venerdì 28 febbraio 2020

Dagli all'untore!





(foto da internet)

Untore singolare maschile [dal latino unctor -oris, der. di ungĕre «ungere», participio passato unctus] è chi unge, ungitore. In particolare si chiamarono untori coloro che nella peste di Milano del 1630 furono sospettati di diffondere il contagio ungendo persone e cose (per esempio, le porte delle case, le panche delle chiese) con unguenti malefici; contro di essi si scatenò spesso l’ira popolare e si dette anche corso a persecuzioni giudiziarie. 
In italiano troviamo anche il diminutivo untorello, usato in senso figurato, per lo più ripetendo o parafrasando le parole dette, ne I promessi sposi del Manzoni, da un monatto a Renzo: "Va, va, povero untorello", rivolgendosi a persona che per la sua pochezza non è ritenuta capace di fare un gran male.




(foto da internet)

Le unzioni effettivamente ci furono, ebbero carattere di continuità e, nel colmo della peste, furono assai frequenti, soprattutto da parte degli stessi monatti che, interessati a perpetuare con la peste il proprio guadagno, potevano veramente diffondere l’infezione spargendo intorno il marciume degli appestati.
Proprio a Milano, il Manzoni, due secoli fa, raccontò ne la Storia della colonna infame, la storia vera della popolana Caterina Rosa, che accusò e fece condannare a morte gli innocenti Gian Giacomo Mora e Guglielmo Piazza, accusati di andare in giro a infettare case e uomini con la peste, aizzata da politici, giudici e avvocati, e da intere folle, tutti accomunati dalla paura interessata. 




(foto da internet)

Una paura che Manzoni spiegò così: "Il sospetto e l’esasperazione, quando non siano frenate dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prendere per colpevoli gli sventurati, sui più vani indizi e le più avventate affermazioni". 
E anche il Boccaccio, che fece cominciare il suo Decameron nel tempo della peste, parlò dello spavento strettamente legato all’ignoranza, alla bassezza culturale e all’egoismo privo di ragione. Scrisse: "parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il che suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano". 



(foto da internet)

E molti anni dopo Caparezza cantò (ascolta>>): "Il mio cuore batte più delle battone, quando porto confusione nella popolazione, ne traggo giovamento massimo panico al prossimo ed il prossimo potrebbe essere chiunque"...

mercoledì 26 febbraio 2020

La Fiorentina, un rito sempiterno



(foto da internet)

Sebbene sia uno dei piatti tipici della tradizione fiorentina, l'etimologia ha origini anglosassone. Nella Firenze medioevale si lavorava praticamente sempre e si mangiava sopratutto frattaglie, come lampredotto, minestroni di verdure e altri alimenti poveri. In questo contesto, esistevano anche molte feste legate a santi e tradizione, che non solo permettevano di saltare il lavoro, ma anche di mangiare qualcosa di diverso. A Pasqua si andava a messa e si mangiavano cenci e frittelle, mentre per San Lorenzo, il santo finito sulla graticola, per ironia della sorte era usanza arrostire dei quarti di bue, tagliarli a fette, per poi distribuirli al popolo. Secondo la tradizione, nel XV secolo, durante i festeggiamenti della notte delle stelle, proprio davanti alla basilica di San Lorenzo venivano elargite queste porzioni di gran pezzo (l’antenato della bistecca alla fiorentina). E un gruppo di mercanti anglosassoni, che si trovava sul luogo, iniziò a richiedere insistemente e a gran voce: “Beef steak, please. Beef steak!” (una fetta di manzo, per favore).Fu così che la pronuncia “bif steik” venne tradotta onomatopeicamente dai fiorentini, dando così origine alla parola bistecca. Che divenne così il sostantivo da sempre usato in italiano per indicare il taglio di carne più fiorentino al mondo. E che vi riportiamo nella ricetta “tradizionale”.

