venerdì 23 febbraio 2018

Pierino del dottore




(foto da internet)

"Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: -Non si dice lalla, si dice aradio-. Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola."  
Lettere a una professoressa, da cui abbiamo tratto il brano sopraccitato, è un libro scritto dagli allievi della scuola di Barbiana, insieme a don Lorenzo Milani, in cui si mescolano principi pedagogici e forti accuse nei confronti della scuola tradizionale,  esemplificando le differenze sociali tra gli studenti con il personaggio di Pierino del dottore (e cioè Pierino, il figlio del dottore, che sa già leggere quando arriva alle elementari).




(foto da internet)



Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, nel seno di una famiglia colta e agnostica. Venne battezzato quando si profilò il rischio delle leggi razziali, dato che la madre era di origine ebraica. Il giovane Lorenzo ottenne a Milano la maturità classica e si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti, ma, nel 1943 decise di entrare in seminario.  Nel luglio del '47 diventò sacerdote. Passò qualche mese a Montespertoli (Firenze), ed ottenne la sua  prima destinazione a San Donato a Calenzano (Firenze), un comune operaio in provincia di Firenze, con una forte presenza del Partito Comunista Italiano
In contatto con la povertà e lo sfruttamento, la miseria materiale e intellettuale in cui versava il suo popolo maturò una profonda coscienza sociale. Lì ebbe inizio la sua esperienza didattica: la scuola che fondò si propose di dare ai suoi studenti gli strumenti necessari per poter leggere almeno un contratto di lavoro e per difendersi dallo sfruttamento. 




(foto da internet)

In quegli anni prese le sue prime posizioni pubbliche come la lettera aperta “Franco, perdonaci tutti, comunisti, industriali, preti”, scritta a un giovane disoccupato, in cui mise in evidenza le contraddizioni della Chiesa.

Inviso alle gerarchie ecclesiastiche, nel 1954 gli fu assegnata un'altra parrocchia a Sant’Andrea di Barbiana (una frazione di Vicchio), una pieve isolata nel Mugello. Incominciò così un'esperienza educativa unica, rivolta ai giovani di quella comunità che, per ragioni geografiche ed economiche, erano fortemente svantaggiati rispetto ai coetanei di città. Don Milani trovò a Barbiana pastori e contadini, schiavi della mezzadria, i cui figli erano predestinati alla vita dei padri,  espulsi sin da piccoli dalla scuola, scartati e annullati come persone.




(foto da internet)


La scuola di Barbiana iniziò come doposcuola per diventare successivamente avviamento professionale e, nel 1963, corso di recupero per la media unificata, anche grazie al prezioso aiuto di Adele Corradi, un'insegnante che chiese il trasferimento in una scuola pubblica della zona, per dare una mano a don Milani.
Nel 1958, don Milani pubblicò Esperienze pastorali un trattato di scienze pastorali, incentrato su una profonda riflessione sociologica sulle condizioni delle comunità a lui affidate e sul ruolo del parroco in contesti di povertà materiale e intellettuale. Il libro fu osteggiato dalla Curia fiorentina e venne ritirato, pochi mesi dopo, dal Sant’Uffizio.
La bocciatura di due ragazzi di Barbiana all’esame d’ammissione alle scuole magistrali, innescò Lettera a una professoressa, il suo testo più noto, una spietata e lucida disamina della scuola pubblica di quegli anni, incapace di colmare le differenze sociali esistenti tra gli studenti.




(foto da internet)


Il testo fu scritto con l’innovativo metodo della scrittura collettiva insieme ai ragazzi e andò alle stampe nell’aprile del 1967. Don Milani, gravemente malato, morì due mesi dopo l'uscita del testo.  
Orbene, a volte, in Italia, si ha l'impressione di essere tornati al passato. Fra i tanti problemi che affliggono la nostra scuola, c'è anche quello del marketing dei cosiddetti presidi-manager. In questi ultimi mesi, alcuni di essi hanno rispolverato un blasone stantio e fortemente classista.

Il Giuseppe Parini, liceo storico milanese, si presenta sul sito ministeriale ricordando che: “Gli studenti del classico, per tradizione, hanno provenienza sociale più elevata. Ciò nella nostra scuola è molto sentito” (sic).
E ancora il liceo romano Santa Giuliana Falconieri scrive: “Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana (...) Negli anni sono stati iscritti figli di portieri e custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri e custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi”.



(foto da internet)

Un altro liceo romano, il Quirino Visconti, si pubblicizza in questo modo: “Tranne un paio, gli studenti sono italiani e nessuno è diversamente abile. Tutto ciò favorisce l’apprendimento”.
E il liceo genovese Andrea D’Oria lancia un'altra perla: “L’assenza di gruppi particolari (ad esempio nomadi o provenienti da zone svantaggiate) dà un background favorevole”.
In soldoni: carissimi studenti (italiani) benestanti di razza bianca, sani e felici, venite al nostro liceo perché qui non ci sono immigrati, poveri (e/o figli di custodi) e disabili.
Insomma, per dirla con i ragazzi di Barbiana:  scuola peggiore ai poveri sin da piccini.
Don Milani è ancora profeticamente attuale.











1 commento:

paolo gimmelli ha detto...

Grazie Gianpiero per questo post. Don Milani dovrebbe essere la guida di ogni operatore della scuola. Non conoscevo le 'perle' che hai presentato riguardo le scuole italiane. Spero a Napoli non succeda.
baci