(foto da internet)
Il celeberrimo dipinto di Botticelli, venne realizzato fra il 1477-1478 e la metà degli anni Ottanta, probabilmente in vista della nascita del figlio naturale di Giuliano de’ Medici, Giulio, il futuro papa Clemente VII, nato poi nel maggio del 1478, poco dopo la morte del padre, ucciso nella congiura dei Pazzi. Il dipinto presenta nove personaggi quasi allineati in primo piano: due figure maschili ai lati, sei femminili, di cui una posta in particolare risalto al centro isolata e un po’ arretrata, e un putto alato sopra quest’ultima. Questo capolavoro si può ammirare presso la Galleria degli Uffizi di Firenze. Orbene, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in collaborazione con il quotidiano La Repubblica, offrono ai lettori, solo fino al 6 ottobre, la possibilità di godersi La primavera senza recarsi nella città dell’Arno. Come? Grazie alla tecnologia di HaltaDefinizione è possibile apprezzare ogni più piccolo particolare del quadro: per fare un confronto, la definizione è 3000 volte maggiore delle immagini scattate dalle comuni macchinette fotografiche. Per navigare, si può cliccare sul + e sul -, o fare lo zoom usando la rotellina del mouse (ecco a voi il magico link>>).
Le nove figure, dalle forme allungate e flessuose, con atteggiamenti eleganti e leggiadri, si trovano in una sorta di giardino delimitato da un boschetto di agrumi, fra le cui fronde, con frutti e fiori ben visibili, spuntano anche rami e foglie di alloro, cipresso, conifere, strobilo e mirto (dietro a Venere). Il fitto manto erboso è intessuto da centonovanta piante fiorite, delle quali ne sono state identificate centotrentotto. Si tratta, in generale di fiori, che sbocciano nella campagna fiorentina in primavera. La scena si svolge sul fondo di un cielo azzurro senza profondità, quasi una lastra chiara che pare avere il compito di dar risalto all’oscura vegetazione. Su questa si stagliano le figure, i panneggi, i fiori inondati di luce.
La luce è astratta, senza una fonte precisa, con lo scopo di porre in risalto precisi dettagli, come il ventre prospiciente della figura al centro, i drappi trasparenti delle fanciulle seminude, le corolle multicolori dei fiori in primo piano. Il tempo non sembra trascorrere nella scena, l’eternità la pervade: nessuna ombra riportata segna il prato; i piedi dei personaggi, che pure camminano, danzano, posano, non calpestano nessuna pianta; nessun fiore e nessuna foglia appaiono appassiti, come nessun bocciolo sembra spuntare.
La composizione, che non illustra una scena narrativa precisa, è una delle più emblematiche del Rinascimento fiorentino, quanto una delle più complesse per il linguaggio cifrato che in sé racchiude. Destinata certo a un pubblico elitario bene addentro alla raffinata cultura dell’epoca, l’opera si presenta densa di riferimenti letterari, filosofici e iconografici, che hanno spesso spinto cultori e studiosi a ricercarne le fonti e i nessi. I personaggi rappresentati sono stati di solito identificati sulla base del confronto con la letteratura coeva (in particolare le Stanze e il Rusticus di Agnolo Poliziano) o con i testi latini allora letti e commentati (come i Fasti di Ovidio, l’ Asino d’oro di Apuleio, il De Rerum Natura di Lucrezio).
Secondo la lettura più comune, il giardino in cui è ambientata la composizione è una sorta di spazio circoscritto ideale e in sé perfetto dove tutto è armonia di forme e sentimenti, che richiama il mitico giardino delle Esperidi con i pomi d’oro, i frutti dell’immortalità nel Rinascimento associati ai limoni e agli aranci. Di solito le nove figure sono così identificate rispettivamente: al centro si trova Venere, dea dell’amore casto e generatore, posta contro un cespuglio di mirto, pianta a lei sacra; sopra la dea, vola Cupido, bendato che sta per scoccare una freccia verso le tre Grazie, che danzano in cerchio; accanto a queste ultime, sulla sinistra Mercurio, con i calzari alati e il caduceo, tiene lontane le nubi difendendo la magica perfezione del giardino; a destra, Zefiro, il vento pungente che introduce la primavera, rapisce la ninfa Clori, dalla cui bocca fuoriescono tralci di fiori; la stessa Clori appare accanto trasformata nella dea Flora, grazie al dono di nozze fattole da Zefiro; Flora, divinità giovane e feconda, protettrice dei lavori agricoli e della fertilità femminile, prende fiori dal lembo della veste sul suo grembo.
La composizione di Botticelli illustrerebbe le personificazioni citate nel trattato De nuptiis Mercurii et Philologiae, scritto dal retore africano Marziano Capella nel IV-V secolo d.C..
Iniziando da sinistra, Mercurio, allegoria dell’Ermeneutica e dell’Eloquenza, si volge verso Apollo-Sole (la Poesia) per chiedere consiglio per sposare Filologia (la figura di solito ritenuta Venere) posta al centro; questa è accompagnata da un lato dalle tre Grazie favorevoli alle nozze, in alto dal Genio volante dio dell’Amore, e dall’altra parte da Retorica (in genere identificata con Flora-Primavera); la ninfa in fuga dalla cui bocca fuoriescono fiori, avvinta dal Genio alato, è Flora, protettrice delle unioni coniugali.
Buon divertimento!
1 commento:
Grazie Gianpiero per questo articolo. Senza dubbio questa è una delle opere pittoriche più bella nella storia del arte.
Posta un commento