venerdì 27 febbraio 2015

Il Bike Bar


(foto da internet)

Si chiamano Bike Bar o Bike Café, felice connubio assai diffuso nel Nord Europa. Sono locali sempre più affollati che propongono piccola cucina e servizi per i ciclisti urbani. Oggi questa moda si sta diffondendo anche in Italia, dove gli ormai numerosissimi appassionati di due ruote sono i nuovi clienti da attrarre. Ecco, dunque, i locali bike fiendly:  la loro nascita è legata alla riscoperta della mobilità sostenibile e della possibilità di spostarsi in bicicletta anche in città, sia per andare al lavoro che nel tempo libero. E ora chi preferisce spostarsi in bicicletta ha la possibilità di fermarsi per una sosta ristoratrice in un locale espressamente dedicato a chi ama le due ruote, oppure può decidere di scegliere un Bike Bar per un appuntamento o per una rimpatriata con gli amici (ciclisti e non). 


(foto da internet)


I locali bike fiendly sono dei veri e propri luoghi di ritrovo dove la passione per la bici si associa a quella per l'arte o per il cinema. A volte i Bike Café dispongono di una ciclofficina, dove far riparare, in un batter d'occhio, la propria bici. In Italia segnaliamo l'Upcycle, a Milano, un ex garage di ispirazione londinese; è ristorante, bar ma anche spazio per coworking e talvolta ciclofficina. Alla domenica la cucina propone piatti svedesi...
Sempre nel capoluogo lombardo, a due passi dal Duomo, A si trova il Bianchi Cafè, aperto da pochi mesi; è il primo locale italiano della storica casa ciclistica che conta già altri bar in Svezia e Giappone. Lussuoso e colorato di bianco e azzurro. Qui si può fare colazione, piccoli pranzi e aperitivi. Tra i vari piani si trovano anche uno spazio con esposte biciclette storiche e uno store di due ruote nuovissime e merchandising griffato Bianchi.




(foto da internet)

A Roma ci sono l'Osteria & Bike Boutique, a due passi da via Veneto. Gemellata con lo storico negozio di bici Romeo.
 A Torino, invece, vuole la leggenda che, negli anni '80, un ragazzino sia partito in bici dalla Francia e si sia fermato nel capoluogo piemontese, lasciando la sua due ruote rossa proprio dove ora sorge il bar La Bicyclette. Leggenda urbana (o no), fatto sta che una bicicletta campeggia davvero dentro questo locale che propone birre artigianali e crêpes dolci o salate.
Insomma, la birra che fa gola di più, cantata da Paolo Conte, nella sua famosa canzone Bartali, non è più incompatibile coll'andare in bicicletta...




mercoledì 25 febbraio 2015

Quella Barcaccia d'arte


(foto da internet)


“Oggi a Roma lo Stato era assente. Troppe falle nella sicurezza e servizio d’ordine sbagliato”. Dopo aver visto i video e le immagini della devastazione, veramente sembra di essere in un altro pianeta. Nemmeno più il rispetto per un patrimonio artistico-storico in nome del benedetto calcio. Eh sì questo è successo nelle nelle 36 ore che hanno preceduto Roma-Feyenoord, match di calcio, dell'Europa League: nella serata precedente gli ultras provenienti da Rotterdam hanno messo a ferro e fuoco Campo de' Fiori e il centro di Roma.  Scene che si sono riviste poi  in Piazza di Spagna, a Villa Borghese e in altre zone di una città che ha assistito senza poter far nulla allo strapotere dei vandali con sciarpe di calcio al collo. Impotente,  al pari di tutta una classe politica che, una volta riportata con fatica la calma, ha iniziato a individuare colpevoli e responsabilità. 


foto da internet

Accuse incrociate. Il primo a prendere posizione è stato il primo cittadino, che ha accusato i responsabili dell’ordine pubblico: “Questa mattina dalla prefettura e dalla questa ci è stato detto che era tutto sotto controllo. Abbiamo visto più tardi come fosse tutto sotto controllo”. A seguire tutti gli altri, con M5s che ha annunciato l’ennesima mozione di sfiducia contro il ministro dell’Interno e si sono chieste  le dimissioni del primo cittadino . Tutti contro tutti. Poi, per concludere il disastro, l’intervento diel Premier“Attendo le scuse del Feyenoord, puniremo i colpevoli con durezza”.





