venerdì 30 gennaio 2015

A' genuvese (a Paolo G.)



(foto da internet)

Il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, nato dalla penna di Maurizio De Giovanni,  è il protagonista di alcuni romanzi gialli ambientati a Napoli negli anni '30.
Ricciardi è nato nel 1900 a Fortino, in provincia di Salerno, in un'antica famiglia nobiliare. Dopo la laurea in giurisprudenza è entrato a far parte della regia polizia e si è trasferito a Napoli, con l'anziana balia Rosa, dopo aver perso tutta la sua famiglia. 
Ricchissimo, integerrimo e dal grande intuito, non ha nessun interesse alla carriera e per questo è ben visto dai suoi superiori che spesso si prendono il merito dei suoi successi investigativi e che mal sopportano i suoi metodi privi di riguardo verso le classi borghesi e nobiliari più influenti della città.  
Ricciardi ha un carattere triste per colpa del Fatto: una peculiare caratteristica che gli permette di percepire l'ultima frase e gli ultimi istanti di vita delle vittime di incidenti ed omicidi.




(Maurizio De Giovanni. Foto da internet)

Il commissario Ricciardi è affiancato nelle sue indagini dal brigadiere Maione e dal dottor Modo, medico forense dell'Ospedale dei Pellegrini.
Nei testi di De Giovanni emerge la Napoli di un tempo, con i suoi profumi ed odori ancestrali, ricca di atmosfere particolarissime.
Ne è testimonianza una ricetta che vorremmo proporvi: la genovese (a' genuvese in dialetto): una salsa ottenuta dalla cottura lentissima di cipolle e carne.
Nel romanzo Il posto di ognuno,  De Giovanni narra il pranzo organizzato da donna Lucia, la moglie del brigadiere Maione, per suggellare il profondo amore che la lega al marito. Scrive De Giovanni
Maione affrontò lentamente l'ultima parte della salita che lo riportava a casa per il pranzo. [...] il litigio della sera prima era la sicura premessa di un gelido silenzio della moglie, che lo avrebbe privato di quelle quattro chiacchiere che amava tanto per distogliersi dal lavoro [...] Le cose però cambiarono improvvisamente quando, ancora a cinquanta metri dal suo portone, distinse l'odore della genovese di Lucia. Non poteva sbagliarsi: la salsa di cipolle e carne cucinata dalla moglie, e solo quella, lo avrebbe risvegliato da uno stato di coma profondo ed era famosa in tutto il quartiere. Prima che diventasse un terreno minato, Lucia lo prendeva in giro dicendo che l'aveva sposata per la genovese; e lui, ridendo, le rispondeva che probabilmente aveva ragione [...] Aperta la porta, l'odore celestiale lo investì con violenza; gli sembrò di fiutare l'aroma dei broccoli fritti e delle patate al forno, e forse perfino di un babà al rum. Non poteva crederci: un vero e proprio pranzo di Natale in pieno Agosto. Cosa stava succedendo? Facendo caso al fatto che nessuno dei bambini gli veniva incontro come d'abitudine, entrò in cucina e rimase a bocca aperta: la tavola traboccava di cibo cucinato in tutti i modi. I coperti erano solo due ed erano state usate la tovaglia e le stoviglie che vedevano la luce soltanto nelle grandi occasioni. Lucia lo guardava bellicosa, in piedi vicino all'acquaio, asciugandosi le mani con uno straccio. Lui chiese: "E i ragazzi?". "Sono giù da mia sorella. Hanno mangiato là e tornano direttamente stasera". Il brigadiere indicò le pietanze disposte sulla tavola. "Tutta questa roba ... chi ce l'ha messa qui?". Lucia rispose con tono duro, ma negli occhi scintillava una risata. Si stava divertendo. "Ma secondo te chi l'ha messa? E secondo te, a chi mai farei mettere piede nella mia cucina?". Parlando si era avvicinata a Maione e gli aveva dato un finto pugno sul torace, e una altro, e una altro ancora come sottolineando quello che diceva. "E secondo te, ci sta una femmina a Napoli che cucina meglio di me? E secondo te ci sta un posto a Napoli dove stai meglio che a casa tua? E secondo te...". Lui le prese il polso fermando i colpi e le mise il braccio intorno alle spalle attirandola a sé [...] E risero e piansero tutti e due, finché Lucia disse: "mettiti a tavola, che se no lo buttiamo, tutto questo ben di Dio"; e Raffaele rispose: "per buttare la tua genovese devi passare sul mio cadavere". E sedettero e mangiarono per un'ora, e poi fecero l'amore e poi mangiarono il resto. Piangendo e ridendo.



(foto da internet)

Le ipotesi sul nome della ricetta, legano il piatto ad alcune osterie nei pressi del porto di Napoli nel periodo aragonese, e probabilmente gestite da cuochi provenienti da Genova o ai marinai genovesi della nave Superba che sbarcarono a Napoli nel XVIII secolo portando con sé le loro abitudini alimentari. 
Per chi volesse cimentarsi con questo piatto, ecco alcune raccomandazioni: a) la carne -comprate il girello di vitello- deve cuocere in un tegame di coccio; b) con questa salsa si condiscono gli ziti spezzati a mano oppure i mezzani (ma si può usare una pasta corta) c) la carne tagliata a fette, e condita col resto del sugo, è il secondo piatto da gustare dopo la pasta; d) si sconsiglia l'uso della cipolla bianca.
Buon appetito (e buona lettura)!

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