Risultato immagini per san lorenzo firenze
(foto da internet)

Una volta era solo di Chianina, ma oggi anche il mito della bistecca alla fiorentina si è evoluto. E ha guardato oltre. Alla Maremma, all’Emilia o al Piemonte, rimanendo in Italia. Ma anche alla Scozia o alla Polonia. E, in certi casi, anche più in là. È il taglio, più che la razza, a fare la differenza. E poi è anche una questione di gusto. In ogni caso è l’unico dogma caduto intorno alla “fiorentina”, perché per il resto la tradizione non si tocca. Frollatura lunga, con l’osso (c’è chi la preferisce tagliata nel filetto e chi solo la lombata), altezza tre dita, ma qualcuno esagera e arriva a quattro, cottura al sangue sulla brace (c’è pure chi usa la piastra), possibilmente con un carbone dolce e non resinoso. Insomma, più che un piatto la “fiorentina” è una passione, una leggenda, un rito.

Risultato immagini per bistecca fiorentina vino
(foto da internet)

Da consumare in compagnia (una buona bistecca pesa intorno a 1,3-1,6 chili, il costo medio è di 50 euro al chilo), magari con un bel bicchiere di Chianti. E sulla quale i fiorentini non accettano discussioni (come pure sulla Fiorentina, quella con la “f” maiuscola). Tantomeno imitazioni. E che adesso ha pure iniziato il percorso per diventare patrimonio immateriale dell’Unesco. Insomma, la bistecca sta a Firenze più o meno come gli Uffizi e Ponte Vecchio. È l’identità di una città che a tavola ritrova il suo orgoglio e le sue passioni. E che intorno alla bistecca ha costruito storie e leggende. E anche gran parte del suo turismo, in un legame indissolubile tra arte e gastronomia. Un’ultima raccomandazione: il coltello non deve mai essere seghettato, ma con la lama liscia per non rovinare la carne mentre si taglia.

lunedì 24 febbraio 2020

La Sora Cecioni



(foto da internet)


La Sora Cecioni è stata un culto di tante generazioni. Un archetipo sempre attuale, perfetto. Ce l'immaginiamo anche oggi, la Sora Cecioni, che sproloquia di politica, o di cronaca nera, dopo aver visto l'ultima trasmissione televisiva.
La grandissima attrice Franca Valeri ha dato vita al mitico personaggio femminile della Cecioni, con una galleria satirica originalissima per la storia italiana. La Valeri ha rappresentato una delle più incredibili parabole artistiche nella storia del nostro spettacolo. 





(foto da internet)

E' stata protagonista delle migliori avventure di questi decenni: il grande teatro degli anni '50 e '60, con Strehler, Testori e poi De Lullo; la nascita del varietà televisivo, con Antonello Falqui; l'apogeo della commedia all'italiana, con il cinema di Dino Risi e di Alberto Sordi; fino alla passione matura per la regia lirica. La comicità, meglio: l'ironia, è il filo che tiene assieme tutte queste esperienze. In più di sessant'anni di carriera artistica, Franca Valeri ha regalato un ricco, intelligente, raffinato stupidario nazionale; ha scritto una miniera di idee alla quale si può sempre attingere, affascinati dalla sua eterna modernità. 


                                  (foto da internet)


Ad ottant'anni suonati ha portato in teatro un testo di Yehoshua, "Possesso", con il quale ha girato l'Italia. Il suo personaggio: una madre invadente, possessiva, egoista ma molto umana che, alla vigilia del ricovero in ospizio, fa i conti con la vita e con la morte.
Franca Valeri ha dichiarato: «La signora Cecioni è nata da tante piccole signore che forse oggi non ci sono più o sono molto cambiate. A me è sempre piaciuto osservare nei luoghi pubblici, ascoltare i discorsi, rubare le frasi e prendere nota. L'ho fatto per anni, un lavoro divertente grazie al quale sono nati tanti personaggi. Ora è un po' più difficile. La gente non discute più, urla. Sono diventati tutti più fanatici, incattiviti, e soli».
La solitudine, patetica ma anche comica, è un tratto comune delle sue donne e di molti dei personaggi che ha interpretato a teatro.
Vi proponiamo uno scketch della sora Cecioni>> (sempre al telefono con mammà!).
Buon divertimento!

