Primavera del 1985, nel cuore del mese di maggio. Dal mese di aprile, tutti i fine settimana andavo a un piccolo paesino dove i miei genitori avevano una casa. Anche i miei zii e i miei cugini passavano le vacanze a Calles (così si chiamava e si chiama ancora oggi questo paesino). Avevo celebrato la prima comunione il fine settimana precedente e mi avevano regalato una piccola canna da pesca marrone con tutti i suoi complementi. Beh, mi sono dimenticata di dire che nella mia famiglia c’è molta passione per la pesca. Siamo un po’ attivi e la pesca mitiga il nostro carattere inquieto. Anche se preferiamo il mare alla montagna, la verità è che questo paesino si trova all’interno della provincia. C’era una ragione: agli uomini della famiglia piaceva anche andare a caccia, cosa che col passare degli anni hanno abbandonato a vantaggio della pesca.
Ci piace ascoltare il rumore della natura, siamo così...
Ma quel fine settimana soltanto i miei genitori, mio fratello (tre anni più piccolo di me) e io andammo al paesino. Sabato mattina prendemmo il cibo e le nostre canne da pesca con il proposito di passare la giornata al Pantano Loriguilla. Quel giorno avrei usato per la prima volta la mia canna nuova. Ero molto felice. Va be’, la verità è che da piccola sono sempre stata una bambina molto felice, attiva e partecipativa. Tutto mi piaceva e tutto lo facevo volentieri senza nessuna preoccupazione. In mancanza di qualche dente, il mio sorriso sempre lasciava intravedere il mio carattere allegro e amichevole. Peccato che le persone ci sciupiamo... Il fatto è che quando raggiungemmo il pantano, ero ansiosa di provare il mio regalo, gettai l’amo con uno stile eccellente e rimasi quieta senza distogliere lo sguardo dal sughero che galleggiava sull’acqua. Così rimasi per un paio di ore, con la canna fra le mani, sotto la luce del sole, nella tranquillità del luogo. Ma all’improvviso, dal nulla, una forza mi strappò la canna dalle mani e i miei occhi guardarono come il mio regalo si perdeva nella profondità del pantano, come una preda inghiottita da un serpente.
-Oddio! Mamma, mamma! Hai visto? La mia canna... Un pesce ha abboccato all’amo e ha vinto la mia canna nuova... –dissi con le lacrime sul viso.
-Sì, l’ho visto. Deve essere un pesce grande, ma non piangere. Non ti preoccupare, prendi la mia –disse la mia mamma.
-No. La mia canna marrone me l’hanno regalata gli zii –e mentre dicevo queste parole, mi inginocchiai con lo sguardo al cielo. – Padrenostro che sei nei cieli...
-Ma, che fai? La canna non ritornerà, lascia perdere.
-Sto pregando Iddio. Sai, le cose che si chiedono con il cuore, possono farsi realtà. Quando c’è fede tutto è possibile –supplicai. - Padrenostro che sei nei cieli...
La mia mamma mi guardava come se non credesse a quello che vedeva. ‘Mia figlia è una stupida cretina. Se adesso piange, quando ritorneremo a casa senza la canna cadrà in una profonda desolazione e sarà difficile che creda di nuovo in qualcosa’, pensò.
-Lascia stare. Guarda, la mamma te ne comprerà un’altra, più grande e del colore che tu vuoi. Va bene?
-La canna ritornerà. Dio, perché mi fai questo? Mi sono sempre comportata bene. Sono buona... Cosa ho fatto male? –E con il mio peculiare senso della giustizia, che sempre affiora quando le cose non sono come penso che dovrebbero essere, aggiunsi arrabbiata –non è giusto!
-Basta! Non essera ridicola. La canna non ritornerà. Alzati! –disse mia mamma con la vena della fronte gonfia di rabbia.
-No, mamma. Dio non mi può fare questo, Lui può fare che la canna esca dalla profondità del pantano. Padrenostro che sei nei cieli...– e con la fede cieca di una bambina che ha preso la prima comunione recentemente, pregai di fronte all’acqua, mentre la mamma mi guardava profondamente rassegnata.
Così passarono un altro paio d’ore.
-Figlia, vuoi smettere di pregare e lanciare la mia canna? Ormai ho messo l’esca nell’amo. Prendi la canna...
-Non voglio, voglio la mia canna. Padrenostro che sei nei cieli...
-Va be’. La lancerò io.
E così fece! Poco dopo la punta della sua canna si piegò come una vecchia.
-Un pesce ha abboccato! Adesso un po’ di pazienza –le sue parole erano come un sussurro. –Puoi smettere di pregare un attimino? Ho bisogno di un po’ di silenzio. Aspetterò che si fidi un po’.
Ma il pesce aveva abboccato così forte che mia mamma tirò con forza la canna mentre raccoglieva il filo velocemente.
-Deve essere grande... ma... Che succede? Che cos’è?... –disse mia madre rossa per lo sforzo.
La sua canna aveva agganciato la mia canna marrone che emergeva dalla profondità del pantano come la fenice dalle ceneri. Dall’amo pedeva il pesce che ore prima me l’aveva rubata dalle mani.
Da allora, mia mamma non mise mai più in discussione che le cose che si chiedono con il cuore possono diventare realtà, e io smisi di pregare per ottenere cose assurde. Oggi, non so dov’è la canna marrone che dopo quel giorno non ho usato mai più, ma so fin dove può arrivare la forza del cuore. Anche se ora non credo nei miracoli, ancora mi faccio alcune domande rispetto alle ingiustizie della vita che non hanno soluzione e lo spirito dell’ 85 ritorna a me. Allora i miei amici mi guardano con un po’ di paura, ‘Se lo dice la bambina della canna da pesca...’
gennaio 2008
A. G.