Ma in realtà ciò che resta sono i danni alla fontana della Barcaccia in Piazza di Spagna (ancora non quantificabili), rimasta intanto lesionata,  15 autobus inutilizzabili, il balletto su chi dovrà pagare i danni (Il Sindaco della città eterna: “A Olanda ho detto "chi rompe paga”).

E poi udite udite, la soluzione che propone il primo cittadino per il restauro della Barcaccia: "Un'amichevole Olanda-Italia da giocare a Rotterdam, un grande appuntamento di sport e amicizia il cui ricavato servirà a riparare i danni di piazza di Spagna". 

lunedì 23 febbraio 2015

Ingredienti proibiti?





(foto da internet)

Amatricianagate: dicesi di un caso (nazionale) di polemica gastronomica sorta attorno alla ricetta dell'amatriciana proposta dallo chef Carlo Cracco che prevede l'uso di aglio!!!
Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, è intervenuto con un tweet nella polemica, sconfessando lo chef e bandendo l’uso dell’aglio in camicia nella celeberrima ricetta laziale.
I cittadini di Amatrice, come un sol uomo,  si sono scagliati contro la rivisitazione della loro famosa ricetta, lanciata nella trasmissione C'è posta per te. Una sola parola d'ordine: l’aglio non è nella ricetta orginale.
L’amministrazione comunale ha fatto sapere su Facebook di esser rimasta sconcertata dall’affermazione dello chef CraccoIl comune di Amatrice ha anche invitato Carlo Cracco nei luoghi dove ha avuto origine il primo piatto più famoso al mondo.



(foto da internet)


Sembrava finita lì, invece subito dopo l'Amatricianagate, è scoppiato un altro caso che potremmo definire come pestogate. Questa volta è stata presa di mira la ricetta del pesto. La domanda è: nel pesto il burro si mette o no? Ebbene, Davide Oldani, chef di Cornaredo, ambasciatore del gusto al prossimo Expo, ha fatto notare che nel pesto è necessaria anche una noce di burro e ne ha spiegato il motivo: 
Il pesto deve essere fatto con una parte di burro, oltre che con l’olio. Perché quando tu mantechi la pasta lo fai fuori dal fuoco, non sul fuoco. Quindi serve del burro di primissima qualità che si scioglie piano piano e crea anche una salsa leggermente vellutata che è quella che dà succulenza a tutto il piatto. Nel mortaio metto pinoli e noci, e poi li schiaccio. Quindi aggiungo il basilico, e lo pesto in modo da ridurlo alla giusta consistenza. Aggiungo olio evo, una parte, e poi un po’ di burro come vuole la tradizione. Solo così il pesto diventa cremoso. Questa cremosità ci permette di condire la pasta che scoli e di mantenere molto verde anche il pesto finito.



(foto da internet)

Il primo ad intervenire contro lo chef è stato il segretario generale dell'Accademia Italiana della Cucina, Paolo Petroni, il quale ha affermato: 
I grandi chef posso fare quel che vogliono, ma questa ci pare peggio di quello che ha detto Cracco. Il burro nel pesto cambia totalmente il sapore.
Ma lo chef Oldani si è difeso dalle critiche ricevute sostenendo che nei libri di cucina la noce di burro nel pesto viene indicata: dal Talismano della Felicità di Ada Boni a Carnacina, si parla di burro...