venerdì 21 febbraio 2020

Il cimbro







(foto da internet)


Secondo un recente studio, circa la metà delle settemila lingue parlate sulla Terra è a rischio, e la gran parte potrebbe scomparire entro la fine del secolo. Il pericolo di estinzione di piante e animali è un'emergenza nota a tutti. Ma che anche i linguaggi del mondo stiano rapidamente scomparendo, e con una rapidità impressionante, è cosa di cui probabilmente solo pochi sono consapevoli. Secondo i linguisti, infatti, in media ogni due settimane si estingue una lingua in una qualche parte del pianeta, ed entro questo secolo la metà degli idiomi parlati nel mondo potrebbe finire nell'oblio, portando con sé un immenso bagaglio di cultura.
Oggi vorremmo parlarvi di una lingua minoritaria, in grave rischio d'estinzione, che si parla in Italia: il Cimbro.





(foto da internet)

Nel nord Italia, tra VeronaVicenza e Trento, vive il gruppo linguistico dei Cimbri. Nell'Europa centrale essi sono i germanofoni situati più a sud. Le loro regioni di provenienza sono la Baviera ed il Tirolo, da cui emigrarono attorno all'anno 1000 per colonizzare le allora disabitate regioni montane del Vicentino e del Veronese. Umanisti e letterati italiani diedero a questo piccolo popolo la denominazione di Cimbri (de Tzimbar), collegandoli ai Cimbri sconfitti dal comandante romano Gaio Mario nel 101 a. C.
In realtà le testimonianze storiche rimandano chiaramente ad una emigrazione medioevale dalla zona in cui si parla il dialetto bavarese. 
Parole cimbre come Ertag e Pfinztag per Dienstag (martedì) e Donnerstag (giovedì) testimoniano un dialetto bavarese antico, che sotto molti aspetti ha mantenuto fino ad oggi lo stadio linguistico medioevale. La posizione insulare dei cimbri ha determinato, da un lato, uno sviluppo linguistico peculiare (arcaismi lessicali e fonetici germanici, prestiti dall'italiano) e, dall'altro lato, una progressiva erosione delle dimensioni delle rispettive comunità.





(foto da internet)


Un tempo i Cimbri godevano di una forma di autogoverno; chiamavano i loro territori Sette Comuni (attorno ad Asiago -Sleghe in cimbro- in Provincia di Vicenza) e Tredici Comuni (a nord di Verona). 
Con l'arrivo di Napoleone gli furono loro tolti gli ultimi resti della precedente autonomia; i susseguenti conflitti tra Austria ed Italia colpirono i Cimbri molto duramente, dato che, durante la Prima Guerra Mondiale, il fronte si trovava proprio all'interno del loro territorio. 
Non c'è, perciò, da meravigliarsi, se l'imminente estinzione della lingua cimbra sia stata temuta da tempo. Già alla metà del XIX venne pronosticata l'estinzione del Cimbro. E invece, contro tutte le previsioni, il cimbro si è mantenuto sino ad oggi. 


(foto da internet)

La lingua cimbra è sopravvissuta anche all'evacuamento di gran parte della popolazione durante la Prima Guerra Mondiale. Attualmente, soprattutto a Giazza, nei Tredici Comuni, e a Roana, nei Sette Comuni, vivono persone parlanti il cimbro.
La lingua cimbra odierna si divide in tre dialetti ed è molto influenzata dai circostanti dialetti veneti. Moltissimi termini veneti sono entrati in esso, e anche la sintassi ha risentito della costruzione veneta. Numerose iniziative di ricerca storica e linguistica sul cimbro, nonché di divulgazione linguistica vengono portate avanti soprattutto dall'Istituto di cultura cimbra di Roana
Salvare il cimbro -sostengono i linguisti- è come salvare un fiore delle Alpi in via di estinzione dalle pressioni mortificanti di una cultura di massa che tutto mercifica e tutto appiattisce.

mercoledì 19 febbraio 2020

Cappuccino vegetale

Risultato immagini per cappuccino vegetale
(foto da internet)

La moda del cappuccino, al bar o a casa, senza il suo ingrediente principe, il latte, prende sempre più piede. A guidarla i molti 'intolleranti' convinti che la bevanda tradizionale sia meno digeribile, più pesante e meno salutare delle alternative vegetali. 

