lunedì 5 settembre 2016

La Sibilla e il Guerin Meschino




(foto da internet)

In giorni in cui, come ha scritto qualcuno,  anche le parole crollano, vorremmo, a modo nostro, ricordare la bellezza dei Monti Sibillini, scrigno prezioso di antiche leggende, avvolte, da sempre, da un'aura di mistero.
Il loro nome deriva da una famosa grotta -oggi inaccessibile- ad ovest del Monte Vettore, a più di 2000 metri di altezza. Lì vi dimorava una Sibilla, e per secoli essa fu meta di visitatori per pratiche magiche, come testimoniano le iscrizioni sulla roccia, le descrizioni del luogo e un’interessante carta topografica che risale al XVI secolo.

La Sibilla fu, nell’antichità classica un particolare tipo di veggente femminile. 
Da Aristotele in poi si cominciarono a distinguere Sibille locali, fino ad arrivare a cataloghi veri e propri di veggenti, come quello riportato da Varrone.




(foto da internet)

La Sibilla aveva la caratteristica di non essere legata a un culto oracolare fisso: profetizzava quando e dove era ispirata, anche senza essere interrogata. La sua ispirazione veniva concepita come possessione divina, e per tale ragione la profetessa si manteneva vergine. 
Le Sibille divennero esseri leggendari; mediatrici tra dio e uomo, spesso concepite come figlie di divinità e di ninfe; non immortali, ma miracolosamente longeve.
Le Sibille furono posteriormente interpretate come profetesse dell’avvento di Cristo nel mondo pagano. Le loro rappresentazioni artistiche,  da sole o in gruppo, si propagarono a partire dal XIV secolo, e il tema, diffuso in tutta Europa, ebbe grande fortuna soprattutto nell’arte italiana del Rinascimento (si vedano ad esempio le Sibille raffigurate da Michelangelo nella Cappella Sistina).

Torniamo ai Monti Sibillini. La grotta della Sibilla era già conosciuta nell'alto medioevo in tutta l'Italia centrale; se ne trova una rappresentazione anche in alcuni affreschi all'interno dei Musei Vaticani
Fu, però, il romanzo Guerin Meschino di Andrea da Barberino a rendere famosa la leggenda della Sibilla Appenninica.




(foto da internet)

Il Guerin Meschino,  è un romanzo in prosa di otto libri, scritto probabilmente all'inizio del XV secolo  da Andrea da Barberino, metà favola e metà libro di cavalleria. Deve il suo nome al protagonista, Guerin appunto, figlio del re Milone il quale, imprigionato con la moglie Fenisia, lo aveva fatto mettere in salvo ancora bambino. Guerin, divenuto adulto, si distinse per le sue gesta eroiche alla corte dell'imperatore di Costantinopoli
Guerin, però, era sempre malinconico giacché ignorava la propria origine, la sua vera patria e il nome dei suoi genitori. Dopo innumerevoli avventure (si innamorò perdutamente di Elissena, figlia dell'imperatore, vinse i Turchi e salvò Costantinopoli!) e incredibili peregrinazioni (viaggiò in India, in Africa e in Asia), a Tunisi ebbe un prezioso consiglio da parte del mago Calagabach, il quale gli disse di rivolgersi alla fata Alcina, che viveva in un regno fatato sui monti dell'Italia centrale, per poter conoscere il suo passato.
Guerin non perse tempo, e dopo un lungo viaggio per il Mediterraneo arrivò a Norcia. Da lì raggiunse la grotta, si introdusse nella cavità e venne condotto da tre damigelle alla presenza di Alcina. Andrea da Barberino descrive la caverna come un mondo pieno di tentazioni alle quali, però, Guerin riuscì a resistere: la fata Alcina gli avrebbe rivelato le proprie origini solo passando per la via del peccato. Ma Guerin tenne duro. E dopo mesi di permanenza, riuscì ad abbandonare la grotta.




(foto da internet)

Allora Guerin si recò a Roma, dal Papa, a cercare quello che non aveva mai trovato. Dio lo condusse in Puglia a difendere re Guiscardo dai Saraceni. E lì liberò due vecchi prigionieri: il re Milone e la regina Fenisia: i suoi genitori...
Il testo, stampato la prima volta a Padova nel 1473, ebbe una straordinaria fortuna e si diffuse soprattutto nelle campagne fino a tempi non molto lontani.
La grotta della Sibilla che Guerin visitò, ospitava, nell'immaginario popolare, un regno fatato, in cui creature meravigliose vivevano in una sorta di festa perenne.  
Il mito creò interessanti narrazioni orali attorno a questa catena di monti -tra le quali ricordiamo la storia delle damigelle della fata che ogni tanto scenderebbero a valle ad insegnare alle fanciulle l'arte della filatura e della tessitura o a danzare con i giovani del posto- che divenne luogo di pellegrinaggio di maghi, stregoni, ma anche di cavalieri erranti che qui passavano per sfidare la Sibilla o per chiederle dei vaticini come nel celebre romanzo cavalleresco.



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