lunedì 13 febbraio 2017

Le lingue, i dialetti e la prevenzione dell'Alzheimer






(foto da internet)

Un recente studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, coordinato da Daniela Perani, direttrice dell’Unità di Neuroimaging molecolare e strutturale dell’Ospedale San Raffaele di Milano, dimostra che le persone che parlano abitualmente due lingue sono più protette dalla demenza senile legata al morbo di Alzheimer: la malattia, infatti, si manifesta, nei soggetti bilingui, più tardi (circa 4-5 anni dopo, rispetto ai monolingui) e con sintomi meno intensi. 
I ricercatori hanno condotto lo studio su 85 pazienti italiani colpiti da Alzheimer, di cui metà monolingui e metà bilingui, provenienti dall’Alto Adige, mediante una tecnica di tomografia che permette di misurare il metabolismo cerebrale e la connettività funzionale tra diverse strutture del cervello. 
I risultati dello studio evidenziano che i pazienti bilingui con Alzheimer sono risultati in media più vecchi di 5 anni rispetto ai monolingui e hanno ottenuto punteggi più alti in alcuni test cognitivi che misurano la capacità di riconoscere luoghi e volti. Secondo gli autori dello studio, il bilinguismo costituisce una vera e propria riserva cognitiva che funziona da difesa contro l’avanzare della malattia.

(foto da internet)

La ricerca dimostra che gli effetti positivi del bilinguismo dipendono anche dal livello di esposizione e di uso di due lingue: più le due lingue sono utilizzate, maggiori sono gli effetti a livello cerebrale. Quindi, il punto non è solo conoscere due lingue, ma usarle costantemente in maniera attiva durante tutto l’arco della vita.
Il discorso vale anche per i dialetti: essere bilingui non significa necessariamente parlare italiano e un’altra lingua straniera (come i pazienti altoatesini, campioni dello studio sopraccitato, che parlano l’italiano e il tedesco), ma anche l’italiano e il dialetto della zona di provenienza.
E allora ci siamo ricordati delle parole del compianto Tullio De Mauro, il quale affermava, nel suo libro Storia linguistica dell'Italia repubblicanache il 44,1% degli italiani alterna, ancor oggi, l'italiano al dialetto e che questo fenomeno non era affatto negativo.




(foto da internet)


L'Italia venne segnalata dal noto linguista come esempio di comunità -la masse parlante di de Saussure-dove, a differenza di altri paesi, esiste un marcato multilinguismo.
Secondo De Mauro, fino al 1974 la maggioranza degli italiani, il 51,3%, parlava sempre in dialetto. Attualmente, il numero di coloro che parlano sempre in dialetto è sceso ma se l'uso esclusivo è in diminuzione, è in crescita, invece, l'utilizzo alternante di italiano e dialetto: il 18% nel 1955, contro il 44,1% attuale.
De Mauro segnalò che in una conversazione, non sempre in maniera programmata, si passa dall'italiano al dialetto e viceversa molto facilmente. Gli inglesi lo chiamano code switching,  ed è uno strumento importante che arricchisce il parlato, migliora l'espressività e, come evidenziato dallo studio neurologico, tiene alla larga l'Alzheimer!
Meditate, gente, meditate...






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