Risultato immagini per cappuccino vegetale
(foto da internet)


Quello delle bevande alternative al latte è un mercato fiorente, che risponde alla domanda di novità, salutismo, regimi dietetici vegani o semplicemente va incontro alle intolleranze al lattosio. In Italia le bevande vegetali piacciono a 12 milioni di persone, per lo più, secondo dati Nielsen, un pubblico di età compresa tra i 25 e i 54 anni, più femminile che maschile (58 per cento donne). Il mercato è cresciuto costantemente a livello globale negli ultimi anni e l’Osservatorio VeganOk stima che entro il 2024, il valore dei “plant milk” arriverà a un giro d’affari mondiale di 34,4 miliardi di euro.
Ecco una rassegna dei latti più venduti o dei più particolari, che gli appassionati di fai-da-te producono a casa.


Risultato immagini per latte di farro
(foto da internet)

Il latte di farro, ottenuto dai chicchi dell’antico cereale, ha consistenza densa e cremosa, sapore delicato e, sia caldo che freddo, si può gustare a colazione o a merenda. Come ogni altro latte vegetale, può essere bevuto insieme al caffè, con il cacao o accompagnato dai cereali. In cucina può essere usato sia nelle ricette dolci che salate per preparare creme e besciamella. In generale, il latte vegetale di farro può sostituire nelle preparazioni le altre bevande vegetali nelle medesime quantità.

Risultato immagini per latte di anacardi
(foto da internet)

Il latte di anacardi è, come la frutta secca da cui si ricava, ricco di acidi grassi omega-3, omega-6, sali minerali (potassio, fosforo, magnesio, calcio, ferro, rame), vitamine (B9 o acido folico, E, PP o niacina). Contiene anche fibre, lipidi, carboidrati e proteine. Considerato benefico per il cuore e l’apparato circolatorio, grazie agli acidi grassi ai flavonoidi e in particolare all'acido oleico, che aiuta i vasi sanguigni a essere più elastici e resistenti. A livello metabolico gli anacardi sono associati a un’azione di contrasto nei confronti del diabete.

Risultato immagini per latte di canapa
(foto da internet)

Il latte di canapa si ottiene dalla macinazione dei semi di canapa sativa (varietà ovviamente legale), già utilizzata per produrre farine, pasta, dolci e olio. Molto in voga le mamme vip di Hollywood, che lo scelgono per i loro figli. Ricco di proteine e di vitamine come la A e la E e contiene circa il 30% della razione giornaliera raccomandata di vitamina D, più una buona quantità di calcio. Valida fonte di minerali come il magnesio, il potassio e il ferro, è inoltre ricco dei “lipidi buoni” Omega 3 e Omega 6.

Risultato immagini per latte di cocco
(foto da internet)

Il latte di cocco, da non confondere con l'acqua di cocco: il primo è la polpa del cocco in forma liquida, la seconda è l'acqua contenuta al suo interno. Di solito si trova in commercio miscelato ad altri latti vegetali (cocco-riso). La metà dei suoi grassi è composta da acido laurico, che nonostante sia un grasso saturo in alcuni studi avrebbe dimostrato di diminuire i livelli di colesterolo LDL (cattivo) in favore del colesterolo HDL (buono), e di avere una forte azione antibatterica e antivirale.

Risultato immagini per latte di avena
(foto da internet)

Il latte di avena, secondo alcuni studi, potrebbe aiutare a ridurre i livelli di trigliceridi e di colesterolo “cattivo” nel sangue. Ma soprattutto, poiché l'avena è ricca di fibre, aiuterebbe chi ha problemi di regolarità intestinale, oltre ad attenuare il senso di fame. Il latte di avena è un prodotto ipocalorico e per il suo sapore dolce e delicato, viene usato in particolare per la preparazione di dolci, in sostituzione del latte vaccino.

