(foto da www.repubblica.it)
Una giornata particolare, il capolavoro di Ettore Scola con Sophia Loren e Marcello Mastroianni, compie 40 anni. Fu presentato in concorso al festival di Cannes il 19 maggio 1977 e arrivò poi nelle sale italiane il settembre successivo. È un film spartiacque per tutti quelli che ci hanno lavorato e soprattutto per il regista. "Da quel momento Scola comincia a liberarsi dalle soluzioni più facili della commedia (Brecht sembra diventato il suo consigliere occulto) - scrive Gian Piero Brunetta in 100 anni di cinema italiano - a giocare sulle sfumature, sui semitoni, sulla ricostruzione di atmosfere, sulle unità spazio-temporali, e a chiedere più complicità, intelligenza e presenza attiva al suo spettatore".
Fin da quel lunghissimo primo piano sequenza, tra i più lunghi della storia del cinema italiano, Ettore Scola porta il pubblico dentro la casa di Antonietta, che con i vestiti stirati di fresco su un braccio e la tazzina di caffè in mano da portare a letto al marito-padrone ci conduce nella sua vita, nel racconto di quel giorno straordinario per la storia di tanti, ma in particolare per la storia di due.
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La giornata particolare è quella del 6 maggio 1938, giorno della visita di Adolf Hitler a Roma. Il marito di Antonietta, fervente fascista trascina tutti i figli a vedere il Duce che incontra Hitler, mentre Antonietta è costretta a rimanere a casa, "mi sarebbe piaciuto andare" dirà "ma sa portare avanti una casa con sei figli". Nel grande caseggiato, uno dei palazzi Federici, casa popolare di costruzione fascista, rimangono soltanto in due: la casalinga madre di figli e quell'uomo "né soldato, né marito, né padre" che è Gabriele, ex conduttore radiofonico dell'Eiar licenziato e mandato al confino per la sua omosessualità. A dirla tutta c'è anche la baffuta, pettegola della portiera. Il motore dell'incontro è quel pappagallino che scappa ad Antonietta e finisce nell'appartamento dirimpetto di Gabriele, proprio mentre lui sta meditando di uccidersi.
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Per Sophia Loren Antonietta fu una grande scommessa che le valse il Nastro d'argento, una prova d'attrice con la quale dovette convincere il regista prima e il pubblico poi. "Certo era una scommessa calare due attori come noi, simboli di bellezza e gioventù, in personaggi volutamente emarginati e sottotono" ricorda l'attrice. Struccata, spettinata, quella vestaglietta a fiori indossata per tutto il film, l'attrice (che aveva già vinto l'Oscar per La ciociara) ma che fino a questo film di Scola ha puntato molto sulla bellezza e sulla sua esuberanza fisica per sedurre, con Antonietta dimostra di avere molte più corde. Ma non fu tutto semplice "Scola era molto amico di Marcello e su di lui non aveva dubbi - ricorda Sophia Loren - Su di me invece sì. Avvertii subito questa sua diffidenza iniziale e i primi giorni di riprese non furono facili. Sentivo che il personaggio mi apparteneva ma avevo bisogno della sua fiducia per trovare la chiave d'accesso. Dopo qualche giorno, Carlo, a mia insaputa chiamò Ettore. [...] Forse quella telefonata servì a daci un po' di fiato, a far capire a tutti che il processo di immedesimazione di un attore nel suo personaggio è delicato, e ha bisogno di pazienza".
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Carlo era naturalmente Carlo Ponti, produttore e marito di Sophia Loren. Per lui non era stato facile reperire i finanziamenti per il film, alla fine li recuperò in Canada. Il film poi andò bene, ottenne ottime recensioni e girò il mondo. A Cannes nonostante l'ottima accoglienza gli fu preferito Padre, padrone dei fratelli Taviani che vinse la Palma d'oro grazie anche al supporto del giurato italiano Roberto Rossellini, ma ebbe modo di rifarsi con il Golden Globe come miglior film straniero, due candidature agli Oscar e persino - tanti anni dopo - con il premio per il miglior restauro alla Mostra del cinema di Venezia, dove nel 2014 venne presentato dopo il grande lavoro fatto sul colore, riportandolo alle tinte volute dallo stesso Scola.
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Ma è soprattutto con il personaggio di Gabriele, con quel suo dolore, quella sua rabbia repressa che esplode ad un certo punto con Antonietta, con quell'umanità che Mastroianni racconta così bene che Ettore Scola ha fatto un capolavoro, affrontando il tema dell'omosessualità con profondità sul grande schermo. "Nel cinema italiano c'era spesso l'omosessuale ma sempre in funzione comica e irrisoria - raccontava Scola nel documentario Ridendo e scherzando - Di un'educazione e comprensione in più di una condizione umana non c'era presenza prima del mio film". E quel grido di dolore, urlato da Mastroianni nelle trombe della scale, arriva nel cuore di Antonietta ma anche in quello del pubblico, quell'insulto "frocio" nella sua bocca diventa un atto d'accusa verso una società che non prevede un uomo che non sia "né soldato, né marito, né padre".
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Ma neppure una donna che non sia "nè moglie, né madre". Antonietta nell'incontro con Gabriele capirà di valere qualcosa, di essere qualcuno al di là del suo ruolo familiare. Quella copia de I tre moschettieri di Dumas che Gabriele le regala e che lei comincia a leggere, dopo aver rigovernato, mentre il marito con la sua solita prepotenza le intima di venire "presto a letto" è il segno che quell'incontro l'ha cambiata. E quel piano sequenza finale, più breve del primo, in cui pediniamo Antonietta che piano piano spegne le luci di casa mentre va a dormire, si congeda e fa vedere le spalle di una donna diversa da quella della mattina.
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