mercoledì 13 novembre 2013

Il blog dei fallimenti

(foto da internet)


Si chiama Startupover, è curato da un imprenditore, Andrea Dusi, e racconta piccoli e grandi flop aziendali: da quello di Segway, il monopattino elettrico che avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo dei trasporti, al salvataggio di Airbnb, il sito per affittare casa o stanze ai turisti a lungo a rischio chiusura. "L'obiettivo  -  spiega  -  è creare una cultura positiva del fallimento". Non tutte le nuove imprese ce la fanno. Anzi, la maggior parte chiude i battenti. Negli Stati Uniti solo una startup su quattro resiste"


(foto da internet)

"Quando si discute di startup, sembra siano tutte idee belle e destinate al successo. In realtà, non è affatto così: su 100 società attive negli Stati Uniti nel 2008, oggi ne sono rimaste solo due. Il tasso di fallimento si aggira intorno al 96 per cento", spiega Andrea Dusi, trentotto anni, veronese. Lui ha rotto il silenzio. Ha deciso di essere onesto. Di sfidare la moda e di aprire un blog, Startupover, dove raccontare di piccoli e grandi insuccessi. Storie di flop con le quali, in meno di un mese, ha già conquistato un piccolo esercito di "fan" sui social network. E in uscita c'è persino una versione in inglese. "L'obiettivo  -  spiega  -  è offrire spunti per imparare dalle sconfitte degli altri come dalle proprie. A mancare nel Belpaese è una cultura del fallimento; in America se non sbagli almeno una volta non hai avuto alcuna lezione e gli investitori non si fidano di te. A fallire, inoltre, non è la persona ma il prodotto. In Italia è diverso: sbagliare è un dramma personale".


(foto da internet)

La storia dei "perdenti" è strana, va a zig-zag. Racconta Dusi: "Una delle più comuni è: promettere più di ciò che si è effettivamente in grado di fare... Fare una startup digitale non è più facile di creare una normale impresa. Solo che nell'ultimo caso la media di chi riesce a resistere è pari al 20 per cento, mentre nel primo al cinque". E lui lo sa bene. Alle spalle ha una sconfitta, un'azienda di t-shirt con una manica lunga, l'altra corta, ma anche una soddisfazione di nome "Wish days", impresa di regali con 120 dipendenti e 45 milioni di fatturato, che continua a crescere. Com'è lavorare in Italia? "Sicuramente più difficile. I motivi? Burocrazia, costi per le procedure d'avvio, tasse sugli utili e costo del lavoro. Però se si è bravi, ci si riesce anche qui"


Quindi, lo slogan anticrisi tutto italiano: "Non hai lavoro, crea la tua propria impresa" non sembra essere così facile. 

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