Risultato immagini per latte di riso
(foto da internet)


Il latte di riso si ottiene industrialmente dalla macerazione dei chicchi in acqua, cui vengono aggiunti degli enzimi per il trattamento dei granuli di amido (le amilasi sono enzimi implicati nella scissione degli zuccheri complessi, i polisaccaridi, in zuccheri semplici, più facilmente assorbibili dall’intestino). Quindi si pressa il tutto. Il liquido che se ne ricava è poi sottoposto a filtrazione e, a volte, arricchito di addensanti, come amido di riso o carragenina, e di micronutrienti e oli vegetali, di cui sarebbe altrimenti carente: calcio, ferro, vitamina B12, niacina e vitamina D.

Risultato immagini per latte di semi di papavero
(foto da internet)


Latte di semi di papavero. Utilizzato come bevanda da sola o aggiunta alle zuppe, il latte di papavero è molto usato in Lituania e nell'est Europa, da dove si sta diffondendo per il suo gusto e le sue proprietà.
Calcio, vitamina E ma soprattutto un effetto calmante e antistress sono i suoi punti di forza.


Risultato immagini per latte di nocciola
(foto da internet)

Latte di nocciola. Come tutti i simil-latte di origine vegetale è privo di lattosio ed è gluten free. Ha inoltre tutte le proprietà del frutto corrispondente. Chi usa latti alternativi però spesso lo trova un po' troppo "nutty". Ha insomma un sapore meno neutro degli altri vegetali. E' quindi amato come bevanda da solo, un po' meno come sostitutivo. A meno che non amiate il cappuccino alla nocciola.

Risultato immagini per latte di mandorla
(foto da internet)

Latte di mandorla. Anche se molto dolce (e aromatico) ha meno calorie del latte di soia ed è fonte di vitamina A, vitamina D, proteine, Omega 6, zinco, calcio, ferro, magnesio e potassio ed ha un alto livello di fibre solubili e insolubili. Tra i latti vegetali è in Italia il più tradizionale e familiare. Ottimo anche freddo, tipico ingrediente di bibite estive.

Risultato immagini per latte di soia
(foto da internet)

Latte di soia. Forse non tutti sanno che tra i latti vegetali quello di soia è il più controverso. Ottima fonte di proteine - prezioso quindi per i vegani - ultimamente viene però attaccato sia perché molte coltivazioni sono ogm, sia perché contiene fitoestrogeni, che in grandi quantità interferiscono con il sistema endocrino. Dalla sua parte, tuttavia, la ricchezza in calcio e in vitamine del gruppo B, D, A, E, K. Nonché il sapore, che molti preferiscono ad altre bevande succedanee del latte.

Scegliete pure voi come preferite il latte per il cappuccino! E il caffè???

lunedì 17 febbraio 2020

Dante (game over)



(foto da internet)

Sull'Inferno potremmo scrivere fiumi di parole:  è il termine con il quale si è soliti indicare il luogo di punizione e di disperazione che, secondo molte religioni, attende, dopo la morte, le anime degli uomini che hanno scelto in vita di compiere il male.

Il termine deriva dal latino infernum e viene relazionato alla nozione, in alcune religioni, di luogo di punizione e di disperazione. L'Inferno è un concetto presente in un gran numero di culture precristiane, cristiane e non cristiane. È solitamente identificato con un mondo oscuro e sotterraneo, collegato all'errore, alla menzogna, al peccato, e, in definitiva, al principio distruttivo dell'ordine delle cose.
Il regno dei morti greco/latino era, al contrario di quello ebraico e cristiano, un vero e proprio luogo fisico, al quale si poteva persino accedere in terra da alcuni luoghi impervi, difficilmente raggiungibili o comunque segreti e inaccessibili ai mortali; nella tradizione greca, per esempio, uno degli ingressi all'Ade si trovava nel paese dei Cimmeri, e proprio in questa regione remota Ulisse dovette recarsi per discendere all'Ade, ed incontrare l'ombra dell'indovino Tiresiaper conoscere la strada del ritorno a Itaca