(foto da internet)


Effettivamente, sia il testo di Ada Boni, sia la Grande Enciclopedia della gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti, sia Le ricette regionali italiane di Anna Gosetti della Salda ammettono il burro.
A favore di Oldani è intervenuto  il presidente del Consorzio di tutela del basilico genovese dop e proprietario di una delle più famose aziende di pesto ligure, Mario Anossi, secondo il quale una noce di burro aiuta a rendere il pesto più cremoso.
A quando la puttanescagate?


venerdì 20 febbraio 2015

La napoletana



(foto da internet)

Dopo la ricetta della genovese non poteva mancare il caffè con la napoletana.
Di che si tratta? Ovviamente della caffettiera napoletana (a Napoli viene chiamata cuccumella) che produce un caffè di corpo leggero e di gusto pieno. Preparare il caffè usandola significa ripercorrere un rito casalingo fatto di lentezza, e celebrato da molti napoletani illustri, come, ad esempio, Eduardo De Filippo (vedi>>).
La caffettiera napoletana venne inventata a Napoli, a partire dalla prima caffettiera a filtro costruita nel 1691 da Du Belloy. Il nome del suo inventore resta sconosciuto.
In città l’uso del caffè si diffuse dalla fine del ’700, grazie a un libello del gastronomo Pietro Corrado contenente una canzonetta in difesa del caffè, presentato come bevanda dell’ospitalità, dell’amicizia e del buon augurio.


(foto da internet)


Per preparare alla perfezione la napoletana ci vogliono
5-6 grammi di caffè per ogni tazzina (vedi>>)
La macinatura della polvere deve essere media, e il caffè va collocato nel serbatoio bucherellato. Si avvita sopra il filtro
e si versa l’acqua necessaria nella parte inferiore della macchina, senza superare il forellino. Si inserisce il serbatoio del caffè completo di filtro e si avvitano le due parti della macchina. Si mette la napoletana (col becco all’ingiù) sul fuoco e si porta l’acqua ad ebollizione. L'acqua bolle quando un filo di vapore esce dal forellino. 



(foto da internet)

A questo punto si toglie la macchina dal fuoco e, afferrandola saldamente per i due manici, si capovolge con un colpo secco, in modo che l’acqua scenda attraverso il filtro con la polvere di caffè e vada a raccogliersi nel deposito inferiore. Bisogna aspettare qualche minuto prima di servire. Non dimenticate di lavare bene la napoletana con acqua calda e di asciugarla accuratamente.  
Finiamo con una vecchia canzone (A tazza 'e caffè), degli inizi del XX secolo, scritta dal poeta napoletano Giuseppe Capaldo, nella quale si compara l'atteggiamento scontroso di una bella con la bontà di una tazzina di caffè...

Buon ascolto!

mercoledì 18 febbraio 2015

Sanremo è Sanremo


(foto da internet)

Lo scorso sabato si è conclusa la 65esima edizione del Festival della canzone italiana, un grande carrozzone che conferma ancora una volta uno sguardo nostalgico verso quello che fu. Anche dal punto di vista della conduzione si è assistito a una completa restaurazione delle vecchie abitudini festivaliere, perché, ovvio Sanremo è Sanremo!!! 
Il conduttore è stato Carlo Conti, il grande showman attuale di successo della Rai è un bravo conduttore, non un personaggio televisivo, sempre discreto che fa brillare gli ospiti: non canta, non balla, non fa battute, solo presenta. 




Conti riporta la televisione alla sua forma tradizionale. Che piaccia o meno è così e questo, indubbiamente ha funzionato. Dopo anni di commistioni di linguaggi, di contaminazioni, di esperimenti, la tv generalista sta tornando alla sua forma primigenia ed il motivo è semplice: ci sono tanti nuovi media che fanno il loro mestiere innovando. C'è la tv satellitare, quella on demand, quella del web e via discorrendo, spazi in cui c'è l'obbligo di innovare. La tv generalista, proprio perché generalista, questo bisogno non ce l'ha. Così come il pubblico che la segue e che premia, costantemente, le fiction tradizionali e con buoni sentimenti, senza violenze, parolacce, sorprese, che fa trionfare Don Matteo



(foto da internet)

Era scritto che sarebbe stato così, e così è stato. Tutto quello che prevedibilmente Conti avrebbe fatto lo ha fatto. E lo stesso si può dire del pubblico. Dopo molti anni il vecchio slogan "perché Sanremo è Sanremo" è di nuovo vero, e i vincitori "Il Volo" sono la testimonianza di quanto anche nella musica si guardi al passato, nonostante l'età. 

lunedì 16 febbraio 2015

La transiberiana italiana



(foto da internet)

