mercoledì 17 febbraio 2016

Perché Sanremo è Sanremo

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(foto da internet)

Tipica frase della settimana di sanremo di un italiano medio: “Di solito non la guardo, ma devo proprio dire che…”. La frase è un grande classico quando si parla di televisione, a rimarcare una distanza vera o presunta da un medium che ancora, a distanza di più di sessant’anni, sembra spesso più banale, volgare, “deficiente”.
E una premessa che diventa ancor più necessaria la settimana di Sanremo, quel breve periodo a febbraio, in cui persino i più insospettabili capitolano e sostano anche soltanto per cinque minuti davanti all’apparecchio tv (o alle clip su YouTube) per saggiare qualche canzone, giudicare le performance di conduttori e vallette, rimpiangere i tempi in cui i brani erano migliori e le sorprese erano davvero tali.

Possiamo resistere, possiamo negarlo, ma ha avuto ragione Carlo Conti, al timone da due edizioni, quando come slogan dei suoi Festival ha scelto la doppietta “tutti amano Sanremo” e “tutti cantano Sanremo”.
Non si scappa dalla tautologia. La gara di canzonette sulla riviera ligure, e tutta la costruzione televisiva e spettacolare che sta intorno, almeno per alcuni giorni è un discorso totalizzante: tutti (o molti) sono coinvolti in qualche modo, prendono posizione, condividono memorie, si lanciano in critiche, televotano, commentano abiti e gag, diventano fan o detrattori.

(foto da internet)

Orbene, una magnifica storia del “costume di casa” capace di racchiudere in pochi minuti un mucchio di sensazioni, quelle gradevoli e anche quelle più sgradevoli. E quest'anno lascia sorpresi per lo stile del festival la vittoria degli Stadio, vecchi frequentatori del palco che sono sempre arrivati nelle retrovie, a dispetto dei vincitori delle ultime edizioni che hanno visto primeggiare i protagonisti dei talent show. Insieme agli Stadio vi lasciamo anche la performance di Elio e Le storie Tese con Vincere l'odio.  


(foto da internet)

Insomma, un festival normale, attento a quel che succede nel paese reale, tra nastrini arcobaleno tra le mani dei cantanti per ricordare che le unioni civili sono all'ordine del giorno al Senato e storie di vita, come quella di Ezio Bosso.

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