(foto da internet)
Si chiama Sofia Corradi, ha 82 anni e lunedì scorso, nel monastero di Yuste a Caceres, in Estremadura, ha ricevuto il prestigioso premio Carlo V, riconoscimento assegnato negli anni a personaggi che hanno contribuito alla costruzione europea, da Helmut Kohl a José Barroso, Jacques Delors, Simone Veil. Sofia Corradi ha inventato l’Europa della conoscenza. Il premio per lei sta già tutto in quel soprannome che milioni di ragazzi e professori le han dato: «Mamma Erasmus». È a lei, infatti, alla sua tenacia, alla sua lungimiranza, che si deve la nascita del programma di mobilità tra atenei universitari denominato con l’acronimo di «European Action for the Mobility of University Students», che poi nel tempo è stato facile associare alla figura del filosofo olandese che tra Quattrocento e Cinquecento percorse il Vecchio Continente per conoscere e comprendere le diverse culture che lo popolavano. È questa donna, che fino al 2004 ha insegnato Educazione degli adulti alla facoltà di Scienze della Formazione dell’università di Roma Tre, che ha reso possibile per 4 milioni di studenti, di quattromila atenei, un’esperienza all’estero durante gli anni di studio. Insieme al riconoscimento solenne, Sofia Corradi ha ricevuto anche un premio in denaro di 90mila euro: la metà rimarranno a lei, il resto verrà distribuito tra 12 dottorandi, sotto forma di borse di dottorato da assegnarsi a seguito di concorso europeo.
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Dopo aver compiuto studi e ricerche negli Stati Uniti, all’Aja, alla London School of Economics, all’Unesco, Sofia Corradi si è scontrata contro l’ottusità di una burocrazia che le negava il riconoscimento degli studi (seppur prestigiosissimi) svolti all’estero. Un rifiuto che ha innescato una battaglia durata vent’anni, per convincere i rettori delle università europee ad inserire programmi di scambio universitario nei loro piani di studi. «L’architettura di base mi era chiara fin dall’inizio - dice Corradi -: con il consenso della facoltà di provenienza e in base ad accordi tra le due università coinvolte, lo studente poteva andare a studiare all’estero. Al suo ritorno in Italia, le università si impegnavano a riconoscere gli studi fatti all’estero».
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«Un modo per dare a chiunque lo desiderasse la possibilità di fare quello che solo una famiglia ricca poteva permettersi», dice Corradi. «Un programma rivoluzionario, che quando lo illustravo suscitava due tipi di reazioni: da una parte a chi mi diceva che era un’idea balzana, di lasciar perdere, che le nostre università erano sufficientemente buone e non c’era bisogno che i nostri giovani andassero all’estero per correre dietro alle ragazze di altri Paesi. Dall’altra chi, dopo avermi ascoltato solo per venti secondi, subito capiva, si entusiasmava». Un’idea che solo nel 1987 arrivò a realizzarsi. Dopo un’interminabile sequela di riunioni, discussioni, incontri, barriere burocratiche. L’approvazione definitiva, con la ratifica del Consiglio dei ministri nel giugno 1987. In quello stesso anno, 3000 studenti hanno potuto migliorare la loro formazione in un’altra università europea.
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Oggi Erasmus - che per il settennio 2014-2020 ha ricevuto in dote un finanziamento di 125 miliardi di euro, e che dal 2014 è stato potenziato come «Erasmus Plus» - è definito, nei documenti ufficiali della Commissione Europea, «il programma di gran lunga di maggior successo tra tutti quelli di formazione ed educativi dell’Unione». E ora c’è chi vorrebbe renderlo obbligatorio per tutti: «Mi inseguono per chiedermi di promuovere delle campagne in questo senso. Mentre quando avevo trent’anni dovevo inseguire io la gente nei corridoi per distribuire ciclostili e pregarli di ascoltare le mie idee». Ma «Mamma Erasmus» è contraria all’estensione universale del programma. «È vero, dovrebbe avere una diffusione maggiore (oggi parte soli il 5% degli studenti italiani) - dice -. Ma è bene che venga scelto solo da chi è davvero motivato. È importante l’autoselezione. Quando poi tornano, i ragazzi che hanno vissuto l’esperienza, sono persone diverse: hanno stima di sé, della propria cultura nazionale, sanno come si dialoga con chi è di cultura diversa, non giudicano, hanno una marcia in più». «Gli Erasmiani - sostiene Corradi - imparano a galleggiare in mezzo ai marosi della vita, a cavarsela da soli nelle difficoltà».
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Unico limite, l’importo della borsa di studio, che non copre tutte le spese. «Ma la filosofia del programma - spiega Corradi - è sempre stata quella di consentire agli studenti di coprire le spese in più che avrebbero avuto studiando all’estero. Certo, è importante che chi ne ha la possibilità - associazioni, aziende, enti locali - aggiungano alle borse Erasmus somme che garantiscano autonomia agli studenti. Quando si entra nel sistema, poi, si gode di altri vantaggi: per esempio si abita e si mangia a prezzi convenzionati».
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