La cosiddetta Transiberiana italiana, una vecchia linea ferroviaria attualmente in disuso,  si snoda nell'Italia centromeridionale, a cavallo tra Sulmona e Carpinone
Sulmona è in provincia de L'Aquila, in Abruzzo, che, per dirla con Ovidio: Sulmo mihi patria est, gelidis uberrimus undis, milia qui novies distat ab Urbe decem (la mia patria è Sulmona, ricchissima di gelide acque, che dista nove volte dieci miglia da Roma).
È situata nel cuore dell'Abruzzo, a ridosso del Parco nazionale della Majella, ed è nota nel mondo per la secolare tradizione nella produzione dei confetti.
Sulmona diede i natali, nel 43 a.C., al poeta latino Publio Ovidio NasoneA Sulmona si può ammirare la Cattedrale di San Panfilo, la cui costruzione risale all'anno 1075. 


(foto da internet)

Carpinone, invece, si trova in provincia di Isernia, in Molise.

Deve il suo nome al piccolo fiume Carpino che scorre nel suo territorio da settentrione a ponente. A sua volte il fiume Carpino ha ricevuto il suo nome dall'abbondanza dei carpioni, i maschi delle trote, di cui è numerosa la pesca nelle sue acque. Le origini di Carpinone risalgono al X secolo. Il borgo ha un interessante castello costruito probabilmente nel periodo normanno. Di forma pentagonale e delimitato da ben cinque torri, si erge a picco su una possente roccia e rappresenta una delle fortificazioni più suggestive nel panorama castellano del Molise
Il viaggio in treno sulla Sulmona-Carpinone, con le carrozze d’epoca costruite tra le due guerre, con gli interni in legno, è davvero un viaggio nel tempo nel cuore dell’Appennino abruzzese-molisano, tra parchi nazionali e riserve, faggete innevate e piccole stazioni ferroviarie. 


(foto da internet)

La tratta è la seconda ferrovia più alta d’Italia dopo quella del Brennero, con i 1268 metri della stazione di Rivisondoli-Pescocostanzo
La linea, inaugurata il 18 settembre 1897 per collegare Napoli con le terre abruzzesi-molisane, è chiusa al traffico passeggeri da anni e viene riattivata in alcune tratte grazie all’attivismo di associazioni di appassionati come Le Rotaie di Isernia


(foto da internet)

Il treno trasporta circa 330 passeggeri (il biglietto costa 30 euro) e offre al viaggiatore paesaggi innevati, fermate per l'assaggio di prodotti tipici e atmosfere d’altri tempi. Le carrozze sono quelle del mitico centoporte, costruite tra il 1931 e il 1939, con 10 porte per fiancata. Durante la Seconda Guerra Mondiale questi convogli venivano spesso utilizzati come carrozze ospedale per il trasporto dei feriti. Oggi mostrano un’Italia che resiste ancora: quella dei piccoli centri storici, delle aree protette che tutelano orsi e lupi, ricca di tradizioni e culture, di paesaggi mozzafiato e di produzioni agroalimentari di qualità. 
Buon viaggio!

venerdì 13 febbraio 2015

Spoon River



(foto da internet)

L'Antologia di Spoon River (Spoon River Anthology) è una raccolta di poesie del poeta americano Edgar Lee Masters pubblicata tra il 1914 e il 1915 sul Mirror di St. Louis
Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita di una delle persone sepolte nel cimitero di un immaginario paesino statunitense. La raccolta comprende 19 storie che coinvolgono un totale di 248 personaggi e che coprono praticamente tutte le categorie e i mestieri umani. 
Il testo venne magistralmente tradotto in italiano da Fernanda Pivano, nel marzo 1943, presso Einaudi e sfug­gì alla cen­sura fasci­sta gra­zie a un titolo, Anto­lo­gia di S. River, dove la esse pun­tata stava per un mai esi­stito San River!!




Ciononostante, poco dopo la pubblicazione, Fer­nanda Pivano fu arre­stata e incar­ce­rata, rea di aver tra­dotto da un idioma stra­niero in odio al regime fascista, idee sov­ver­sive quali il rifiuto della guerra, la difesa dei deboli, la cri­tica al capi­ta­li­smo, lo sbef­feg­gio dei potenti e i diritti delle donne. 
I versi di Masters con la loro scarna semplicità furono una rivelazione per il pubblico italiano. L'Antologia di Spoon River ebbe (e ha ancora oggi) un grande successo in Italia.