 (foto da internet)

Nella tradizione romana, invece, uno degli ingressi infernali si trovava vicino al lago dell'Averno.  Virgilio narra nell'Eneide la discesa di Enea agli Inferi e redige una vera e propria topografia infernale che verrà ripresa nel primo canto della Divina Commedia di Dante Alighieri (vi proponiamo un'ottima spiegazione>> dell'Inferno dantesco, con una lettura magistrale del testo, da parte dell'indimenticabile Vittorio Gassman).
Ebbene, 700 anni dopo, ci si può ancora perdere nella selva oscura e si possono affrontare le fiere... farsi largo attraverso luoghi cupi e impervi, come se davvero fossimo Dante, per poi ritrovare la strada che sale verso il monte, arrivando fino alla porta dell’Inferno grazie a una guida speciale, il maestro e vate Virgilio. Attenzione: la Divina Commedia rivive in realtà virtuale! Dalla collaborazione fra la start up italiana Beyond the Gate e il Collegio San Carlo di Milano nasce il gioco Dante Vr | La Porta dell’Inferno, fedelmente ispirato al canto di apertura del poema dantesco, tanto da aver ricevuto il prestigioso patrocinio de La Società Dante Alighieri.



(foto da internet)

Il gioco offre la straordinaria opportunità di vivere in prima persona la Divina Commedia, impersonificando il poeta stesso ed entrando man mano nel primo canto, come fosse un luogo reale attorno. 
La sfida è quella di utilizzare il potenziale offerto dal digitale – e in questo caso dal videogioco – adattandolo al contesto educativo, con l’obiettivo di valorizzare e diffondere contenuti culturali. Questo è solo il primo capitolo, il gioco poi proseguirà anche per i canti del Purgatorio e del Paradiso con nuove narrazioni in realtà virtuale. Della durata di circa 15 minuti, il gioco è stato realizzato nell’arco di sei mesi.


(foto da internet)

Il lancio avviene in concomitanza con l’inaugurazione dei nuovi spazi polifunzionali all’interno del Collegio San Carlo: quattro nuovi ambienti dedicati al potenziamento dell’offerta didattica, alle arti espressive e alla digitalizzazione, con la creazione di laboratori per la robotica e i linguaggi digitali, una sala musica, un atelier d’arte e una sala polifunzionale, a seguito di un importante progetto di riqualificazione architettonica.
Papa Francesco, il 25 novembre 2016, ha dichiarato: "L'inferno non è una sala di tortura. Consiste nell'essere lontani per sempre dal Dio che dà la felicità". 
O forse è un videogioco?

venerdì 14 febbraio 2020

In ginocchio da te




(foto da internet)

Per la prima volta un film straniero vince l'Oscar per il miglior film: Parasite del sudcoreano Bong Joon Ho che si è aggiudicanto il più prestigioso degli Oscar. Già Palma d'Oro a Cannes, il noir recitato in lingua originale ha portato a casa in totale quattro statuette: oltre al Best Film, anche quelle per il miglior regista, miglior film internazionale e migliore sceneggiatura originale. 
Parasite è un film che solo apparentemente racconta una storia semplicissima sullo scontro fra poveri e ricchi. In verità l’opera di Bong Joon Ho nasconde una grande complessità. L’inizio è cinicamente ironico con il racconto delle due famiglie protagoniste, una poverissima che vive nella misera totale, dove però non sembra mai perdersi il sorriso, dove ci si accontenta del nulla, ci si fa forza l’un con l’altro, mentre l’altra famiglia straricca sembra essere in preda ad una follia esistenziale dove l’agio è solo il substrato di mille altri problemi e si respira un’infelicità di fondo. 




