, Prinz e Moretti a Udine che produce l'omonima birra e la San Souci. In Sardegna si produce la Ichnusa.


(foto da internet)

La produzione in Italia era tradizionalmente legata a metodi artigianali, per il raro consumo dei pochi estimatori. Si trattava di produzioni discontinue, legate a fattori strettamente temporanei. La birra veniva vissuta, dal grande pubblico, come una bevanda tipica delle popolazioni del nord. La birra si importava per lo più dall'Austria ed era legata ad un uso elitario, mentre i consumi popolari confluivano essenzialmente sul vino, anche per ovvi motivi di minor costo e di più facile reperimento.
Nella metà del secolo scorso nacquero in Italia le prime vere e proprie fabbriche di birra, organizzate con moderni criteri di produzione industriale. Erano opera, per lo più, di industriali d'oltralpe, ai quali fecero seguito anche commercianti italiani, soprattutto fabbricanti di ghiaccio che videro nella birra il naturale complemento della loro attività.
In poco tempo si verificò un continuo fiorire di fabbriche di ogni tipo e dimensione, sino ad arrivare, nel 1890, a ben 140 unità produttive. Nel breve volgere di un ventennio, ci fu un'espansione dei consumi, grazie anche al più accessibile costo della bevanda che potette raggiungere le fasce popolari. La produzione venne quadruplicata sino allo scoppio della Grande Guerra, periodo in cui praticamente cessò la produzione della bevanda. 


(foto da internet)

Con la fine della guerra e il ritorno alla normalità, ci fu una vera e propria esplosione di consumi. Nel 1920 le fabbriche italiane erano soltanto 58; i consumi salirono ancora e crebbe anche l'importazione.
I vinai, però, contrattaccarono e riuscirono a far approvare dal Governo leggi protezionistiche a tutela dei loro interessi. Nel 1927, venne varata la legge Marescalchi la quale, con l'apparente scopo di favorire l'agricoltura, impose ai birrai l'immissione di un 15% di riso. Contemporaneamente si inasprirono le tasse con l'aggiunta di una imposta straordinaria di ben 40 lire per hl. La legge prevedeva inoltre una apposita licenza di vendita di bassa gradazione e ne limitava lo smercio al dettaglio esclusivamente nei bar, trattorie e birrerie. I vini e oli, categoria di esercizi molto diffusa all'epoca, non poterono più vendere al minuto. 




(foto da internet)

A rincarare la dose, in molti Comuni il dazio sulla birra fu regolato con l'applicazione di fascette sul collo di ciascuna bottiglia, con immaginabili intralci e perdite di tempo che fecero cadere l'interesse dei commercianti per il prodotto.
I consumi scesero vorticosamente e il prodotto si pose fuori della portata delle masse popolari.
Molte fabbriche chiusero. Mediante un'azione concordata e lungimirante gli industriali del settore reagirono e suddivisero gli spazi di mercato, rilevando, nel contempo, le aziende in crisi e riducendo ulteriormente il numero dei centri di produzione.
Ciononostante, il consumo fu stagnante fin verso gli anni '40.  Di nuovo la guerra rallentò ancor di più la produzione. Alla fine delle ostilità, gli industriali del settore birrario ripresero faticosamente l'attività. Solo nel 1950 le quote produttive di birra tornano ai livelli del 1925.
La birra era ancora una bevanda che veniva bevuta in un arco di tempo che andava da marzo a settembre e rientrava fra le comuni bevande dissetanti, come le bibite gassate, e come tale veniva consumata esclusivamente al banco. Nei mesi invernali quindi le fabbriche chiudevano, dedicandosi a lavori di manutenzione e riordino delle strutture.


(foto da internet)

Dal 1960 la birra raggiunse facilmente le famiglie:  i consumatori compresero lo spirito della bevanda, nobilitandola nella sua giusta dimensione. 
La crisi del 1975 colpì inevitabilmente anche il settore birrario nazionale, che perse importanti quote di mercato e fu penalizzato dalle scelte del Governo che decise di aumentare del 50% l'imposta di fabbricazione.
Dagli anni '80 in poi, e sino ad oggi, i consumi crescono costantemente di anno in anno, anche se siamo lontani dai consumi di birra delle altre nazioni europee; con i nostri 27 litri pro capite siamo all'ultimo posto della scala, preceduti dalla Francia (un altro paese a forte vocazione vitivinicola) con 39,3 litri, dalla Grecia con 42 litri e dalla Spagna con 66,5 litri!









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