(foto da internet)


Quando, nel 1971, Fabri­zio De André incise quello che, insieme all'album La buona Novella, uscito nel 1970, fece la sto­ria della sua musica e delle sue idee: Non al denaro, non all’amore, né al cielo,  liberamente tratto dall'Antologia di Masters, la Pivano imma­ginò, per le pagine che accompagna­vano il disco, un’intervista al proprio Lee Masters
Pivano: "Come ti è venuto in mente di scri­vere l’Antologia di Spoon River?"
Lee Masters: "Men­tre facevo l’avvocato a Chi­cago e mi aggiravo nei tri­bu­nali e fre­quen­tavo la cosid­detta società, giunsi alla con­clu­sione che il ban­chiere, l’avvocato, il predicatore, le anti­tesi del bene e del male, non erano diverse nella città e nel vil­lag­gio. Comin­ciai a sognare di scrivere un libro su una città di cam­pa­gna che avesse tanti fili e tanti tes­suti con­net­tivi da diven­tare la sto­ria del mondo intero".
Pivano"La sto­ria del mondo intero, avevi ragione tu, Edgar, è fram­men­tata nelle dimen­sioni di cen­ti­naia di migliaia di cimi­teri [...] le sto­rie di chi li abita sono repli­che, inter­pre­ta­zioni, varianti, su un copione uni­ver­sale [...]" 


(foto da internet)

De André scelse nove brani per il suo disco: La col­lina (The Hill), Un matto (Frank Drum­mer), Un giu­dice (Selah Lively), Un bla­sfemo (Wen­dell P. Bloyd), Un malato di cuore (Francis Tur­ner), Un medico (Sieg­fried Ise­man), Un chimico (Trai­nor), Un ottico (Dip­pold), Il suo­na­tore Jones (Fiddler Jones)
Quest’ultimo, per ragioni di metrica, è, nel disco, un suonatore di flauto anzi­ché di violino. 
Buon ascolto!






mercoledì 11 febbraio 2015

A Torino il palazzo più bello del mondo





(foto da www.archiportale.com)

The Number 6, è il nome del progetto di riconversione, firmato da Building Engineering, di Palazzo Valperga Galleani, gemma del barocco piemontese. Un progetto di recupero architettonico che include al suo interno rispetto del patrimonio storico, tecnologia, domotica, eleganza ed estetica. il restauro dello storico Palazzo Valperga Galleani  di via Alfieri a Torino, ha vinto il premio Building of the Year del sito di architettura ArchDaily. Inaugurato a inizio 2013, The Number 6 è il palazzo barocco a due passi da piazza San Carlo che il Gruppo Building di Piero Boffa ha trasformato in un condominio contemporaneo all'avanguardia: 36 appartamenti ipertecnologici in un contenitore barocco, con terrazzi, una moderna Spa, una palestra e, nella corte centrale, un'opera luminosa dell'artista Richi Ferrero.


(foto da www.archiportale.com)

Un radicale e prestigioso intervento di rifunzionalizzazione di un edificio storico, dopo un secolo in cui restauri precedenti avevano determinato l’allontanamento dall’originaria vocazione di abitazione, a favore dell’insediamento di attività legate ai servizi e al terziario. Le scelte stilistiche sono state finalizzate alla riappropriazione della vocazione originaria del palazzo, evidenziandone la connotazione di edificio residenziale, unita alla volontà di aprire alla città lo spazio privato della corte, allestendola con un intervento artistico che evidenziasse i suoi punti forti: la luce e il verde.
Gli interventi condotti per la realizzazione di 36 appartamenti sono stati progettati nel rispetto del disegno originario, degli elementi storici ancora leggibili, conciliandoli con soluzioni d’avanguardia.
Volontà della committenza è stata la realizzazione di un corpus di opere d’arte che conciliasse gli interventi architettonici con un allestimento scenografico e artistico volto a dare un valore aggiunto agli spazi rendendoli fruibili alla cittadinanza. A tal fine, di concerto con gli enti di Tutela, si è intrapreso un percorso di ricostruzione suggestiva ed evocativa dei luoghi perduti.


