(foto da internet)
Riciclare fa bene all’ambiente e alle sorti del pianeta. Quello che non si sa è quanto faccia bene anche al mondo del lavoro. La parola chiave è “economia circolare”: una transizione che, come spiega il ministero dell’Ambiente, «sposta l’attenzione sul riutilizzare, aggiustare, rinnovare e riciclare i materiali e i prodotti esistenti. Quel che normalmente si onsiderava come rifiuto può essere trasformato in una risorsa».
Che la mala gestione della plastica sia un’emergenza che mette a rischio i fragili equilibri degli ecosistemi del pianeta lo raccontano alcuni dati della Ellen MacArthur Foundation sulla “New Plastics Economy”: soltanto il 14 per cento degli imballaggi di plastica utilizzati a livello mondiale arriva fino agli impianti di riciclaggio, e soltanto l’8 per cento è effettivamente riciclato.Un terzo diventa inquinamento e finisce in mari, fiumi, valli, montagne, boschi, nelle città. In questa nostra era, riciclare e trasformare il rifiuto in una risorsa è sempre di più una necessità, capace di creare anche opportunità lavorative.
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Non esiste la plastica, esistono le plastiche, ci spiega Giancarlo Longhi presidente onorario di Coripet, consorzio volontario del riciclo del Pet, una particolare materia plastica, il polietilentereftalato, che ha il vantaggio di essere al cento per cento riciclabile perché non tutto quello che noi mettiamo nel nostro bidone della plastica è riciclabile. Soltanto una parte degli imballaggi raccolti attraverso la differenziata alimenta poi il circolo virtuoso del riciclo. È quanto accade nel caso dei “poliaccoppiati”, ovvero più plastiche accorpate, che ai consumatori sembrano un solo tipo di plastica.
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Alle aziende servirebbe qualcuno capace di occuparsi della progettazione dei materiali e pensare fin dall’origine di un imballaggio in termini di trasformazione e riduzione, spiega Longhi, che ci accompagna in un viaggio attraverso quelle nuove figure professionali necessarie a gestire sempre meglio la filiera del riciclo della plastica.
L’ambiente, spiega Longhi, sta diventando sempre più un mestiere. «La sostenibilità non è mai una via univoca, ovvero una sola in assoluto e valida per tutti i materiali. Quello che va bene per un materiale può non esserlo altrettanto per un altro”. Il rapporto Brutland che per primo ha definito nel 1987 la sostenibilità è chiaro: “lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” Per questo occorrono figure professionali in grado di tradurre azioni in comunicazioni più complesse, perché l’ambiente è complesso».
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Ci occupiamo troppo spesso di vedere soltanto ciò che è visivamente inquinamento, come una bottiglia gettata per terra, spiega Giuseppe Dadà, responsabile qualità di Ferrarelle SpA. L’inquinamento però «deve essere affrontato con una filiera che permetta di rimettere il prodotto in vita in una forma nuova, come accade con il Pet», creando così un’economia circolare che richiede tutta una serie di nuovi attori. Occorre partire dalla creazione di una logistica territoriale della raccolta e del trasporto su piccola scala fino arrivare al coinvolgimento delle grandi aziende.;
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