(foto da internet)

Quando in un banale e improbabile gioco di incastri la famiglia povera si trasferisce con l’inganno presso la famiglia ricca per svolgere lavori domestici, la commedia cede il passo alla tragedia in cui però prevale lo splatter più che la violenza, che si instaura gradualmente e che, a un certo punto, crea una catarsi senza via di scampo per nessuno.
Parliamo di Parasite anche perché,  nella colonna sonora del film, fa la sua comparsa, spiazzando lo spettatore, in una scena clou centrale, una canzone di Gianni Morandi: In ginocchio da te.
Perché? Bong Joon-ho lo spiega in questo modo: "Mio padre aveva molti dischi italiani e mi erano familiari, anche se non conoscevo le singole canzoni. Per quella scena piuttosto feroce in cui volano minacce, cercavo un brano rilassante, qualcosa che mi facesse pensare al sole del Mediterraneo. Volevo che i suoni fossero del tutto in contrasto con la violenza delle immagini". 



(foto da internet)


E così Morandi fa da sfondo all’arredamento asettico della villa della famiglia Parks con una canzone d’amore che il cantante interpretò da giovane in una commedia romantica. Per una curiosa coincidenza i protagonisti del fim, in quella sequenza, sono proprio in ginocchio.
La commedia -per la regia di Ettore Maria Fizzarotti, uno specialista in musicarelli-,  in cui si lanciò il celebre brano musicale, risale al 1964, ed è una storia di amore e corna, ambientata principalmente a Napoli, che prende il titolo proprio dalla suddetta canzone. I due protagonisti del film, Morandi e Laura Efrikian, convoleranno a nozze due anni dopo averla interpretata. 



(foto da internet)

In ginocchio da te rappresentò la consacrazione di un giovanissimo Morandi, il quale, nel luglio del 1964, con questo brano vinse il Cantagiro a vent’anni non ancora compiuti. 
La canzone, scritta per lui da Franco Migliacci e Bruno Zambrini, rimase per ben 17 settimane in vetta alle classifiche italiana, stabilendo un vero e proprio record.

mercoledì 12 febbraio 2020

Estrosità gastronomica?

Risultato immagini per mozzarella alla nutella
(foto da internet)

È un'idea estrema, di quelle che obbligano a prendere parte: una trovata geniale o blasfemia? Arriva la mozzarella alla Nutella, una combinazione di gusto che sfiora l'impossibile. La realizzano a Martina Franca, nel caseificio Semeraro: "Sarebbe come una burrata - spiega Rosita, la figlia del titolare Francesco - Ma all'interno ci trovi il cuore di Nutella. Se si mangia calda, appena fatta, ha il sapore del latte con il Nesquik. Da fredda, invece, si sente il contrasto fra dolce e salato".

Risultato immagini per mozzarella alla nutella

(foto da internet)


La mozzarella alla Nutella è nata non per gioco. Il caseificio Semeraro è una ditta a conduzione familiare: una vita passata fra latte e formaggi, fino a quando, dopo 35 anni, ha deciso di aprire la propria attività dato che i figli cominciavano a diventare grandi. Ora il caseificio Semeraro ha due sedi a Martina Franca.

E, anche per stimolare la produzione e svincolarsi dalla concorrenza, ha deciso di inventare quel binomio pazzesco fra dolce e salato, appunto la mozzarella alla Nutella. Che sembra chiedere impegno a chi la assaggia, e che allo stesso tempo incontra gli adepti da un lato di uno dei prodotti più importanti della Puglia, dall'altro della crema spalmabile più amata al mondo.

Risultato immagini per mozzarella alla nutella caseificio
(foto da internet)


È una sfida all'ortodossia del gusto, ma a quanto pare piace: "Abbiamo avuto in visita degli studenti Erasmus, e l'hanno apprezzata", dice Rosita Semeraro. Ma non è un prodotto che si trova quotidianamente al bancone. "È da vendere in giornata, a causa dei suoi ingredienti deperibili", e allora meglio lavorare su ordinazione, anche perché la mozzarella alla Nutella sembra dia il meglio ai ricevimenti.
Francesco Semeraro è uno che non si arrende mai, e che accoglie di buon grado le novità: è comparso anche nel videoclip di 'Mambo salentino', la canzone dei Boomdabash con Alessandro Amoroso. Ovviamente impegnato nel suo lavoro, intento a trasformare il latte in pasta filata.