(foto da www.archiportale.com)



Nel recupero della corte interna di via Alfieri, è stata ideata la riproposizione dell’originario giardino seicentesco, trasponendo nelle due dimensioni, orizzontale e verticale, un disegno di ciottoli, luci ed essenze vegetali. Il giardino barocco, rievocato nell’istallazione “Il Giardino Verticale” dell’artista Richi Ferrero, è sospeso all’interno della corte del palazzo in un gesto romantico che si realizza nello spazio aereo del cortile. Il segno sospeso, l’albero, narrativo e contemporaneo, fortemente evocativo, appartiene alla storia del luogo e rinnova lo stupore nella visione quotidiana di chi in quel palazzo ci vive e resta scolpito nella memoria dei visitatori.


 Il premio Building of the Year del portale americano ArchDaily - 7 milioni di visite al mese, 2 milioni di fan su Facebook, 335 mila follower su Twitter - ha selezionato oltre 3mila progetti distribuiti in una geografia globale  dal Cile al Vietnam, tra Cina, Australia ed Europa; alle selezioni dell'ArchDaily Building Award 2015 hanno partecipato oltre 18 mila architetti, comprese archistar e celebri studi tra i quali Renzo Piano, Jean Nouvel, Álvaro Siza e Kengo Kuma. 

lunedì 9 febbraio 2015

Caccia al pinolo




(foto da internet)

Sembra incredibile, ma è così: il pinolo è diventato in Italia un articolo di lusso (o di super lusso). 
Sì, avete letto bene: il pinolo.
Nel mondo esistono circa venti specie di pini che producono semi. In Europa sono due le specie di pino che producono semi grandi: il migliore è il pino domestico (Pinus pinea) e il pino cembro (Pinus cembra) che produce grossi semi, ma vive in zone più disagevoli.
I pinoli, in varie zone d'Italia, sono chiamati con altri nomi come pinoccoli o pinocchi. Sono ricchi di proteine e sono stati consumati in Europa sin dal periodo Paleolitico. Sono anche una sorgente di fibra alimentare. 
I pinoli sono essenziali per il pesto e svariati altri piatti tra cui le torte






(foto da internet)

Ebbene, i pinoli sono diventati una merce così pregiata da far gola a molti. Pochi giorni fa, in un supermercato di Perugia, i carabinieri hanno arrestato un ragazzo romeno di 23 anni con 30 bustine di pinoli nascoste nella giacca. Valore commerciale: 200 euro. Il giovanotto era recidivo. Qualche tempo prima era stato preso a Terni per la stessa ragione: furto di pinoli al supermercato. 
Due mesi fa a Vado Ligure un commando di otto persone entrò con un furgone nello stabilimento della Noberasco, il principale grossista italiano del gustoso semino. Il commando rubò 7 tonnellate di pinoli, valore commerciale circa 400 mila euro
Mesi prima un furto analogo era stato subito da un altro grande operatore. In settembre, sempre alla Noberasco, un dipendente era stato pizzicato mentre lasciava il posto di lavoro accompagnato da 17 chili di pinoli nascosti in un borsone. Nel 2013, tre persone erano state denunciate ad Ansedonia per furto aggravato dopo aver portato via nove quintali di pigne da alberi di proprietà statale. 




(foto da internet)

Secondo i carabinieri, in Italia esistono delle organizzazioni criminali dedite ai furti di pinoli, che poi rivendono al mercato nero!  Va da sé che le quotazioni del pinolo negli ultimi due-tre anni sono impazzite, arrivando a toccare i 47 euro al chilo all’ingrosso. Le ragioni: un parassita ha colpito i pini domestici italiani e di altre aree del Mediterraneo, dove viene prodotto il seme e le bizzarrie del clima che hanno bloccato la maturazione delle pigne. La produzione mondiale si è dimezzata in una stagione: 18 mila tonnellate rispetto alle 34,5 mila dell’anno precedente. La domanda, in Italia, tra pesto e dolciumi, resta elevata. Nel Bel Paese se ne consumano oltre 1000 tonnellate. Quindi, con meno pinoli, e con una domanda costante, si hanno prezzi astronomici. 
Così i furti nei supermercati si sono moltiplicati. I pinoli sono facile da rubare, le bustine entrano dappertutto, e con un rischio basso si possono guadagnare centinaia di euro al mercato nero. 




