lunedì 3 maggio 2010

Scrittori Nuovi Italiani



(foto da internet)


Da un po’ di tempo a questa parte, i grandi nomi delle case editrici italiane pubblicano, nelle loro collane di letteratura italiana, con sempre maggiore frequenza, scrittori un po' particolari, definiti nuovi italiani. Questi, infatti, rappresentano un'esperienza del tutto nuova per i lettori italiani, che hanno la possibilità di leggere la propria lingua da autori che non sono (o non solo sono) di origini italiane.
La lingua è a volte stravolta e, perciò, rinnovata, oppure restituita a una purezza da libri di scuola, o ancora volutamente piegata a sonorità che vengono da lontano. È un inedito modo di percepire sensibilità e mondi diversi senza il filtro della traduzione, trasportati qui da un lessico familiare. È già successo all'inglese, al francese, ma per gli italiani l’italofonia è una novità.
Il fenomeno letterario è cominciato timidamente negli anni Novanta, ma è esploso soltanto nell'ultimo decennio con la trasformazione dei migranti in abitanti stabili del Paese, con la crescita di giovani scrittori italianissimi per formazione e sensibilità, ma portatori — per l'origine della famiglia — di culture altre.






(foto da internet)


Riflette il direttore letterario di Feltrinelli: «Uno sguardo sull'Italia da dentro e da fuori . Forse l'elemento più originale è il sentirsi scrutati da occhi indiscreti». La casa editrice pubblica l'albanese Elvira Dones, l'iraniano Bijan Zarmadili, il croato Maksim Cristan, che presentano linguaggi a volte faticosi, ma lasciati nell'editing il più possibile intatti. Con delle conseguenze. Il «broken italian» non sta "rompendo" solo la lingua: «Più dell'italiano è l'Italia a rompersi, ad aprire spazi. Ad arricchire di sostanza e sicurezza l'avventura interculturale che caratterizza la vita sociale del nostro Paese». Si potrebbe trattare di letteratura del «doppio sguardo».
«Io porto lo sguardo di chi è arrivato da altrove con un bagaglio culturale diverso — dice Mihai Mircea Butcovan, giunto dalla Romania ventenne, nel ‘91 (Allunaggio di un immigrato innamorato, Besa) —. Parlo dell'Italia in base alla mia esperienza, racconto come l'ho intesa o fraintesa». In una lingua studiata con tenacia fino a renderla impeccabile.


(foto da internet)


Ogni personaggio, ogni parola, tutto il libro, un intero Paese tendono a un altrove che non esiste. Destinati a restare in bilico, se non a precipitare, ad annegare, a farsi divorare dai sogni diventati «feroci» per il troppo attendere. Ornela Vorpsi è la scrittrice dello spaesamento. È albanese, vive in Francia, lavora come fotografa in inglese, ha scelto di scrivere in italiano. Da questo «magma», come lei stessa lo definisce, vengono un lessico e una grammatica che spiazzano. «È stato un processo spontaneo — spiega — . Ho vissuto solo cinque anni a Milano dove ho frequentato l'Accademia di Brera. Ma quando ho cominciato a scrivere, l'ho fatto in italiano. Riflettendoci poi, mi sono resa conto che avevo la necessità di lasciare fuori la mia infanzia. Che avevo bisogno di una lingua straniera che raffreddasse una materia incandescente, che mettesse distanza».



(foto da internet)


Nata a Roma da genitori somali, Igiaba Scego, la scrittrice del doppio sguardo, italiano e somalo, che le permette di riuscire a raccontare con uno spettro più ampio. Contesta l'etichetta di «letteratura migrante». «Anche nei dipartimenti di italianistica sta cadendo il muro che impediva di considerarla letteratura italiana e basta. È triste essere costretti a ribadire qualcosa di scontato: che facciamo parte di questo Paese».
Doppio sguardo? La definizione non dispiace, visto che anche se non si tratta di autobiografie, chi scrive lascia sempre qualcosa di sé. E, ovviamente questi scrittori, hanno identità doppie, se non triple, come nel caso di Pap Khouma, senegalese che ha studiato in francese e da 25 anni è in Italia.
Vent'anni fa era un'eccezione, oggi ci sono nomi stranieri in ogni collana di narrativa italiana: dall'algerino Amara Lakhous con il suo Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, all'iracheno Younis Tawfik (La straniera, Bompiani). Dalle italoindiane Laila Wadia e Gabriella Kuruvilla, alle italoafricane Cristina Ali Farah e Gabriella Ghermandi. Fino alle scatenate ragazze di seconda generazione Randa Ghazi (Oggi forse non ammazzo nessuno, Fabbri) e Sumaya Abdel Qader (Porto il velo e adoro i Queen, Sonzogno). Da qualche anno, ce ne sono anche nel catalogo Einaudi: oltre alla Vorpsi, l'albanese Anilda Ibrahimi, l'iraniano Hamid Ziarati, il siberiano record di vendite Nicolai Lilin. «Ognuno è un caso a sé — spiega l'editore di Einaudi-. A volte usano un italiano pressoché perfetto, ricercatissimo. A volte sopperiscono alla lingua con una grande capacità di raccontare. Sono scritture che vanno ascoltate religiosamente, io tendo a salvaguardarle il più possibile». Ma soprattutto: «Ognuno di loro è uno scrittore che ci convince di per sé». Non c'è solo l'interesse a pubblicare uno spaccato sociologico, sottolinea l'editore. Il punto, alla fine, semplicemente, origini italiane o meno, è il valore letterario.



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