lunedì 10 febbraio 2020

Ciak and wine





(foto da internet)

Il vino incontra il cinema nei giorni che intercorrono tra  Buywinela più importante vetrina B2B per il settore vitivinicolo in Toscana, e delle Anteprime di Toscana 2020,  durante le quali i Consorzi di Tutela presentano le nuove annate. In questo intervallo di tempo, si terrà a Firenze la prima edizione di Ciak & Wine (dal 7 al 10 febbraio), una rassegna cinematografica accompagnata da degustazioni, organizzata dalla Regione Toscana. Seguirà, il 14 febbraio, un convegno sulle cantine di design all’Auditorium di Sant’Apollonia per l’evento L’architettura del vino nell’era dell’enoturismo.
(foto da internet)

In questi giorni il pubblico del capoluogo toscano potrà avvicinarsi al mondo del vino da un punto di vista assai originale: sette proiezioni a ingresso libero al Cinema La Compagnia (via Cavour 50/r), che verranno intervallate da degustazione a cura dei sommelier Fisar dei vini dei Consorzi: Carmignano, Vino Chianti, Chianti Rufina, Vino Nobile di Montepulciano, Vino Vernaccia di San Gimignanotutti i giorni dalle 20 alle 21 con prenotazione obbligatoria via mail a info cinemalacompagnia.it.






(foto da internet)

Tra i film proposti il documentario Resistenza Naturale di Jonathan Nossiter, viaggio tra i vignaioli italiani indipendenti, il cortometraggio Vinum Insulae, di Stefano Muti, alla presenza del regista e del protagonista, il viticoltore elbano Antonio Arrighi, sulla produzione del cosiddetto vino marino Nesos, con l'uva immersa in mare come facevano gli antichi greci,  la commedia americana Sideways - In viaggio con Jack, e poi ancora Rupi del vino, un documentario di Ermanno Olmi sulla viticoltura eroica in Valtellina e la commedia Finché c'è prosecco c'è speranza, di Antonio Padovan.
Sul fenomeno Bordeaux si proietterà il documentario Red Obsession di David Roach, e Ritorno in Borgogna, di Cédric Klapisch

venerdì 7 febbraio 2020

Non è che c'hai la bamba?





(foto da internet)

Ormai sono virali i video di Matteo Salvini che citofona e chiede: "Sei uno spacciatore?Lʼepisodio, ripreso durante una sua visita al Pilastro, un quartiere periferico di Bologna, ha visto il leader della Lega impegnato al citofono di un cittadino tunisino, chiedendo a chi rispondeva se si trattasse di uno spacciatore. 
Il gesto del politico italiano ha ispirato numerose parodie, tra cui quella del gruppo Rimbamband, un quintetto comico barese, che è davvero esilarante. 
La parodia si basa sulla celeberrima canzone La Bamba (ascolta>>) nota soprattutto grazie alla versione di Ritchie Valens.




(foto da internet)

La Bamba è nata come brano popolare messicano, in particolare dello stato di Veracruz, dove in passato veniva eseguito durante i matrimoni. Nella canzone vengono usati un violino, una chitarra, un'arpa e delle jaranas, un tipico strumento di Veracruz.
La canzone tradizionale ispirò Ritchie Valens a farne una versione rock and roll negli anni '50. 



(foto da internet)


La parodia, interpretata dal gruppo barese, ha come bersaglio un ignaro cittadino del Trentino Alto Adige. dove il gruppo si trova per alcuni spettacoli, e naturalmente viene cantata al citofono di rigore.... Il video è diventato virale: su Facebook ha oltre 15mila like, 26mila condivisioni e più di 2mila commenti.




Il testo della canzone-parodia, interpretata dai Rimbamband, gioca sulla parola Bamba, che, in una voce di origine gergale, significa cocaina.
Buon divertimento!