(foto da internet)


Oltre ai disperati ci sono i professionisti del furto che operano su commissione.   Bande criminali che hanno trovato un filone vergine e relativamente poco rischioso da sfruttare.
Comunque,  alcuni supermercati italiani, particolarmente colpiti dai furti, inseriranno nelle bustine di pinoli i dispositivi antifurto (!) come si fa con lo champagne, il caviale o i grandi vini...

venerdì 6 febbraio 2015

Parcheggia pregando




Vi ricordate la famosa Pregherò cantata da Adriano Celentano?
Era la cover di Stand by Me, una canzone di Ben E. King.
Il brano è basato su un gospel del 1955 dei The Staple Singers, riadattato a ritmi più moderni. 
Celentano la incise nel lontano 1962, in un 45 giri. 
Chissà se può servire a parcheggiare gratis...
Non siamo impazziti.  A San Lorenzo, una frazione di Rovetta (in provincia di Bergamo), nella magnifica Val Seriana, il parroco, don Guido Rottigni, ha avuto un'idea quanto meno originale, che si potrebbe riassumere così: ora et sta...



(foto da internet)

Quindi, niente più spiccioli per pagare il parchimetro. Negli spazi con strisce blu di fronte alla chiesa parrocchiale c’è un cartello che spiega come non serva il denaro: ogni sosta un’Ave Maria
Il parroco sostiene che, invece di studiare convenzioni e tariffe con il Comune, la sua parrocchia abbia preferito invitare alla preghiera, valore difficilmente misurabile ma sicuramente maggiore di pochi centesimi, con un'idea che potrebbe far piacere a più di un automobilista.

mercoledì 4 febbraio 2015

Il neoeletto Presidente della Repubblica

Il discorso di Mattarella: le parole chiave

(foto da www.repubblica.it)
Ieri mattina l''applauso scrosciante delle Camere riunite nell'aula di Montecitorio ha accolto il nuovo capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha fatto il suo ingresso nell'Aula di Montecitorio alle 9.56 per dare ufficialmente inizio al suo settennato. Dopo quasi tre minuti di battimano, alle 10 in punto Mattarella ha giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione. Il neoeletto presidente, rivolto al Parlamento riunito in seduta comune integrato dai delegati regionali (i 1009 grandi elettori), ha aperto il suo discorso di insediamento ringraziando per prima cosa i suoi due predecessori Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Poi è entrato subito nel vivo e ha dichiarato di voler rappresentare l'unità nazionale e difendere i principi costituzionali, "che non possono rischiare di essere intaccati dalla crisi".



Il suo messaggio alla nazione è stato interrotto continuamente - ben 42 volte - dagli applausi dell'Aula, compresi quelli del M5s. Parola d'esordio: "Concittadini". Parola chiave: speranza. L'augurio: avere un popolo più sicuro, un'Italia "più libera e solidale". In trenta minuti esatti, Mattarella ha salutato gli stranieri presenti nel Paese, ha sottolineato l'urgenza delle riforme, prima fra tutte la legge elettorale. E ha assicurato che sarà un "arbitro imparziale" a patto che i giocatori lo aiutino "con la loro correttezza". 

lunedì 2 febbraio 2015

La collana longobarda (e altro)



(foto da internet)


Post dedicato agli studenti che sono alle prese, in questi giorni, con la lettura del libro La collana longobarda.
I Longobardi furono una popolazione germanica proveniente dalla Scandinavia.
La causa della loro discesa verso il continente europeo è attribuibile a una grave carestia. 
Dopo la caduta dell'Impero Romano passarono il Danubio (527-28) penetrando in UngheriaGiunsero in Italia nel 569, guidati da re Alboino. 
Alboino occupò parte del Veneto e puntò alla conquista di Milano e Pavia. Il lunghissimo assedio di Pavia, antica capitale del regno gotico, durò circa tre anni. Poco dopo la presa di Pavia (572), re Alboino fu assassinato e  i Longobardi conobbero un periodo caotico che bloccò lo sviluppo di altri piani di conquista. Il successore di re Alboino, il re Clefi, fu anch'egli assassinato due anni dopo.




