venerdì 26 gennaio 2018

Gianni Schicchi





(foto da internet)

Iniziamo dalla letteratura. Gianni Schicchi fu un cavaliere fiorentino, vissuto nel XIII secolo. Egli fu garante delle promesse di grano per il rifornimento dell'esercito. Dante gli riservò un posto nell'Inferno, giacché fu un falsificatore di persona, sul cui crimine vi sono copiose notizie di antichi commentatori.
Scrive Dante (Inf. XXX, vv. 32-22): 
"Quel folletto è Gianni Schicchi,
e va rabbioso altrui così conciando"
Schicchi è nella bolgia dei falsari per aver imbrogliato gli altri prendendo il posto di messer Buoso Donati.
Lo Schicchi, infatti, famoso per le imitazioni delle persone, quando morì senza prole il ricchissimo vedovo Buoso Donati, su richiesta dell'amico Simone Donati, nipote di Buoso, si intrufolò nel letto del defunto poco dopo la sua dipartita e, chiamato un notaio, dettò testamento a favore di Simone, che venne puntualmente ratificato. 






(foto da internet)

L'episodio di cui fu protagonista Gianni Schicchi è fortemente novellesco. Scrive il cronista Iacopo: "(...) di due qui si ragiona d'i quali l'uno fu un cavaliere di Firenze nominato Gianni Schicchi de' Cavalcanti, il quale, tra l'altre sue operazioni, alcuna volta, a petizione d'un altro cavaliere di Firenze nominato messer Simone de' Donati, in un zio del detto messer Simone nominato messer Buoso, in fine di morte stando in sul letto, falsamente trasformato, il testamento di lui a suo modo fece, lasciando reda della maggior parte del suo il detto messer Simone, nel quale testamento finalmente una sua cavalla di pregio d'alcun suo armento a sé medesimo diede".
L'abile messa in scena e l'esecuzione della truffa da parte del falsario Schicchi consistette nell'indossare la cappellina del defunto Buoso Donati, e testare piccole somme all'Opera di Santa Reparata, ai frati minori, ai predicatori... e poi, da maestro, assegnò  cinquecento fiorini a sé stesso (!), contro la volontà di Simone, oltre ad avere anche "migliore mula di Toscana" e un credito di altri cento fiorini; il falso Buoso Donati designò altresì il nipote Simone a erede universale, con l'obbligo di dare esecuzione al testamento entro quindici giorni. 





(foto da internet)

Da questa storia, e con caratteri stilistici più lievi e ameni, Giacomo Puccini compose l'opera omonima, in un atto unico, sul libretto di Giovacchino Forzano, che venne rappresentata nel 1918 al Metropolitan Opera House di New York
I personaggi principali sono: Gianni Schicchi (baritono), Lauretta (soprano) e Rinuccio (tenore).
Gianni Schicchi fu l'opera che ebbe più successo del cosiddetto Trittico. Puccini puntò tutto sulla comicità del testo, mettendo in risalto l'avidità senza scrupoli dei parenti di Buoso Donati e la sfrontatezza dello Schicchi nel mettere a punto la beffa.
L'opera suscitò l'apprezzamento pieno del pubblico e della critica.  In essa, Puccini esprime tutto il suo talento: in alcuni passaggi musicali, il compositore toscano tenne in scena tutti i parenti di Buoso Donati: ben nove solisti con cui formò un piccolo coro per scandire i vari momenti dell'azione.
Nel testo pucciniano, alla morte di Buoso Donati, sorge un grave dubbio ai parenti del defunto: la diseredazione. Il ritrovamento della pergamena conferma ogni timore. Rinuccio vede sfumare così il suo progetto di vita con l'amata Lauretta. 




(foto da internet)


Disperato, propone ai parenti di chiedere consiglio su come aggirare le imposizioni testamentarie affidandosi al parere del di lei padre Gianni Schicchi, uomo astuto ed accorto. Questi si reca alla casa dei Donati ma non viene ricevuto in maniera altezzosa dai parenti. Lo Schicchi si offende ed è pronto a lasciare la casa, ma la figlia lo implora affinché resti e trovi una soluzione per farle coronare il suo sogno d'amore. Nel frattempo, il dottor Spinelloccio è venuto ad informarsi sullo stato di salute di Buoso Donati, che è già morto. Cosicché Gianni  Schicchi si infila nel letto e prende il posto del defunto; risponde alle domande del dottore e chiede subito che sia chiamato il notaio per dettare il testamento. L'astuto Schicchi si fa lasciare i beni più preziosi del patrimonio tra cui la casa di Firenze, la mula, i mulini di Signa. I parenti sono così beffati dal beffatore... Alla fine, Schicchi scaccia tutti da casa, ormai divenuta sua per testamento di Buoso Donati (!), e si riappropria dei suppellettili che i parenti avevano cercato di rubare. Lauretta non è più di famiglia plebea, dato che suo padre ha acquisito una notevole fortuna. 
Lo Schicchi osserva Rinuccio e Lauretta amoreggiare e, rivolgendosi al pubblico, giustifica la propria astuzia spiegando di aver osato tanto solo per il bene dei due fidanzati e reclama l'attenuante.
Alcune arie dell'opera sono famosissime. Ricordiamo:
O mio babbino caro (Lauretta),  Si corre dal notaio (Gianni Schicchi), Avete torto! (Gianni Schicchi), Lauretta mia, staremo sempre qui! (duetto Rinuccio-Lauretta).




















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