(foto da internet)

La struttura anarchica dei Longobardi e l'incerta guida politica permise a molti duchi di rimanere indipendenti dal re, e anche di continuare a estendere la loro area di potere. Nel periodo che va dal 574 al 584, il paese conobbe una grave crisi istituzionale. Nel 584, di fronte alla concreta minaccia di un’invasione franca i Longobardi si sottomisero al re Autari ma il caos politico cominciò a diminuire solo con il suo successore, il re Agilulfo (590-616). 
Con Agilulfo, il regno longobardo ebbe una chiara configurazione territoriale: comprendeva l’Italia del nord (eccetto la fascia costiera veneta e la Liguria), la Tuscia, il cuore dell’Umbria e delle Marche, e vaste regioni del sud. 
In questo contesto emerse la figura del gastaldo, al quale furono affidate anche intere città da governare al posto del duca. Il re risiedeva a Pavia, sede della corte e di una rudimentale amministrazione centrale. 
Sotto Agilulfo aumentò la collaborazione con gli elementi colti della popolazione romana e si stabilì un rapporto di convivenza con il papato, allora rappresentato da Gregorio Magno
Il momento di massima potenza politica del regno si ebbe con Liutprando (712-44) il quale estese i possessi longobardi in Emilia e arrivò fino alle porte di Roma.




(foto da internet)

Il declino avvenne nel 750 quando il papa Stefano II, di fronte alle forti richieste da parte del re longobardo di un tributo, chiese aiuto ai Franchi
I Franchi discesero in Italia e sconfissero i Longobardi costringendoli a cedere le recenti conquiste. Fu Carlomagno, nel 774, ad assumere la corona longobarda e l’eredità politica, sociale e giuridica del regno.
Solo l’Italia meridionale longobarda sfuggì alla conquista franca. Questa parte dell'Italia che comprendeva la Campania, la Marsica, il Molise, l’Abruzzo, la Puglia, la Calabria, Napoli, Amalfi e Sorrento venne governata dal duca Arechi (758-87) il quale assunse il titolo di principe e difese l’indipendenza del suo dominio dagli eserciti di Carlomagno. 
Ma l’estrema frantumazione del quadro politico, complicata anche dalla persistente presenza dei Saraceni, rese impossibile l’affermazione di un unico potere forte e nell’XI secolo la cosiddetta Longobardia minore cadde sotto la dominazione dei Normanni che, nel 1130, fondarono il Regno di Sicilia 




(foto da internet)

La lingua longobarda, che si estinse completamente nel X secolo, non ha lasciato né documentazioni dirette né letteratura. Restano soltanto testimonianze lessicali: nell’onomastica (Ermanno, Astolfo), nella toponomastica (i nomi in -engo, come Marengo, Martinengo) e nel lessico (baruffa, palla, ecc.). 
I longobardi svolsero un’intensa attività nel campo dell’architettura: notevoli, anche per le importanti decorazioni, sono le chiese di S. Salvatore a Brescia, S. Maria in Valle a Cividale e S. Sofia di Benevento


(foto da internet)

Di rilievo anche gli stucchi di Cividale e gli affreschi di Brescia, Castelseprio, San Vincenzo al Volturno e Benevento. Particolare importanza ebbe anche la lavorazione dei metalli, della quale i Longobardi possedevano tradizionalmente una progredita tecnica, e che costituì un ambito produttivo di fondamentale importanza, come testimoniano le necropoli di Benevento, Bolsena, Castel Trosino, Civezzano, Cividale, Nocera Umbra, Testona, ecc.. 
I Longobardi svolsero una notevole attività anche nel campo degli ornamenti di armi o di vestiario e negli oggetti a carattere religioso e, in particolare, nell’oreficeria.